Salve,
sono un‘insegnante di scuola media. Voi direte: rieccoci con chi parla
di tagli, di stipendi bassi, di soliti problemi... Io, invece, vorrei
porre il problema della democrazia interna alle scuole, esiste o è solo
un miraggio? Tutti questi organi collegiali, consigli di classe,
riunioni... Mi sono convinta di no o almeno solo in parte.
Eccovi la mia” banalissima” storia: perdo il posto di ruolo dove
insegnavo da qualche anno, vengo assegnata ad un altro istituto vicino.
Fino a qui ordinaria amministrazione, cose che succedono. Ovviamente la
nuova scuola ha regole diverse, che mi preparo ad apprendere, amara
sorpresa, non c’è nessuno che ti informa, se non una specie di
vicepreside (siamo in una scuola dove non c’è la segreteria), con
funzioni di raccordo, di controllo (ma che controllo!).
Nessuna informazione data, brancolavo nel buio, solo “fette”, “partacce
bruttissime” davanti a tutti, anche agli alunni, ogni volta che
sbagliavo non sapendo, messaggi mandatimi tramite alunni del tipo "così
non si fa", "non ci si comporta così", alla faccia del non rovinare la
stima, la credibilità degli insegnanti di fronte ai loro studenti.
Sapete cosa è successo quando le ho chiesto il perché di una regola e
poi di un’altra? Mi ha detto che è il regolamento, ma non hanno voluto
perdere tempo a spiegarmi, o forse il suo rigidissimo comportamento da
"piccola leader” non glielo ha permesso. Continuo stress e controllo
anche su ciò che facevo o no anche all’interno delle ore curricolari.
Premetto che non sono una “santa crocifissa”, anch’io ho delle pecche,
sono testarda, porto avanti le mie idee, non amo la burocrazia, ma
neanche le imposizioni di quella che considero una mia pari. Sono
polemica per natura, soprattutto di fronte ai torti, (con l’aiuto della
sindacalista Fracassi, sono stata la prima supplente precaria nella
provincia di Arezzo ad ottenere il riconoscimento economico alla
maternità).
All’inizio dell’anno volevo far presente un mio problema alla
segreteria, ma sono stata rimandata a parlare con il capo, la
Vicepreside. A lei ho fatto presente che avendo due bambini piccoli
avevo problemi ad organizzarmi un giorno alla settimana, cioè poteva
capitare che facessi qualche minuto di ritardo. La risposta testuale è
stata: "Non me ne importa nulla, sono problemi tuoi, ti organizzi, io
non intendo venirti incontro". Puntualmente, qualche occasione di
ritardo c’è stata, massimo 5 minuti, in genere arrivavo al suono della
campanella.
Fatto sta che alla fine, anche con trucchetti infantili, come far
sparire dei libri e farli riapparire magicamente da un’altra parte,
dove io non li avrei mai messi, ha convinto anche le altre colleghe che
sono una persona lassista, superficiale, inaffidabile, che ha reazioni
violente (in due situazioni le ho detto di non trattarmi in modo
arrogante, e che non mi sembrava giusto che io mi scusassi con lei
delle mie mancanze, eventualmente con tutti i docenti).
Io ho cercato di stringere i denti e di trovare sfogo e sollievo nella
cosa che amo di più, insegnare, spiegare, far riflettere, educare,
trasmettere buoni principi ai miei ragazzi, sviluppare le capacità
critiche, con tanto lavoro loro, ma soprattutto mio, a casa, di
correzione, di ricerca ma anche di messa in discussione.
Ovviamente svolgendo il programma nei modi consueti ma anche con
qualche innovazione, in una scuola dove queste sono viste come una
catastrofe. Che ci volete fare, alla grammatica e al latino (anche se
li faccio lo stesso) amo di più la storia, la lettura e parlare tanto
con i ragazzi di questi argomenti, ma anche di problemi attuali.
A tutto ciò si sono aggiunti problemi personali di salute e altri
legati ai bambini, di cui non ho voluto parlare con nessuno per motivi
di privacy, quindi sono stata costretta a prendere circa 20 giorni di
congedo parentale di cui non avevo usufruito, e di cui avevo pienamente
diritto per legge. I giorni li ho presi frazionati quando la collega di
sostegno poteva sostituirmi, continuare il programma e non rallentare
l’apprendimento.
Nel frattempo, mentre portavo avanti un mio progetto sui personaggi
grandi della storia che hanno trasmesso idee di cambiamento, spesso
lottando contro tirannide, sfruttamento, indifferenza, in tutto il
mondo e di tutte le etnie, ma con la non violenza, ho conosciuto e sono
rimasta affascinata da una organizzazione non governativa che ha sede
nella nostra provincia e propone aiuti, progetti per rendere autonome
economicamente, migliorare la situazione sanitaria e scolastica di
varie popolazioni del mondo.
Con la mia collega di sostegno, che allora credeva ancora in me,
abbiamo creato un progetto e abbiamo invitato l'organizzazione in
classe a parlare con i ragazzi. Tutto molto bello, ma purtroppo io non
mi fermo mai.
Questa organizzazione, insieme a vari enti, tra cui la Regione Toscana,
promuoveva un corso su una cosa che faccio già in classe, ma solo con
il buon senso, l’intuito, cioè l’inserimento e la valorizzazione delle
diversità, come un arricchimento e non come un handicap. Anche se molti
la intendono limitatamente, vedendo solo l’alunno extracomunitario, che
peraltro è il maggiore interessato, ma non solo.
Allora ho deciso che quel corso faceva per me, avevo bisogno di creare
e crearmi un piano di azione che avesse alla base delle conoscenze
profonde di esperti in vari settori. Tra l’altro la creazione di questi
progetti di inclusione e valorizzazione non solo è una tematica molto
sentita, ma dal prossimo anno diverrà obbligatorio per tutti gli
Istituti Comprensivi redigere questo piano. Mi ci sono buttata con
tutto il mio entusiasmo di insegnante (con alle spalle scuola, figli,
casa, marito, aiuto ai genitori, situazioni di ansia crescente).
Quando il corso era già iniziato, ho avuto l’amara sorpresa di scoprire
che per proseguirlo avrei avuto bisogno di chiedere dei permessi orari
al dirigente, quello vero, che non conoscevo, e con cui non avevo mai
parlato, essendo preside di circa 4 istituti, di cui fanno parte
moltissime scuole, e tantissimi insegnanti, alcuni altamente
insignificanti come me.
Quando sono entrata credevo che non mi conoscesse, altroché se mi
conosceva, vita morte e miracoli, sapeva tutto su di me, ma quale me?
Ebbene quella persona non ero io, era la professoressa incapace,
lavativa, menefreghista, interessata solo a stare a casa, tanto che io,
scioccata, non ho potuto che rispondere, con la bocca spalancata: "Ma
nessuno mi ha mai vista così!".
Ho cercato di spiegare del corso, di me stessa, ma ho trovato un muro,
un muro vero, non mi ascoltava, continuava a dire che io avevo creato
solo problemi, che avrei trovato scuse per stare ancora a casa, che se
la situazione mi faceva stare in ansia, mi provocava attacchi di
panico, me ne stessi pure a casa, magari fino alla fine della scuola,
in astensione o in malattia, “fregandosene” del fatto che i miei
ragazzi stavano per avvicinarsi all’esame finale e che quelli più
piccoli si stessero finalmente faticosamente avvicinando al concetto di
bullismo, e iniziassero a riconoscere nei loro atteggiamenti un
bullismo psicologico che è il più devastante.
Lui continuava a fare ipotesi, anzi certezze, sulle mie future mancanze
e assenze, io lì davanti condannata senza processo, senza difensori,
senza ragionevole dubbio. Mi ha proibito di continuare il corso, ha
detto che non mi avrebbe concesso nessun permesso orario, neanche se
avessi trovato chi mi sostituiva, neanche se avessi rinunciato al mio
giorno libero per sostituire i colleghi. Di fronte a questa
dimostrazione di dialogo, di discussione democratica, di ottusità, mi
sono alzata, gli ho dato la mano, l’ho ringraziato e me ne sono andata
con la coda tra le gambe, a piangere amaramente per l’imposizione di
non fare questo corso di perfezionamento e soprattutto per la mia
identità violata, calpestata, per un’immagine di me distrutta.
Tuttavia il giorno dopo avevo già deciso che il corso lo avrei fatto
non usufruendo di nessun permesso, ma correndo via velocemente da
scuola alla fine delle lezioni e arrivando con 2 ore di ritardo. Ne
avrei perse 2 di lezioni, poco importa, perché dovevo accompagnare i
miei ragazzi in gita (gita di 2 giorni con ragazzini di 13-14 anni)
progettata accuratamente insieme da diversi mesi.
Due giorni prima della partenza arriva la doccia fredda, il preside
manda un’altra insegnante al mio posto, non mi fa sapere nulla
direttamente, solo un fax infilato nella ma cassetta della posta.
Provvedimento ampiamente giustificato a livello di numeri, legale - che
non sto a spiegare - ma legale sarà davvero se io due giorni prima
avevo parlato, spiegato ai colleghi del Consiglio di classe di fronte a
4 rappresentanti dei genitori che saremmo andati nel tal posto, spese,
dettagli e soprattutto che li avrei accompagnati io. Il tutto
ovviamente verbalizzato.
Certo si può dire che quel giorno ero malata, che ho avuto un problema,
che me lo sono creato, che per me era troppo stancante accompagnarli,
tutte scuse perché io so che non è vero, io sarò a scuola normalmente e
i genitori e i ragazzi hanno il diritto di sapere che non è stata una
mia scelta.
Per ultimo ho ringraziato vivamente le mie colleghe, soprattutto il
capo, che avevano parlato così dettagliatamente di me al Preside, tanto
che io stessa non mi sarei saputa descrivere meglio. Nonostante ciò non
è tutta colpa loro, in fondo il loro modo di essere democratiche lo
hanno appreso dal loro diretto superiore, che nemmeno per un attimo ha
messo in dubbio ciò che gli riferivano persone che lavorano con lui da
anni, contro una persona arrivata allora, senza conoscenze, alleati e
anche un po' “ rivoluzionaria”.
Un Preside del Valdarno aretino (Istituto Comprensivo e una scuola
superiore), oltre che preside di uno o due Istituti comprensivi di
Arezzo, persona altamente stimata, per le innovazioni tecnologiche, la
razionalizzazione delle spese interne, teorico di non cambiare i testi
che tanto si possono passare ad altri, per il risparmio delle famiglie,
veramente eccezionale, ma con un "ma": una volta era un professore che
ascoltava i suoi alunni (me lo ha detto mio marito che lo ha avuto come
docente), in questo caso si è rivelato un rigido burocrate, incapace di
dialogo, di mediazione e giudizio critico, affidandosi al sentito dire,
a una sola parte, come chi ascolta le dicerie di paese che diventano
verità assolute.
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