Nell'ultimo
decennio l'insegnante è diventato il bersaglio di una operazione di
demolizione del riconoscimento sociale che lo ha invece accompagnato
per lungo tempo nel secolo scorso. Accusato di fare un pat-time di
fatto, di esercitare un doppio lavoro e di evadere le tasse attraverso
le lezioni private. La figura e il ruolo del docente è sempre più
"sotto esame". Con il risultato di una sempre maggiore disaffezione,
stress, percezione della perdita del proprio prestigio sociale,
disorientamento, da parte del corpo docente che continua comunque a
svolgere, nella gran parte dei casi, con "passione" la propria
professione.
E' uno dei dati che emerge da una recente indagine sugli insegnanti
italiani "Valori costituzionali e comportamenti professionali",
condotta dal Cidi (Centro di iniziativa democratica degli
insegnanti),per conto del Comitato Italia 150, attraverso la quale
2.300 insegnanti hanno evidenziato le proprie motivazioni e
disillusioni, idee e comportamenti, valori e prospettive della loro
professione in un momento particolarmente delicato della scuola
italiana.
Il primo dato che emerge è che contrariamente a quanto si pensi
comunemente, «quella dell'insegnante è un'attività che raramente si
sceglie per caso, mentre rimane in genere decisivo l'aspetto
vocazionale». Infatti alla domanda sul perché si insegna, oltre la metà
del campione (53,1% ha scelto l'opzione "per realizzare una mia
aspirazione personale" mentre 4 su 10 (41,1% hanno indicato "per
contribuire alla formazione dei giovani"). Una percentuale molto
contenuta (13,5%) riconduce tale scelta alla volontà di "trasmettere le
conoscenze apprese".
«Insegnare, al di là di quella che può essere l'immagine veicolata dai
media o legata al senso comune di chi vede la scuola dal di fuori -
evidenzia la ricerca del Cidi - è un'attività lavorativa difficile e
impegnativa. è innanzitutto un lavoro che provoca stress perché si è
direttamente a contatto con altre persone, in questo caso gli allievi
ma anche colleghi, dirigenti e genitori». D'altra parte, però, proprio
il rapporto diretto con bambini, ragazzi e giovani costituisce una
delle fonti di maggior riconoscimento, soddisfazione e gratificazione
di questo lavoro.
Analizzando i motivi di insoddisfazione la ricerca conferma i sintomi
di una profonda insoddisfazione per una professione che ha scarso
riconoscimento sociale (per il 69,4% del campione) e che è
caratterizzata dalla mancanza di una progressione economica (per il
52,7%).
Gli insegnanti puntano il dito anche sul alcune trasformazione della
scuola : ben il 34% del campione esprime, ad esempio, un giudizio
negativo sull'autonomia scolastica, ritenuta colpevole di aver
"trasformato la scuola in un'azienda". Sempre rispetto all'autonomia
scolastica, un numero analogo di intervistati fa sentire la propria
delusione, ritenendola "un'occasione perduta perché applicata male e
senza risorse" (per il 35,5%).
Ma, quando si chiede di indicare i motivi di soddisfazione, la
stragrande maggioranza degli insegnanti (55,7%) risponde "Mi mette a
contatto con i giovani" ( nella scuola secondaria tale risposta
raggiunge il 74,5%), ben il 48,5% indica tra i motivi di soddisfazione
il fatto di sapere il proprio lavoro "è molto importante per la
società" oppure che "è una lavoro creativo" (48,2%). La maggioranza
assoluta degli intervistati (57,3%) confermerebbe comunque la scelta di
insegnare contro il 7,7% che cambierebbe in ogni caso.
Anche nel caso delle funzioni della scuola pubblica l'indicazione che
prevale è quella valoriale. Ben oltre l'82% degli intervistati,
infatti, indicano quella di "educare ai valori e alle regole della
convivenza civile" la più importante funzione della scuola pubblica.
Tale finalità ottiene un ampio consenso e distacca nettamente le altre
importanti funzioni tra le quali "acquisire un metodi di apprendimento"
(54,1%) e "acquisire conoscenze e competenze disciplinari" (51%). Poca
rilevanza assumono, invece "preparare e orientare ad una professione"
(17,7%) e "fornire un'occasione di conoscere cose nuove" (17%).
Sempre per quanto riguarda i valori, per la quasi totalità del campione
la scuola dovrebbe educare soprattutto a "rispettare le norme",
"all'importanza della cultura" (entrambi i valori per il 98,7% dei
rispondenti dovrebbero essere trasmessi "molto o abbastanza" dalla
scuola ) e alla "libertà di pensiero e di espressione" (per il 98,5%),
a insegnare il "rispetto degli altri e la loro integrazione" (per il
98,5%). Seguono, di poco, "l'uguaglianza delle persone" (98%), la
"solidarietà, l'impegno e il senso di giustizia" (per il 97,5%).
Per quanto riguarda la valutazione, secondo gli insegnanti serve poco
"a premiare chi studia e a punire chi non lo fa" ( appena il 5,8% del
campione); la sua funzione è soprattutto quella di "verificare quali
contenuti e quali competenze non sono adeguarti e vanno ripresi nella
lezione" (lo ritiene poco più del 60% degli intervistati), ma anche a
far "comprendere agli allievi e alle famiglie quali sono i
miglioramenti e le carenze nello studio" (60,9%) e a "individuare gli
allievi più deboli sui quali intervenire con azioni di recupero oppure
quelli più meritevoli di approfondimento" (58,5%).
Per quanto concerne, invece, ciò che effettivamente è trasmesso a
scuola , i dati mostrano tutto sommato una congruenza tra "dover
essere" ed "essere", anche se con percentuali che denotano forse una
efficacia inferiore alle attese: restano ai primi posti "la libertà di
pensiero e di espressione" (per il 77,7), "l'uguaglianza delle persone"
(76,4%), "il rispetto degli altri e la loro integrazione" (per il
73,5%), "la solidarietà" (68,4%), «l'impegno» (66,6%) e «il rispetto
delle norme (66,7%). Sempre per oltre due terzi del campione, la scuola
insegna "il valore della pace" (70,9%).
Il giudizio sugli studenti della propria scuola , infine, appare
piuttosto articolato. Per la maggioranza degli studenti "l'arte di
arrangiarsi" è la caratteristica più diffusa tra gli allievi (per il
73,9%). Seguono "lo scarso senso civico" (69%) e il "pressappochismo"
(68,5%). Ttra le principali qualità indicate la "creatività" (67,5%) e
la "solidarietà"(65,9%).
(da Lastampa.it)
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