Si fa presto a
dire che la bellezza salverà il mondo. Macome la mettiamo se questa
bellezza è una perfetta sconosciuta a chiogni giorno ci passeggia sopra
e non incontra mai uno sguardo che laillumini e la riconosca come tale?
Smessi i panni del polemista che infiamma i salotti tv, VittorioSgarbi
ha deciso di indossare quelli di novello Virgilio percondurre gli
italiani, tutti noi, alla scoperta del tesoro d’Italia, che dà il
titolo al suo ultimo libro edito da Bompiani (Il Tesoro d’Italia – La
lunga avventura nell’arte, pp. 480, 22 euro,) primo volume di una
trilogia che vuole esplorare un’Italia protetta e remota che va da
Anagni a San Severino Marche, da Rocca Cilento a Vatolla a Giungano
fino agli affreschi di Sant’Angelo in Formis.
Vuole fare il professore di storia
dell’arte?
«Diciamo che ho tracciato una storia e geografia dell’arte secondo lo
schema che il critico Carlo Dionisotti pensò per la letteratura. È il
primo di tre volumi per le scuole pensato però per lettori fuori corso
e fuori scuola dove ci sono sia le perle nascoste che artisti
indispensabili come Wiligelmo, Duccio di Boninsegna, Giotto, Benedetto
Antelami, per citarne solo alcuni».
Ma a scuola non si studiano?
«I libri scolastici di storia dell’arte sono quasi sempre difficili per
il dettato, molto tecnici, pieni di date. E poi a scuola sei obbligato
a studiare tutte queste cose perché devi essere interrogato. Qui non
c’è nessuno che t’interroga, sei un adulto che vuole capire cos’è
capitato e decidi liberamente di andare in giro per l’Italia, da Assisi
a Firenze a Palermo, avendo qualcuno che ti accompagna. È un libro
bello da vedere perché paradossalmente l’arte è così bella che genera
libri bruttissimi come i manuali scolastici, pieni di asterischi,
grafici e numeri, su carta trasparente: tutto un sacrificio
dell’immagine. Questo è un libro dei fondamentali che ti permette di
avere una panoramica completa della storia dell’arte. E il bello è che
quando vai a vedere questi luoghi prendi atto della grande fortuna che
hai avuto di non averli studiati a scuola, altrimenti rischiavano di
diventarti antipatici come succede con Alfieri, Parini o il Manzoni».
Sta dicendo che è meglio abolire la
storia dell’arte dai programmi scolastici?
«In Italia tantissimi praticano la musica e sono melomani anche se la
musica non è materia obbligatoria a scuola. Probabilmente è un grande
privilegio non avere l’obbligo ma la libertà di conoscere l’arte, per
trarne godimento sia materiale che spirituale. L’obiettivo che mi pongo
è far conoscere, scoprire o riscoprire quel patrimonio che costituisce
il grande tesoro d’Italia».
Ma noi italiani siamo consapevoli di
questo tesoro?
«No. Gli artisti e le opere che descrivo in questo libro anche se poco
conosciuti sono comunque grandi. Non è un problema solo della scuola.
Perché tutti dovrebbero sapere chi è Petrarca e non Simone Martini, il
secondo pittore italiano senza il quale non si comprende la storia
moderna della pittura? Non conoscerlo è come se uno non vivesse in
Italia ma alle Maldive o in Australia. Questa inconsapevolezza del
tesoro d’Italia è un dato inquietante non solo rispetto alla sua
tutela ma anche alla sua valorizzazione».
Che compete ai politici. Ignoranti
pure loro?
«Berlusconi, per esempio, non è mai stato ad Arezzo a vedere gli
affreschi di Piero della Francesca, Gianni Agnelli lo stesso. Forse ci
è andato Renzi ma solo perché è toscano».
Tutti quindi dovrebbero leggere il suo
libro.
«Il mio obiettivo è introdurre una coscienza che ha un significato
profondamente politico nella prospettiva di una "rivoluzione
costituzionale": creare un ministero del Tesoro dei Beni culturali che
sia la fusione tra quello dell’Economia e quello dei Beni Culturali e
tenga conto del valore assoluto di quello che abbiamo. Vorrei capire
perché se uno ha in casa venti quadri di Van Gogh o di Picasso diciamo
che ha un tesoro e noi che siamo immersi in questo tesoro molto più
grande non ne siamo consapevoli e neppure lo consideriamo tale. Noi
viviamo in un paradiso terrestre dove l’arte dell’uomo ha aumentato e
accresciuto la bellezza della natura creata da Dio. Goethe quando vide
villa La Rotonda di Andrea Palladio a Vicenza restò impressionato da
come l’architettura si fonde con il paesaggio».
Gli artisti hanno proseguito l’opera
della Creazione, quindi?
«Dio ha fatto la natura e l’uomo l’ha abbellita e perfezionata con un
lavoro sublime. Il risultato è quel paradiso terrestre a cielo aperto
che è l’Italia. Rispetto all’Europa, noi non dobbiamo immaginare di
avere delle quote di bellezza perché ne abbiamo molta di più, la
possediamo tutta intera. A Bruxelles possono fare le quote del latte,
delle arance, di barbabietole, non della bellezza. La sola città di
Modena ha più opere d’arte dell’intera Germania. I musei
americani sono pieni di opere italiane, il quadro più importante del
Louvre è la Gioconda, il 70 per cento di quello che c’è nei musei di
tutto il mondo è stato realizzato in Italia».
Insomma, non ce n’è per nessuno.
«Firenze non è quella piccola e povera città di cui parlava Sergio
Marchionne ma una città più importante di New York. Il bello è che
questo a New York lo sanno, noi no. Il tesoro di Hitler non sono i
dipinti che hanno trovato a Monaco e che lui considerava arte degenere
ma tutto quello che lui faceva portar via dall’Italia: Masaccio,
Mantegna, Michelangelo».
All’estero quindi c’è molta più
consapevolezza?
«Certo, è così da sempre. Il gran tour nasce da persone che vengono a
vedere il nostro Paese: Winckelmann scopre lo spirito greco venendo
qui, Goethe scopre la bellezza d’Italia andando in Sicilia, poi arriva
Stendhal. Il turismo italiano, in pratica, nasce dalla rappresentazione
dell’Italia che hanno quelli che vengono da fuori. Basti pensare che a
Finale Emilia, per fare un esempio, non hanno messo in sicurezza
le torri del Trecento, colpite poi dal terremoto, ma hanno speso un
sacco di soldi per fare le rotatorie intorno alla città. Se qualcuno
pensa che le rotatorie siano più importanti dei monumenti non ha una
percezione sufficiente del patrimonio».
Se da soli non riusciamo più a
tutelare il nostro tesoro artistico perché non lanciamo un Sos
all’Europa, agli organismi internazionali perché ci pensino loro?
«Bisogna pensare ad una sorta di compartecipazione in quote. Pensiamo
all’imprenditore svedese che ha creato un albergo diffuso a Santo
Stefano di Sessanio, vicino L’Aquila, recuperandone il borgo o agli
americani che stanno lavorando ad Ercolano. L’idea che l’Italia faccia
condividere all’Europa una parte della gestione del suo patrimonio
sollevandolo da incuria, criminalità, degrado e abbandono è una buona
idea».
Ci sarebbero anche i privati. Possiamo
paragonarli ai mecenati del Rinascimento?
«Con una differenza sostanziale: che all’epoca non erano imbrigliati
dalla burocrazia come lo sono oggi. Pensiamo a Della Valle e alle
difficoltà che ha avuto per dare 25 milioni di euro per il restauro del
Colosseo. Non trovo affatto scandaloso che un imprenditore finanzi il
restauro di un’opera e poi metta fuori il proprio nome. Sono follie che
accadono solo in Italia, al Metropolitan di New York non è così. Il
mecenatismo dei privati in Italia è equivocato, viene visto con
diffidenza, è inteso come un modo per fare affari, come se questo fosse
qualcosa di negativo! Che problema c’è se sull’impalcatura viene messo
il nome di Della Valle? Non è mica un danno! Prendiamo i musei,
dovrebbero essere tutti gratis».
Sì, ma come si fa?
«Per compensare i mancati introiti dei biglietti si dà la possibilità
ad uno sponsor di mettere il suo nome sul Museo. I soldi da qualche
parte devono pur venire! Bisogna mettere in collegamento la bellezza
con l’economia ma questo in Italia non è possibile. Il problema è che
la politica non fa nessuna proposta, da anni ormai si è arenata su
piccole questioni, l’Imu, la legge elettorale. Si potrebbe pensare ad
una costituente economica per i beni culturali, non sono cose lunari.
Chi fa il ministro dei Beni culturali dovrebbe fare anche il
vicepremier e soprattutto dovrebbe avere un budget dignitoso da
spendere».
Torniamo al libro. Tra i tanti luoghi
che segnali ce n’è qualcuno che consiglia di non perdere?
«Sicuramente Modena, Parma, Ferrara, Cremona: tutte le città padane
dove nel Medioevo fioriscono tesori straordinari di architettura e
scultura. Anche le Marche sono fondamentali perché nell’integrazione
tra paesaggi e monumenti, tra natura e centri storici ti fanno vedere
un’Italia che altrove in parte è violentata dalla modernizzazione. Qui
lavorano Giotto, Guido Reni, Guercino, Crivelli, Lorenzo Lotto. Ogni
paese delle Marche, da San Severino a Camerino a Tolentino, è una
sorpresa. Poi c’è la Calabria, la Sicilia. Il percorso non deve essere
per forza per capitali».
Famigliacristiana.it