Uno studente su dieci in
Italia lascia la scuola tra il primo e il secondo anno delle superiori.
E' quanto emerge dal rapporto 'Noi Italia' dell'Istat sottolineando che
la quota di giovani che interrompono la frequenza della scuola
secondaria superiore al primo anno rappresenta un indicatore utile a
monitorare l'efficacia degli interventi di policy in materia di
istruzione.
I progressivi innalzamenti dell'obbligo di istruzione, che si sono
succeduti a partire dall'anno scolastico 1999/2000, ricorda l'Istat,
hanno l'obiettivo di raggiungere i livelli di scolarizzazione degli
altri paesi europei e garantire un livello culturale piu' elevato della
popolazione. L'analisi della serie storica di tale indicatore consente
di valutare i progressi fatti negli ultimi anni in termini di
partecipazione scolastica dei ragazzi ancora in obbligo di istruzione,
che nell'anno scolastico 1999/2000 e' stato portato a 15 anni e
successivamente innalzato a 16 anni nell'anno scolastico 2007/2008,
includendo quindi il primo biennio di scuola secondaria di II
grado.
Una quota ancora consistente di giovani iscritti alle scuole secondarie
superiori decide di lasciare anticipatamente il sistema scolastico nel
corso dei primi due anni e proprio in questo intervallo si verifica la
maggior parte delle interruzioni di frequenza dei percorsi di
istruzione secondaria superiore. A livello nazionale piu' del 12 per
cento degli iscritti al primo anno e il 3,5 per cento degli studenti
del secondo anno abbandona il percorso di studi prescelto.
Giovani e bamboccioni: due milioni né a scuola né a lavoro (da Corriere)
Lo studio Istat certifica ancora una volta la parziale esclusione
sociale dei giovani dai cicli formativi e produttivi del Belpaese Senza
lavoro né impiegati in alcun processo di formazione
I giovani non inseriti in un percorso scolastico/formativo nè impegnati
in un'attività lavorativa sono più di due milioni, il 22,1% tra i
15-29enni (2010), valore tra i più elevati a livello europeo. Lo dice
l'Istat nel rapporto «Noi Italia». Il 6,2% degli adulti è impegnato in
attività formative (2010), valore ancora ben al di sotto del livello
obiettivo stabilito nella Strategia di Lisbona (12,5%).
I GIOVANI E IL LAVORO - La sigla Neet sta per l'inglese «Not in
Education, Employment or Training». Guardando nel dettaglio il dato, la
quota dei Neet risulta più elevata tra le donne (24,9%) rispetto a
quella degli uomini (19,3%). L'Istat spiega come, dopo un periodo in
cui il fenomeno aveva mostrato una leggera regressione (tra il 2005 ed
il 2007 si era passati dal 20,0 al 18,9%), l'incidenza dei Neet sia
tornata a crescere durante la recente fase ciclica negativa, segnalando
l'incremento più sostenuto tra il 2009 e il 2010. A livello
territoriale, Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni con le quote
più elevate (superiori al 30%) seguite da Puglia e Basilicata con
valori intorno al 28%. Nel Mezzogiorno il fenomeno, spiega l'Istat, dei
Neet è peraltro così pervasivo da non mostrare nette differenze di
genere: il vantaggio per gli uomini è minimo (28,6%) rispetto a quello
delle donne (33,2%).
ISTRUZIONE - Altro neo - evidenziato dall'Istat - è l'incidenza sul Pil
della spesa in istruzione e formazione, pari al 4,8% (2009), valore
inferiore a quello dell'Ue27 (5,6%). Circa il 45% della popolazione tra
i 25 e i 64 anni ha conseguito la licenza di scuola media inferiore
come titolo di studio più elevato, un valore distante dalla media Ue27
(27,3% nel 2010). La quota dei giovani (18-24enni) che ha abbandonato
gli studi senza conseguire un titolo di scuola superiore è pari al
18,8% (la media Ue è 14,1%). Lo dice l'Istat nel rapporto «Noi Italia».
I dati più recenti sul livello delle competenze mettono in luce -
sottolinea l'Istat - un recupero rispetto al passato dello svantaggio
degli studenti 15enni italiani in tutti gli ambiti considerati. La
partecipazione dei giovani al sistema di formazione al termine del
periodo di istruzione obbligatoria è pari all'81,8% (15-19enni) e al
21,3% (20-29enni).
L'INFORMAZIONE - Ancora l'Istat avvalora l'Italia come un paese in fuga
dalla lettura: sono poco più della metà della popolazione totale, il
54%, gli italiani che leggono un quotidiano almeno una volta a
settimana. Il 39% lo legge cinque giorni su sette e poco più di una
persona su quattro si informa attraverso il web. Quanto ai libri, ogni
anno nel nostro paese vengono stampate in media 3,5 copie di opere
librarie per ogni abitante, ma nell'arco di un anno poco più del 45%
degli italiani legge almeno un libro nel tempo libero (dato del 2011).
Dall'indagine emerge poi che, al 2010, le famiglie italiane destinano
ai consumi culturali (spese per ricreazione e cultura) il 7,0% della
spesa complessiva per consumi finali. Nello stesso anno, risultavano
essere circa 372 mila le unità di lavoro (1,5% del totale) impiegate in
attività di produzione di beni e servizi per la ricreazione e la
cultura, al netto del settore editoriale. La propensione a svolgere
attività culturali fuori casa è, in generale, più bassa nelle regioni
meridionali rispetto a quelle del Centro-Nord: il divario più elevato
si osserva per le visite a musei e mostre, frequentate da oltre un
terzo degli abitanti del Centro-Nord e da meno di un quinto di quelli
del Mezzogiorno.
L'INFANZIA - L'Italia non sarà un paese per giovani, ma forse lo è per
i più piccoli. Continua a crescere, raggiungendo il 56,2% nel 2009, la
quota di comuni italiani che hanno attivato almeno un servizio tra
asili nido, micronidi o altri servizi integrativi/innovativi per
l'infanzia. Lo rileva l'Istat aggiungendo però che «nonostante i
significativi miglioramenti degli ultimi cinque anni, a livello
territoriale rimane una ampia disparità dell'offerta pubblica di
servizi per la prima infanzia tra i Comuni del Centro-nord e molti del
Mezzogiorno». Nel 2009 la percentuale di bambini in età 0-2 anni che
fruisce di servizi pubblici per l'infanzia Š pari al 13,6%, in aumento
di oltre due punti percentuali rispetto al 2004. La distribuzione
dell'offerta pubblica di servizi sul territorio nazionale rimane molto
disomogenea, con ampi divari fra Centro-nord (18,1%) e Mezzogiorno
(5,1%).
Sos disoccupazione, e i giovani non riescono a finire gli studi.
Boom di scoraggiati, la povertà colpisce 3 milioni di connazionali (La
Stampa)
C’è l’Italia degli oltre due milioni di giovani scoraggiati, che nè
lavorano nè studiano; l’Italia degli oltre 8 milioni di poveri; il
Paese degli acquisti a rate e dei lavoratori in nero. Ma c’è anche
l’Italia dove cresce il numero degli asili nido e calano le rapine e
gli omicidi. L’Istat ha messo insieme 100 statistiche per presentare
una ’fotografià, «Noi Italia», del Paese che cambia.
In primo piano resta la crisi, con l’aumento dei disoccupati di lunga
durata e con le imprese che non decollano perchè troppo piccole e poco
competitive. Ma è un Paese che ce la può fare. «Credo in un Paese - ha
detto il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, nel corso della
conferenza stampa per presentare il dossier - che ha le potenzialità e
le capacità». Cita la sua esperienza personale: «Fino a due anni e
mezzo fa stavo all’estero e ho deciso di tornare in Italia: o non ho
capito niente o credo in questo Paese», ha detto. La speranza della
ripresa arriva dagli stessi dati: «Le esportazioni italiane sono
tornate ai livelli pre-crisi e anche in questo momento difficile
continuano a crescere. Ci sono poi le multinazionali italiane che hanno
creato all’estero un milione e mezzo di posti di lavoro». Per
Giovannini questo è «un momento d’oro per capire come sia messa
l’Italia e dove debba andare».
Ma ecco la foto dell’Italia scattata dall’Istat:
- OLTRE 2 MLN GIOVANI “NEET”. Non studiano nè lavorano; sono il 22,1%
tra i 15-29 anni.
- PIÙ DI 8 MLN POVERI. L’11% delle famiglie ha difficoltà a sbarcare il
lunario.
- DISOCCUPATI, LA METÀ DA OLTRE 1 ANNO. La disoccupazione di lunga
durata riguarda il 48,5% dei senza-lavoro.
- LAVORATORI, 12,3% SONO IRREGOLARI. A Sud in nero uno su 5.
- 1 STUDENTE SU 5 LASCIA LA SCUOLA. L’Italia è tra i Paesi europei con
la più alta quota di abbandono. - IMPRESE, 4 ADDETTI L’UNA. Con questa
media le aziende italiane sono tra le più piccole in Europa.
- IMPRESE, COMPETITIVITÀ IN CALO. E anche inferiore alla media Ue.
- CREDITO AL CONSUMO, AL SUD 21% DEGLI IMPIEGHI. Più del doppio
rispetto alla media nazionale.
- STRANIERI, IN 10 ANNI TRIPLICATI. Sono il 7,5% della popolazione
residente.
- PAESE ANZIANO, SOLO GERMANIA DI PIÙ. Ci sono 144,5 anziani ogni 100
giovani, in Europa solo la Germania presenta un indice di vecchiaia più
accentuato.
- SUPER-MOTORIZZATI. Ci sono 606 vetture ogni 1.000 abitanti.
- MA IL WEB NON DECOLLA. La metà degli italiani naviga su Internet, e
neanche tutti i giorni; in Svezia sono quasi il 90%.
- AUMENTANO DIVORZI. Ma assieme all’Irlanda resta la più bassa
incidenza nella Ue.
- 10% POPOLAZIONE È OBESA. Gli over-size sono aumentati negli ultimi
dieci anni.
- SOLO 1 STUDENTE SU 4 VA A SCUOLA A PIEDI. Tutti gli altri in auto o
in bus. Tra studenti e lavoratori ogni giorno si muovono con mezzi di
trasporto 30 milioni di persone.
- PIÙ ASILI NIDO. Sono ormai nel 56% dei Comuni.
- MENO OMICIDI E RAPINE. Ma per una famiglia su quattro c’è rischio.
- PRIMO PARTO DOPO I 31 ANNI. E il tasso di fecondità, a 1,41, resta
tra i più bassi.
- LIBRI? NON GRAZIE. Solo il 45% ha letto un libro negli ultimi 12 mesi.
Istat: 2 mln giovani non studiano e non lavorano, 2* solo a Bulgaria
(ASCA) - In Italia oltre 2 milioni di giovani non studiano e non
lavoro, peggio di noi in Europa fa solo la Bulgaria. E' quanto emerge
dal rapporto ''Noi Italia'' diffuso oggi dall'Istat.
Nel 2010, si legge, in Italia piu' di due milioni di giovani (il 22,1
per cento della popolazione tra i 15 ed i 29 anni) risulta fuori dal
circuito formativo e lavorativo. La quota dei Neet e' piu' elevata tra
le donne (24,9 per cento) rispetto a quella degli uomini (19,3 per
cento). Dopo un periodo in cui il fenomeno aveva mostrato una leggera
regressione (tra il 2005 ed il 2007 si era passati dal 20,0 al 18,9 per
cento) l'incidenza dei Neet torna a crescere durante la recente fase
ciclica negativa, segnalando l'incremento piu' sostenuto tra il 2009 e
il 2010.
In Italia la quota dei Neet e' di molto superiore a quella della media
europea (22,1 e 15,3 per cento rispettivamente).
L'incidenza e' significativamente piu' alta rispetto ai principali
paesi europei quali la Germania (10,7 per cento), il Regno Unito, la
Francia (14,6 per cento entrambi) e piu' simile a quella della Spagna
(che con il 20,4 per cento si colloca al quint'ultimo posto
dell'ordinamento). I divari riflettono in primo luogo il minore
inserimento dei giovani italiani nell'occupazione e, in secondo luogo,
la loro maggiore presenza nella condizione di inattivita' (piuttosto
che di disoccupazione) rispetto ai giovani degli altri paesi europei.
D'altro canto, i risultati danno conto della minore capacita' del
mercato del lavoro italiano di includere i giovani con il conseguente
rischio che lo stato di inattivita' si trasformi in una condizione
permanente. Nella maggior parte dei paesi il fenomeno coinvolge in
misura maggiore le donne (mediamente 17,3 per cento contro il 13,3
degli uomini) con divari piu' vicini ai 10 punti nella Repubblica Ceca,
in Grecia e in Romania.
Anche nel 2010 la crescita dell'area dei Neet coinvolge principalmente
i giovani del Centro-Nord, in particolare il Nord-est, dove la crisi ha
intensificato i fenomeni di non occupazione. Tuttavia la quota di
giovani che non lavorano e non studiano aumenta anche nel Mezzogiorno
dove peraltro la condizione di Neet e' di gran lunga prevalente. In
tale area l'incidenza del fenomeno raggiunge infatti il 30,9 per cento
(contro il 16,1 per cento nel Centro-Nord), ponendo in luce le
criticita' di accesso all'occupazione per un gran numero di giovani
residenti nel meridione. Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni
con le quote piu' elevate (superiori al 30 per cento) seguite da Puglia
e Basilicata con valori intorno al 28 per cento. Nel Mezzogiorno il
fenomeno dei Neet e' peraltro cosi' pervasivo da non mostrare nette
differenze di genere: il vantaggio per gli uomini e' minimo (28,6 per
cento) rispetto a quello delle donne (33,2 per cento).
(Adnkronos)
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