Da quando scrissi
l’editoriale da lettore sul quotidiano “La Stampa” (17 novembre 2010) è
trascorso più di un anno. Ho provato, partendo da un’idea da tempo
latente, a stimolare una reazione e una riflessione, tentando di
coinvolgere gli istituti di istruzione artistica della mia Regione
(oramai tutti orgogliosamente “Licei”), insieme a qualche ente locale,
in una iniziativa che credevo interessante e culturalmente rilevante.
Ho proposto di lavorare su una pubblicazione di pregio che raccogliesse
le esperienze storiche dell’istruzione artistica di un territorio
emblematico per tutta l’Italia, attraverso le immagini di prodotti e
progetti di eccellenza e brevi racconti di esperienze
creative.
Dopo alcuni incontri per
illustrare il progetto, cui parteciparono pochi rappresentanti delle
scuole che pure avevano aderito, estendemmo la proposta alle
amministrazioni provinciali e ad alcune fondazioni, senza peraltro
ottenere impegni concreti, al di là delle rituali dichiarazioni di
generico interesse. http://www.educationduepuntozero.it
Nel frattempo, è passata, in mezzo alla rassegnazione generale, la
“riforma” della scuola secondaria di secondo grado della ministra
“Gelmini”, che ha travolto del tutto, con i suoi tecnicismi, la sua
demagogia, la poca sostanza e le innumerevoli mutilazioni, anche il
settore dell’istruzione artistica; “licealizzandolo”, la riforma ha
finito per spazzarne via le peculiarità e le eccellenze curricolari che
il mondo educativo e del lavoro in campo artistico e del “made in
Italy” ci invidiavano.
Le scuole che si erano impegnate nel progetto piano piano si sono
defilate, disimpegnandosi, a eccezione di quelle dirette da dirigenti
“storici” con carriera nell’istruzione artistica. Le scuole alla fine
sono rimaste in due… A questo punto, lasciati soli dagli istituti
scolastici, dagli enti locali e anche dalle fondazioni che
presumibilmente non sono state attratte da un progetto con pochi
sponsor politici, l’idea è stata abbandonata, nonostante si fosse in
possesso di un archivio di materiale testuale e iconografico veramente
prezioso.
Questo è solo un piccolo esempio della deriva che hanno imboccato le
antiche e prestigiose “scuole d’arti e mestieri”. Il disinteresse per
la propria storia è il sintomo di una perniciosa trasformazione.
Gli Istituti d’Arte si sono “elevati” quasi tutti al rango di Liceo, ma
hanno perduto del tutto quell’aspetto determinante del loro fare
artistico: quella qualità denominata “manualità colta” che
caratterizzava gli atelier delle varie discipline progettuali
(arredamento, moda, metalli, tessitura, ceramica ecc.) che tante
personalità artistiche hanno formato nel tempo.
Le scuole son sopravvissute a sé stesse macinando decine e decine di
progetti, spesso al servizio degli eventi più o meno provinciali e
modesti, quando non dozzinali seppure pretenziosi, promossi da enti
locali, aziende, associazioni di categoria.
Ho assistito, mio malgrado, a molte manifestazioni avvilenti di questo
tipo, spinte dalla velleità di fare promozione a futuri studenti, la
cui qualità della vocazione pare, invece, essere sempre in discesa.
Presso l’opinione pubblica, infatti, anche il liceo, presunta
trasformazione miracolosa dell’anatroccolo “istituto d’arte” nel cigno
della cultura e della creatività, sta scivolando verso una scuola di
serie C, adatta solo a intrattenere e, in sporadici miracolosi casi,
che non fanno statistica, a formare rarissime eccezioni di giovani
creativi e colti al tempo stesso, pronti per un mondo del lavoro o per
la prosecuzione degli studi nel campo progettuale e artistico.
Nel nuovo modello di scuola, la parte progettuale è confusa, ridotta
nei tempi, priva dei laboratori e, sostanzialmente, di quella manualità
che avrebbe avuto solo bisogno di più cultura invece di essere, di
fatto, ridotta e, in qualche caso, perfino abolita.
Proliferano gli indirizzi di studio, configurando così una scelta
orientativa complessa e difficile, oltre che inadeguata, in un biennio
di “assaggio” delle varie discipline; ciò crea solo confusione negli
studenti, nonché una spiacevole “guerra“ tra poveri docenti, a caccia
del consolidamento della propria cattedra nel successivo triennio di
indirizzo.
Si esaspera quella malattia che un tempo chiamai, in uno studio
sull’offerta formativa nella mia Regione (non diversa da altre
Regioni), la “progettite”, mentre emerge la carenza di formazione e
aggiornamento dei docenti sulle discipline progettuali e sulle
metodologie della progettazione didattica e della valutazione
nell’ambito artistico, creativo e della percezione.
Il management delle scuole d’arte ha perso quel background di
esperienza e conoscenza dello specifico pedagogico e didattico degli
storici dirigenti che, oltre a essere culturalmente ben fondati e
preparati perché professionisti dell’arte, avevano trascorso una vita
intera negli ambiti dell’istruzione artistica, prima da docenti e poi
da dirigenti, quando non addirittura anche da studenti!
Forse che Conservatori di Musica e Accademie sono stati mai diretti da
qualcuno che non fosse musicista o uomo d’arte o di teatro?
Il tragico errore di omologare e appiattire la dirigenza scolastica a
un ruolo, di fatto, unificato ha contribuito non poco a procurare danni
all’istruzione italiana, anche in un settore specialistico che era il
vanto della nostra nazione, perché intimamente legato al suo immenso
patrimonio culturale, artistico e progettuale espresso in beni e
capitale umano.
Non si vedono più i prodotti artistici di un tempo e non se ne vedono
nemmeno di innovativi! Le iscrizioni, in genere, sono in calo e le
politiche del poco rigore, a vantaggio dei numeri (di iscritti),
accanto a un ipocrita concetto di accoglienza, tout court, del disagio
sociale e della disabilità (spesso per “avere i numeri”), che di fatto
si trasforma in semplice intrattenimento (mentre le percentuali di tale
accoglienza nei Licei Classici è pari quasi a zero!). Come se non si
sapesse che l’integrazione è altro! E che il fare arte davvero, per la
disabilità, potrebbe essere un viatico eccezionale verso
l’emancipazione e la crescita insieme ai propri compagni di classe che
sono sicuramente più diversi tra loro!
Invece di valorizzare le punte di eccellenza dei vecchi curricula si
butta il bimbo con l’acqua sporca per costruire un Liceo che non ha né
capo né coda e distrugge quanto di buono vi era negli Istituti.
Questi avrebbero potuto essere soltanto migliorati e aggiornati,
inserendo più cultura e personale qualificato nelle discipline
artistiche e integrando meglio le due “anime” della scuola: quella
artistica, appunto, e quella delle discipline fondamentali come la
lingua italiana (che spesso è invece trattata come la lingua straniera,
fino a ieri non prevista (!) nel curricolo ordinario), la storia, le
scienze, la matematica. Con ciò, superando anche quella sconcia prassi
del minimo “sei politico” nelle materie artistiche, contro le normali
classificazioni (e quindi anche insufficienti) nelle materie
denominate, all’interno di queste scuole con un eloquente lapsus
freudiano, “culturali”.
Sarebbe bastato interpellare gli esperti dell’istruzione artistica per
innovare curricula e contenuti, formare e aggiornare docenti, insegnare
loro la pedagogia e la valutazione, senza limitarsi ad affibbiare il
nome altisonante di Liceo a un curricolo impoverito e snaturato.
L’ultima speranza che ci sorregge e ci incoraggia, prima che il latte
sia interamente versato, è che le prossime rinnovate compagini
governative si accorgano dei danni impliciti nella riforma di soli
tagli e abbagli del ex ministro Gelmini, e vi pongano rimedio;
rifondando l’istruzione secondaria di secondo grado, con l’umiltà di
far tesoro delle esperienze storiche sperimentali, del contributo di
tanti professionisti e, soprattutto, delle voci della scuola.
(di Giuseppe Campagnoli da Education 2.0)
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