A guardare i dati diffusi pochi giorni or sono da Unioncamere il
sistema fatto da istituti professionali e centri di formazione
professionale continua a non soddisfare la domanda di lavoro delle
aziende. Come mai? È tutta colpa dello scollamento tra il mondo della
formazione e quello del lavoro? O c'è dell'altro?
«Che ci sia un disallineamento tra l’offerta formativa e le esigenze
del mondo del lavoro è evidente. Altrettanto evidente è che occorra
promuovere un’integrazione tra scuola e lavoro in tutti i momenti e in
tutti i percorsi del sistema di istruzione del Paese. Sicuramente
dovremo lavorare per innalzare la qualità di questi percorsi. Abbiamo
già iniziato a farlo con la riforma dell’istruzione professionale
attraverso la quale, bisogna dirlo, sono stati recuperati 120mila
studenti, dal 2003 al 2009. Giovani che non erano né a scuola, né al
lavoro. Ne rimangono fuori altrettanti ed è importante continuare a
recuperarli».
Nel Rapporto su “Sussidiarietà, istruzione e formazione professionale”
pubblicato da Mondadori si parla di personalizzare i percorsi
formativi per valorizzare tutte le potenzialità insite nello
stile di apprendimento di ciascun adolescente. Difficile non essere
d’accordo. Ma come centrare l’obiettivo?
«Personalizzare il percorso significa rimettere al centro del sistema
lo studente, le sue esigenze e le sue aspirazioni Significa anche dare
massima considerazione alla capacità di scelta educativa delle
famiglie. Ma bisogna anche modificare la didattica, che deve
aggiornarsi ed innovarsi, anche sui progressi tecnologici e sui nuovi
dispositivi elettronici a disposizione dei giovani. In questo
processo di apertura del mondo della scuola, gli insegnanti sono
determinanti e per questo occorre valorizzarli, secondo i risultati che
sono in grado di far conseguire alla loro scuola e ai loro alunni».
Cosa pensa del modello di formazione federalista? Secondo lei una
sussidiarietà orizzontale che dia spazio a proposte educative
diversificate ma tutte sullo stesso piano può dare impulso al sistema
della formazione professionale?
«La sussidiarietà orizzontale è la scelta vincente ed è quella che
stiamo promuovendo in tutti i modi. Credo fortemente nel collegamento
tra le scuole e il territorio. Proprio nella riforma dell’istruzione,
d’intesa con le Regioni, abbiamo previsto un sistema integrato tra
istituti professionali e centri di formazione, in cui si possa
adempiere all’obbligo scolastico e conseguire anche una qualifica
professionale rilasciata dalle Regioni. Così abbiamo sviluppato
contemporaneamente una sussidiarietà verticale, fra Stato e Regioni, e
una orizzontale tra istituti professionali statali e i centri di
formazione professionale accreditati».
Come si può realizzare l’alternanza scuola-lavoro da molti invocata per
facilitare l’ingresso nel sistema produttivo dei giovani? Gli stage si
muovono proprio in questa direzione eppure non hanno risolto i
problemi...
«Occorre promuovere una vera integrazione tra scuola e mondo del lavoro
e tra gli strumenti per realizzarla ci sono sicuramente l’alternanza e
gli stages. Assieme ai ministri Sacconi e Meloni, già a settembre 2009,
abbiamo elaborato un piano in cui prevediamo iniziative per facilitare
la transizione tra scuola e lavoro, il rilancio dell’istruzione tecnica
e professionale, l’istituzione degli istituti tecnici superiori e il
rilancio dell’apprendistato come contratto di primo impiego per i
nostri giovani. Tutte queste iniziative sono già state attuate o stanno
per esserlo. Per la transizione scuola-lavoro, abbiamo rilanciato la
Borsa del lavoro con lo sviluppo dei servizi offerti dal motore
di ricerca istituzionale “clic lavoro” (www.cliclavoro.gov.it), che
raccoglie le opportunità di occupazione e i curriculum di chi cerca un
impiego e in cui saranno presenti anche i curriculum dei neolaureati,
che ora le università sono obbligate a pubblicare gratuitamente per
almeno un anno dopo la laurea. La riforma dell’istruzione tecnica e
professionale è già partita, così come gli Its: ne sono stati
istituiti 58 e rappresentano un vero modello di integrazione, sono
infatti gestiti da fondazioni a cui devono partecipare un
istituto tecnico o professionale, un’università e le imprese. Si può
così realizzare una vera programmazione del fabbisogno di
professionalità delle imprese e i percorsi di studi degli Its, in modo
che il successivo avviamento al lavoro sia quasi automatico. Ci sono
sicuramente altre cose da fare, come promuovere i dottorati di ricerca
presso le imprese, anticipare il tirocinio e il praticantato dal
post laurea agli ultimi anni dei percorsi universitari, così come
dovremo anche individuare misure per contrastare l’utilizzo improprio
dei tirocini formativi, anche attraverso i “buoni lavoro” che
canalizzano in modo regolare e con copertura previdenziale le prime
esperienze di lavoro dei giovani».
Nella vita, come a scuola, si può cambiare idea. Ma per i giovani
che studiano non è semplicissimo modificare il proprio percorso di
formazione. C'è chi chiede di aprire nuove “passerelle” che diano modo
ai giovani di passare dalla scuola alla formazione professionale o
viceversa. È possibile?
«È necessario che le scelte, anche sbagliate, possano essere modificate
e corrette. La scelta di un percorso di studi deve poter essere
reversibile. Un giovane che dopo la terza media decide di proseguire in
un percorso di formazione professionale, e poi di apprendistato,
deve poter tornare a studiare per conseguire un diploma, dopo la
qualifica professionale. Allo stesso modo, un giovane che si iscrive in
un Its deve poter andare all’università con il riconoscimento di
crediti utili per il conseguimento della laurea. Questo dimostra come
tutte le riforme, della scuola e dell’università, siano state concepite
secondo una visione organica».
In un contesto di denatalità oramai cronica i giovani che sbagliano a
scegliere il loro percorso di studi rischiano di ingrossare le
file del gruppone di diplomati senza specializzazione destinati a
trovare un lavoro qualunque sia. O a non trovarne per nulla. Sbagliare
la scelta iniziale è un lusso che non possiamo più permetterci. Ma come
aiutare i giovani? E, soprattutto, verso quali lavori indirizzarli?
«Bisogna prevedere percorsi di orientamento che sappiano indirizzare
gli studenti verso la scelta più adeguata alle singole caratteristiche
e aspirazioni. Occorre anche che i giovani sappiano quali sono le
richieste del mondo del lavoro, proprio per evitare che si perpetui il
disallineamento tra scuola e lavoro. Il potenziamento dei servizi di
placement nelle scuole e nelle università, il conferimento dei
curriculum in “clic lavoro” e le analisi in corso per tracciare i
percorsi di transizione tra scuola e lavoro sono strumenti importanti
che tutti i giovani devono conoscere».
Fra le nuove lauree alcune si sono dimostrate poco o per nulla
spendibili sul mercato, come quella in scienza della comunicazione:
pochi i posti disponibili a fronte di migliaia di nuovi laureati ogni
anno. Non sarebbe meglio introdurre una specie di segnaletica per
identificare i percorsi che rischiano di portare i ragazzi verso
un vicolo cieco?
«Abbiamo già previsto che l’occupabilità garantita dalle università sia
un parametro per la distribuzione premiale di una quota del
finanziamento ordinario. Le università i cui laureati iniziano a
lavorare prima avranno più risorse. La maggiore trasparenza e una sana
competizione tra gli atenei permetteranno agli stessi di pubblicizzare
maggiormente i propri successi e di conseguenza consentiranno agli
studenti di scegliere con più consapevolezza percorsi e università in
grado di garantire un lavoro all’altezza delle loro aspettative».
Cosa pensa della proposta del professor Bertagna di insegnare un lavoro
manuale anche ai giovani che si stanno diplomando o laureando?
«La considero una promozione dell’istruzione tecnica e
professionale, dell’integrazione tra scuola e lavoro, il superamento di
una mera classifica tra diversi percorsi di studio. È giusto che la
“intelligenza nelle mani” di cui parlava Don Bosco sia valorizzata così
come la valenza educativa del lavoro»
Un'ultima domanda: se le fosse dato di cambiare tre cose, dalla sera
alla mattina, del nostro sistema scolastico, a cosa metterebbe mano?
«Abbiamo cambiato molto più di tre cose. Abbiamo realizzato molte
riforme nella scuola e nell’università. Si tratta di cambiamenti
importanti, i cui risultati arriveranno nel tempo. Certamente, sono
stati meditati e ragionati. Le riforme della scuola non si possono fare
dalla sera alla mattina. Nemmeno nei sogni».
di Attilio Barbieri