Nel discorso di
accettazione della candidatura, aveva detto: “Questo è il momento di
affrontare il nostro obbligo morale di garantire a ogni bambino
un’educazione di primo livello, perché questo è il minimo che serve per
competere in un’economia globale. (…) Recluterò un esercito di nuovi
insegnanti, pagherò loro retribuzioni più alte e darò loro maggiore
supporto. E, in cambio, chiederò standard educativi più elevati ed
affidabili”. Il ministro Gelmini ha detto di essersi ispirata a Barack
Obama (tutto quanto fa
spettacolo).
Come ha raccontato Federico Rampini, il Wall Street Journal ha
evidenziato, dopo averle verificate, le cifre reali della strategia di
risanamento del deficit pubblico Usa, che in 10 anni taglierà 1.100
miliardi. Come si può notare, i ministeri sono stati toccati dalla
politica di austerità in misura diversa: Energia +18%, Reduci di guerra
+11%, Dipartimento di Stato e altri programmi all’estero +8%, Tesoro
+4%, Interni invariato, Difesa -3%, Sanità -3%, Casa -3%, Homeland
Security (polizia, antiterrorismo) -4%, Lavoro -5%, Trasporti -9%,
Agricoltura -14%, Giustizia -25%, Commercio -34%. La sorpresa:
Istruzione, +21%. Per Obama ridurre le risorse alla scuola è come
“alleggerire un aeroplano troppo pesante eliminando proprio il suo
motore”.
E noi? L’epoca dell’“epocale riforma” (quanto sono prodighi di
aggettivi gli artefici delle riforme nostrane, come ha dimostrato ieri
anche Alfano, con la sua “storica” riforma) si va sfilacciando in mille
frammenti autoreferenti, bricolage di sopravvivenza quotidiana.
Annunciata da fanfare mediatiche, senza nemmeno scomodarsi a
nobilitarla con parvenze di progettualità didattico-pedagogiche (tanto,
come dimostra la realtà, non c’è bisogno di edulcorare la pillola per
farla ingoiare), l’operazione ha fruttato allo Stato 8 miliardi in 3
anni e alla scuola 137.000 lavoratori in meno.
Alle famiglie è imposto di mettere mano al portafoglio: se volete ciò
che avevate, dovete pagare. Ma dovete pagare pure per reintegrare un
miliardo e mezzo di euro che il Ministero deve alle scuole e che non
sembra aver intenzione di rifondere. Agli alunni – orpello di questo
progetto – tempo scuola ridotto, diritto allo studio leso, piani di
studio incerti, variati di anno in anno. Contrazione generalizzata, che
va a colpire i più deboli (e non è casuale) e in cui passano in secondo
piano integrazione dei migranti, assistenza alla disabilità,
potenziamento delle scuole a rischio, lotta alla dispersione,
rafforzamento del segmento più debole della superiore, i professionali
(nei quali confluiscono svantaggi socio-economici, migranti,
diversabilità). Passano in secondo piano bonifica dall’amianto di 2400
scuole e edilizia scolastica in generale. Alla prossima tragedia le
prossime lacrime di coccodrillo.
Questa è una scuola per i nati bene, che in essa trovano uno strumento
per rafforzare le possibilità di crescita culturale e sociale che hanno
in famiglia. La scure dei tagli si è abbattuta: il prossimo anno
l’ultima tranche, ulteriori 35 mila posti in meno. E così la “cura da
cavallo”, annunciata da Gelmini-Tremonti nel 2008, avrà raggiunto
l’obiettivo. Il tempo della mobilitazione, che ha tenuto banco sui
media per una brevissima stagione, si è consumato. I precari sono stati
espulsi, gli altri si industriano per fare i conti con l’esistente, in
un clima di stanchezza generale, mentre – al diminuire del quasi 2%
degli studenti che frequentano l’insegnamento di religione cattolica –
il numero di docenti di quella disciplina è aumentato del 14%.
La “riforma” è passata, portando con sé queste e altre conseguenze?
Tutto come prima, per larga parte della scuola. Buon viso a cattiva
sorte, adattandosi al millantato credito di un’amministrazione che non
ha nemmeno la decenza di dare all’epocale riforma una minima facciata
di dignità culturale. Atavica e mimetica rassegnazione, frutto del
decennale disinvestimento sulla scuola: non tocca a me, per il momento.
Altro giro, altra corsa. La resistenza di pochi è goccia nell’oceano.
Obama è lontanissimo.
(da Il Fatto Quotidiano di Marina Boscaino)
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