«Se fossimo un Paese,
saremmo il quinto del mondo. Non chiediamo soldi in più, ma che quello
che lo Stato spende per la scuola in Lombardia sia affidato
direttamente a noi».
Roberto Formigoni, presidente
della Regione Lombardia, si rigira tra le mani i dati del rapporto
internazionale Ocse-Pisa sull’istruzione, recentemente atterrati da
Parigi.
La
Lombardia è la Regione con i punteggi più alti d’Italia, vicina ai
primi Paesi nel mondo. Gli studenti lombardi sono quasi al
livello del Canada, terzo miglior Paese Ocse: all’ottavo posto nella
matematica, all’ottavo posto nelle scienze e al quarto posto nella
lettura e comprensione. Tra le novità dell’ultimo rapporto, il sorpasso
del Nordovest sul Nordest.
La Lombardia ha scalato posti in classifica. Come se lo
spiega?
«Questi risultati ci collocano nella
primissima fascia al mondo e in passato non era così. Vuol dire che le
nostre scuole e i nostri studenti hanno un livello qualitativo
enormemente alto».
È un discorso valido anche per l’istruzione professionale?
«Credo che la riforma degli istituti di formazione professionale abbia
inciso su questo risultato. Erano un patrimonio decenni fa, poi erano
caduti a un livello di degrado tale che si limitavano a distribuire
prebende agli insegnanti. All’inizio della scorsa legislatura siamo
intervenuti e li abbiamo ridotti da 3mila a 700. È costato molto ma
oggi possiamo dire che i nostri istituti sono all’avanguardia: la gente
trova lavoro con molta maggiore facilità che altrove».
Il sistema scolastico lombardo è ispirato alla parità tra scuola
pubblica e privata. Crede che ci sia un nesso con i risultati positivi?
«Certo, perché se tu metti anche la famiglia non abbiente in condizione
di scegliere, la famiglia sceglie sempre la scuola migliore, non certo
il diplomificio, perché conosce bene l’importanza del titolo di studio.
È una riforma analoga a quella della sanità: anche qui abbiamo
consegnato allo studente e alla famiglia la possibilità di scegliere,
aiutandola con aiuti economici. Ciò sta spingendo le scuole a
migliorarsi e i risultati si vedono. Questo mi dà ancora più forza nel
chiedere la piena autonomia in campo scolastico».
In realtà la libertà di scelta non è piena, perché la dote scuola non è
sufficiente a coprire i costi e non tutte le famiglie possono
permettersi le scuole che desiderano. È solo un problema di risorse?
«La dote scuola potrebbe essere ampliata ulteriormente se avessimo
l’autonomia che abbiamo ampiamente dimostrato di meritare. Adesso
possiamo contare solo su fondi regionali, con il federalismo applicato
alla scuola potremmo utilizzare fondi molto più consistenti. Potremmo
anche inserire stipendi meritocratici per gli insegnanti, senza
appiattire la qualità verso il basso».
L’accordo sul federalismo fiscale apre prospettive positive?
«L’autonomia della scuola è legata all’articolo 116, è una le dodici
materie che dal 2006 chiediamo vengano trasferite dallo Stato alle
Regioni. Investire su giovani e capitale umano è la nostra priorità.
Non chiediamo un euro in più, ma se la Lombardia va più veloce trascina
anche il resto dell’Italia, come dimostrano anche i dati Ocse. Se ci
fosse più Lombardia in Italia, ci sarebbe molta più Italia nel mondo».
Chiede che i professori siano scelti su base regionale?
«Chiedo la possibilità di fare una riforma completa della scuola e
anche di dare alle scuole la possibilità di scegliere i propri docenti.
Non possono essere costrette a prendere il professore numero 529 della
graduatoria! Non voglio che sia la Regione a scegliere i professori, ma
le scuole. Sarà il preside affiancato dal corpo docente e dai genitori».
Non teme che si scatenino polemiche politiche come per le nomine della
sanità?
«Chi se ne frega delle polemiche, a noi interessano i risultati.
All’inizio per la sanità ci criticavano tutti, adesso ci copiano. Sono
convinto che i risultati spingeranno gli altri a imitarci anche nella
scuola. Si sceglieranno i professori più adeguati secondo criteri
meritocratici. Il secondo criterio di libertà che chiediamo è di poter
fare albi regionali».
Albi regionali? Non è una proposta un po’ leghista?
«No, perché non vuol dire che un pugliese non può insegnare in
Lombardia ma che chi viene a insegnare in Lombardia si impegna a fare
almeno un ciclo di studi e a rimanere per cinque anni. È un impegno
elementare».
Sembra un progetto impegnativo. Come trovare i fondi per una riforma
del genere?
«Non chiediamo soldi in più allo Stato, ma solo la possibilità di
amministrarli in proprio. E poi vorremmo trasformare le scuole in
Fondazioni, anche con la partecipazione del mondo economico. Tante
imprese sono interessate a investire nella scuola ed è ottimo che
capitali privati contribuiscano a un obiettivo pubblico. La nostra
proposta di riforma ha già il consenso di sindacati, Comuni, Provincie,
Regioni, imprese. Hanno capito tutti che è il modo per migliorare
davvero il sistema». (da
http://www.ilgiornale.it/)
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