Sono un´insegnante a T.I.
di una scuola media. Ho chiesto al D.S. gg. 2 di permesso per
motivi di famiglia (matrimonio della propria figlia). Il Dirigente mi
ha comunicato che negherà il permesso, poiché tale richiesta non
rientra tra i motivi della concessione ed inoltre il periodo di assenza
coincide con la data degli scrutini delle mie classi. Ha ragione il
D.S.?
No, i permessi per motivi personali o familiari rappresentano un
diritto e non l´oggetto di una concessione. L´unica condizione per
attribuirli è rappresentata dall´esplicitazione, tramite
autocertificazione o documentazione, della motivazione che è alla base
della richiesta.
Ogni elemento di discrezionalità in capo al dirigente scolastico
deve ritenersi assente. Nel testo contrattuale (art. 15, comma 2) non
si parla di "particolari" motivi, ma solo di motivi; non si parla di
richiesta "debitamente" documentata, ma solo di richiesta
autocertificata o documentata; non si parla di "concessione" di
permesso (una concessione è per definizione discrezionale) ma di
"attribuzione" di permesso. Non sono elementi di scarso rilievo, perchè
le parti, nell´introdurli, hanno concordemente voluto accentuare il
pieno "diritto" ad averli riconosciuti.
"Trattasi in sostanza di un diritto del lavoratore che copre (per soli
tre giorni ad anno) eventi particolari di natura personale o familiare.
A questo diritto speciale di permesso non possono essere di ostacolo le
esigenze organizzative del datore di lavoro. Ciò in considerazione del
limitato periodo, e pertanto la semplice domanda documentata comporta
la concessione del permesso. All´interpretazione della norma
contrattuale rileva la voluta genericità ed elasticità della stessa,
quanto si riferisce a motivi "personali" non specificando altro dato o
contenuto.". In tal senso Giudice del Lavoro di Terni, ottobre 2001.
Quanto alla rilevanza oggettiva dei motivi personali o familiari
addotti vale la pena di sottolineare che allo stato non risulta
contraddetto l´orientamento giurisprudenziale consolidatosi a partire
da una lontana sentenza della Corte dei Conti (3 febbraio 1984, n.1415
nel precedente regime pubblicistico dell´istituto) secondo il quale le
esigenze personali o familiari "possono identificarsi con tutte quelle
situazioni configurabili come meritevoli di apprezzamento e di tutela
secondo il comune consenso, in quanto attengono al benessere, allo
sviluppo ed al progresso dell´impiegato inteso come membro di una
famiglia o anche come persona singola. Pertanto, non deve
necessariamente trattarsi di motivi o eventi gravi (con la connessa
attribuzione all´ente di un potere di valutazione della sussistenza o
meno del requisito della gravità), ma piuttosto di situazioni o di
interessi ritenuti dal dipendente di particolare rilievo che possono
essere soddisfatti solo con la sua assenza dal lavoro".
(da Gilda)
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