Devo essere sincero: non
credo più ai maxi-concorsi. Per qualsiasi professione. Ma preferisco
tutte quelle iniziative che garantiscono la stretta vicinanza tra ruoli
professionali e servizio agli utenti. Come non credo più, per questi ed
altri “ruoli pubblici”, al valore taumaturgico dello Stato e delle sue
propaggini amministrative, centrali-ministeriali o periferiche -
regionali.
Credo, invece, che dovremmo davvero prendere sul serio il nuovo Titolo
V della Costituzione (legge n. 3 del 2001), e consentire per legge
dello Stato, una volta stabiliti gli standard nazionali ed un ruolo
“terzo” del corpo ispettivo, alle singole regioni, come già avviene
nelle province autonome di Trento e Bolzano, di indire concorsi
pubblici, aperti a tutti, ma vincolati alla copertura dei posti della
sola regione prescelta, senza quelle furbate già troppe volte
denunciate: perché il rigore di una singola regione, come è successo
nel Veneto, non deve essere aggirato dal lassismo o legalismo di altre
regioni?
Sussidiarietà significa rimettere al centro anche nel mondo della
scuola gli enti locali, e non più lo Stato-Tutto.
Proviamo a pensare, anche per i concorsi pubblici, a cosa significa
democrazia reale: se, in una scuola, dei docenti o presidi o bidelli
non funzionano, perché non dare il potere ai rappresentanti dei
cittadini in loco, a seguito degli esiti di un sistema di valutazione,
anche di chiudere una scuola, di licenziare “chi non funziona”, di
mettere in mobilità (senza nessuna precedenza) chi non è in grado di
assumere questa responsabilità pubblica?
Questo significa realizzare in concreto il valore pubblico del servizio
scolastico, togliendolo da una sorta di aureola mistico-statalista,
quella che ancora oggi produce situazioni imbarazzanti nelle scuole,
con i poveri dirigenti costretti a vere giravolte ogni anno pur di
sistemare quei docenti che nessuno vuole.
O addirittura gli stessi dirigenti a sua volta dopo i tre anni di
contratto, su scuole sottodimensionate (per diverse situazioni)
traggono il beneficio di precedere i colleghi dirigenti che hanno
lavorato migliorato le loro scuole, magari con complessità ampia
(appunto giuste- dimensionate) e vengono preceduti da chi non ha NESSUN
MERITO (differenza di fascia – di complessità, esperienza di
professionalità) visto che, dopo l’abolizione di grado in questi
due ultimi anni abbiamo visto la fuga dal 1° grado al 2° grado, cosa
che oltremodo suscita qualche perplessità, considerato il bando del
penultimo concorso 2004 (graduatoria / punteggi / numero posti in
rapporto tra 1° e 2° ).
E pare di dire nello specifico, Questa è la scuola reale, sconosciuta
al Miur, viste le loro circolari e le successive interpretazioni a
livello regionale.
Un concorso per l’insegnamento indistinto aperto a tutti, cioè un
concorso ordinario, senza questo nuovo scenario, non farebbe altro che
riprodurre all’infinito i soliti mali, anche se darebbe una chance ai
giovani in gamba, immolati alla speranza di agguantare un posto (in
totale 12.500) su 300.000 aspiranti.
Dopo l’ultima legge sulla riorganizzazione della rete scolastica (tagli
di oltre 3000 autonomie scolastiche), non ha più senso un maxi-apparato
come il nostro Miur, che al mondo è secondo, come agenzia di lavoro,
solo dopo il Pentagono.
Noi dobbiamo uscire dai vecchi vizi assistenzialistici, quelli che
hanno sino ad ora impedito di pensare alle riforme della scuola non a
partire dal meglio per i nostri studenti e le famiglie, ma solo sui
compromessi sugli organici.
E’ ad esempio serio che il Miur continui a ignorare che il cambio di
supplenti delle ultime settimane (“fino agli aventi diritto”), in barba
alla continuità didattica e al bene dei nostri studenti, è un vulnus
che va sradicato? Ci vuole molto a scandire in modo tempestivo i tempi,
nel rispetto della scuola reale?
Il peccato originale, anche della scuola, è presto detto: è la realtà
che si deve conformare alle norme, o non sono piuttosto le norme che
devono registrare e poi incanalare il dinamico principio di realtà
verso nuove prospettive?
L’autonomia scolastica deve diventare, in questo contesto, la vera
cerniera tra cittadini e istituzioni: perché non pensare a reti locali
di scuole che mettono a bando posti di docenti, dirigenti scolastici,
ata, con una commissione mista scuola-territorio?
Le scuole, in poche parole, devono diventare “scuole delle comunità
locali”, cioè scuole dello Stato inteso, però, come incarnazione in
loco delle istituzioni, non più staccate, lontane, autoreferenti, come
è oggi.
In più: noi dobbiamo fare in modo che i giovani bravi scelgano la
scuola come professione, come prima opzione, e con stipendi adeguati,
se giudicati bravi.
Se qualcuno ha qualche dubbio, vada a vedere la situazione nelle
province di Trento e Bolzano.
C’è il rischio reale di scuole ed enti locali che, in stile mafioso,
imbroglino le carte? Qui deve essere chiaro il ruolo del corpo “terzo”
degli ispettori (da ampliare e potenziare), ed i cittadini vanno poi
aiutati perché possano pretendere qualità e trasparenza anche del
servizio scolastico.
Ha ancora senso regalare tanti cento e lode a maturità, se poi queste
votazioni non sono accompagnate da una reale preparazione, da
competenze accertabili? Ha ancora senso vedere tanti giovani con titoli
di studio senza mercato del lavoro?
Perché non intervenire più concretamente nel reale orientamento
scolastico, cosa che solo le reti di scuole possono realizzare, con un
POF condiviso e multi-facce?
Una cosa che ritroviamo poi in tutte le scuole d’Italia è questa: nelle
scuole tutti sanno chi sono i bravi docenti e quali non funzionano, lo
stesso vale per i dirigenti scolastici, e tutti sanno se alcune scuole
hanno buona o cattiva reputazione.
La trasparenza e il principio di responsabilità anche in questi casi
sono il cuore della democrazia reale, non quella decantata a parole, ma
negata nei fatti dei tanti statalisti di turno.
Questa è la “buona politica” che manca all'Italia. Non hanno più senso
le obiezioni del tipo: “ma le scuole garantiranno un cattivo servizio,
se lasciate agli enti locali...”. Allora verrà fuori la differenza tra
buona scuola e cattiva scuola, e prima o poi saranno gli stessi
cittadini che si rifiuteranno di mandare i propri figli in queste
scuole.
Ognuno, come e' giusto, sia un po' artefice del proprio destino. Cioè
la sana etica della responsabilità personale. Che vale per tutti, per
il Nord come per il Sud.
I docenti quindi andranno assunti a livello regionale e locale, con un
sistema di valutazione. Lo stesso per i dirigenti scolastici e per il
personale non docente. Mentre ricordo bene la statalizzazione dei
bidelli più di dieci anni fa.
Una vera follia.
E non dovrà più esserci separazione tra direzione regionale dipendente
dal ministero e la stessa Regione... .
Sergio Coniglio
sergio.coniglio@virgilio.it;
Ds dell’ IISS “ F. Re Capriata” di
Licata (AG)