Mi ricordo che a mio
papà spesso gli “ritornava” in mente e mi raccontata un fatto accaduto
ad un contadino dei Nebrodi, amante della caccia, negli anni lontani
della sua adolescenza (mio padre è nato nel 1923).
Questo contadino appassionato di caccia trovava “i momenti” per
dedicarsi alla sua passione e molto spesso si inoltrava per i boschi
dei Nebrodi in cerca di selvaggina, ed in una di queste
“incursioni”, in un anfratto, sentì un flebile guaire e si trovò fra le
mani un “piccolo affarino” di cucciolo “canide”.
Egli rincasò nella sua casa portandosi quell’animaletto e ben presto le
sue attenzioni vennero rivolte esclusivamente a quel cucciolo. Le
giornate del contadino nebroideo, da quel momento, furono dedicate,
oltre al lavoro, alla campagna ed alla famiglia, ad accudire
“quell’esserino”, anzi il suo pensiero prioritario consistette nel
dargli da mangiare ed evitare che ingurgitasse tutto quello che gli
veniva “offerto”.
Passavano i mesi ed il cucciolo si faceva più grande, il cacciatore non
aveva nessun dubbio che si trattasse di un cucciolo di lupo. L’animale
non faceva altro che “seguire” il padrone e lui era talmente contento
che se lo portava “d’appresso” dappertutto. Lo accudiva, lo puliva, gli
dava da mangiare, quasi si toglieva “il pane di bocca” per sfamare quel
“piccolo famelico”.
Il contadino ed il cucciolo erano entrati in “simbiosi”, tanto che egli
era convinto, essendo cresciuto sempre con lui, che il cucciolo,
addirittura, potesse diventare, a tutti gli effetti, un cane, ed
abbandonare la sua “natura di lupo”. Gli sembrava che la familiarità
con cui lo trattava avrebbe preso predominanza “domestica” e il
cucciolo potesse “agire” come un “semplice” cane.
Un giorno, il contadino, per soddisfare il suo “vezzo” per la caccia si
avviò nel bosco e si inoltrò dentro la vegetazione, seguito dal “suo”
cucciolo festante. Dopo aver peregrinato per diverse ore, accusando un
po’ di stanchezza, cercò un posto per riposarsi. Egli si adagiò sotto
un albero mentre il cucciolo trotterellava attorno.
Avvenne che, mentre il contadino era con gli occhi chiusi in
posizione di riposo e con il fucile carico poggiato accanto, il
cucciolo di lupo, già “grandicello”, si avvicinò, con “fare ostile”,
verso di lui, digrignando con un atteggiamento “poco domestico”, anzi,
a dire il vero, molto iroso, e facendo, inoltre, un paio di giri
attorno al padrone. Il cacciatore, con gli occhi chiusi ma sveglio,
stette immobile e, “armatosi” di sangue freddo, aspettò che il lupo si
acquietasse. La sua fortuna fu che il cucciolo di lupo si lasciò
distrarre dallo svolazzare di uno stormo di uccelli correndogli dietro.
Questo “fatto” decretò la fine dell’animale, in quanto il contadino dei
Nebrodi, in un baleno, imbracciò il fucile che aveva accanto e lo
“impiombò” con due pallottole.
Quello che fino ad ora ho raccontato è l’epilogo del “rapporto” tra il
contadino ed il cucciolo di lupo dei Nebrodi. Io non ho nulla contro
questi mammiferi della famiglia dei canidi, ma è anche vero che non
bisogna nascondere la “loro pericolosità”, basta pensare a quello che,
ogni tanto, leggiamo sui giornali o che sentiamo alla TV. “Dei lupi che
si sono avvicinati ai paesi, nel mese di febbraio di quest’anno, a
causa delle forti nevicate abbattutesi sulle montagne, e la fame li
rende pericolosi”.
Sul racconto del cucciolo di lupo e del contadino dei Nebrodi si
possono prendere e fare diversi paragoni. In questo mio scritto, voglio
parlare di un grave problema che attanaglia, soprattutto, i giovani, il
vizio di “ingerire”, in modo spropositato, sostanze alcoliche, di
“sniffare” droghe, e di passare all’assoluta dipendenza.
Prendendo “spunto” del cucciolo di lupo dei Nebrodi, lo voglio
paragonare ad un’altra storia di lupi. Il lupo dei Nebrodi come il lupo
di Rimbaud! Ma considerando che quello di Rimbaud è molto più
pericoloso del lupo dei Nebrodi, in quanto dotato di maggiore
esperienza ed aggressività, tanto che il poeta lo descrisse così: “Il
lupo che gli camminava al fianco lo azzannò alla gola e lo sbranò!”.
La “similitudine” consiste nel fatto che il contadino dei Nebrodi ebbe
il desiderio di soddisfare il suo rapporto con la natura prendendo ed
allevando il cucciolo di lupo, una soddisfazione apparentemente
innocente e buona, nutrì il “frugolino” fino a farlo diventare
cucciolo: una “simbiosi” tra l’animale ed il contadino.
Ma il lupetto manifestò, ben presto, la sua natura felina, “annusando”
colui che lo aveva allevato, “onorando”, così, il famoso adagio: “il
lupo perde il pelo ma non il vizio…”.
Aveva sbagliato il contadino dei Nebrodi a prendersi cura del cucciolo?
Per l’esperienza acquisita, si sarà ben guardato, in seguito, d’andare
in cercare di altri cuccioli di lupo!
Per parlare della dipendenza da alcol, droga, gioco d’azzardo ed altri
vizi, e volendo trovare una “similitudine “ tra il lupo dei
Nebrodi e quello di Rimbaud, possiamo dire che il desiderio di fare
qualcosa per semplice soddisfazione o per “sfizio”, a prima vista,
sembra innocuo e di scarsa rilevanza. Al nostro contadino parve
“simpatico” prendersi cura del cucciolo trovato ne bosco, sembrò
piacevole accudire l’animale, tanto che i suoi pensieri erano rivolti
solo a questo scopo ed era entrato in “simbiosi” con il quadrupede
famelico. Questa è l’abitudine morbosa che spinge l’uomo verso qualcosa
che gli è dannoso, che, irrimediabilmente, diventa vizio. Ed il
vizio è un lupo! Per poi giungere al baratro della “dipendenza”,
cioè la forma patologica ed ossessiva che fa diventare schiavi gli
uomini, prigionieri dei loro vizi, tanto che non ne possono più fare a
meno e si trova “appagati” solamente quando si giunge alla “patologica
assunzione” di alcol, droghe e altri “gesti compulsivi” (gioco
d’azzardo, pornografia o altro).
Il vizio (il lupo) ha un solo scopo: crescere, svilupparsi e rendere
schiava la persona, nell’attesa di azzannarla alla gola e poi
sbranarla. Questo è il vizio-lupo che vuole condurre la sua preda verso
il baratro della dipendenza per precipitarla giù.
Per non cadere in questa forma di giogo (sottomissione morbosa),
bisogna conservare sempre una certa dose di “autonomia mentale”, per
poter discernere i passi che facciamo e se sbagliamo dobbiamo aver la
forza d’animo di riconoscere i nostri errori ed avere la forza e
il coraggio di saper “voltare pagina” e cambiare “stile di vita”.
Se ci accorgiamo che la semplice “soddisfazione – sfizio” incomincia a
prendere corpo in noi e si trasforma in “abitudine morbosa – vizio”,
dobbiamo avere la forza di volontà di “imbracciare” il fucile
(l’azione della nostra mente, suffragata dal senso di amor proprio) ed
“impallinare” (stroncare fin dalla nascita) il vizio (lupo) che
vuole camminare al nostro fianco per poterci poi distruggere
definitivamente.
Quindi, per combattere l’uso ossessivo di alcol, droghe, ed altro,
bisogna saper dire di “no” al lupo del contadino dei Nebrodi e,
naturalmente, “no” al lupo di Rimbaud.
Volendo fare un riepilogo, possiamo dire che lo “sfizio” deve rimanere
isolato nelle nostre “semplici soddisfazioni”, altrimenti si trasforma
in “vizio” che, come un lupo famelico, ci avvolge nella morbosità (che
arreca malattia) per poi farci precipitare nel baratro della
“dipendenza”.
Meglio trovare “piacevoli soddisfazioni” nel ritornare ai sani valori
di una “buona vita”, avendo timore di Dio, rispettando il nostro corpo
come dono divino, e, soprattutto, “rispolverando” le vere
priorità che sono: rispettare la famiglia, onorare i propri
genitori, essere dei buoni cristiani, “gustare” quello che abbiamo,
ringraziando Dio che ci dà la salute, operare nel consesso sociale
rispettando il prossimo, lavorare onestamente, solo così facendo,
invece di guastare il nostro corpo e diventare schiavi dell’alcol
e delle droghe, cominceremo a guardarci attorno e ci accorgeremo
che intorno a noi “non tutto è grigio”, come ci vuole fare credere il
lupo – vizio.
C’è una famosa canzone che dice: “dai un senso alla tua vita”. Il
“senso”, il significato, si può dare non cadendo nella morbosità dei
vizi e della dipendenza, ma alzando il nostro sguardo per cercare la
via d’uscita. Questa la si può trovare, solamente, se abbiamo la voglia
e il desiderio di trovarla. “La via, la verità e la vita”: il timore di
Dio, fare la Sua volontà perché il Signore ha pensieri buoni per noi,
pensieri di pace e non di male, pensieri di speranza e di amore.
Giuseppe Scaravilli