LA CIVIT ACCOGLIE PIENAMENTE LA TESI SOSTENUTA NEL NOSTRO ESPOSTO, SECONDO CUI L’ANVUR DEVE PUBBLICARE NON SOLTANTO LE VALUTAZIONI COMPLESSIVE DEL LAVORO DI CIASCUN DIPARTIMENTO, MA ANCHE LE VALUTAZIONI DEI SINGOLI PRODOTTI DI CIASCUN RICERCATORE – PERCHÉ L’AZIONE PREZIOSA DELL’ANVUR SIA ANCORA PIÙ EFFICACE
Lettera del nuovo Presidente della Civit, Romilda Rizzo, inviata il 25 maggio 2012 in risposta all’esposto presentato da Andrea e Pietro Ichino il 4 maggio 2012
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Ai professori Andrea Ichino e Pietro Ichino
CIVIT – Protocollo Uscita n. 0001851/2012 del 25/05/2012
Vi comunico che la Commissione, nella seduta del 24 maggio 2012, ha esaminato la Vostra lettera del 4 maggio 2012 relativa alla diffusione dei giudizi sulle singole pubblicazioni valutate dall’Anvur nell’ambito del VQR 2004-2010.
Al riguardo la Commissione ha espresso l’avviso che, stante la chiara formulazione del citato art. 12, e salva la competenza del Garante per la protezione dei dati personali (che, del resto, risulta tra i destinatari della lettera), la Commissione non può che essere a favore della sua integrale applicazione, in coerenza con le previsioni dell’art. 4, lett. h, 1.n. 15/2009 e dell’art. 11, 1° comma, d. lgs. n. 150/2009. Tali norme rendono, altresì, auspicabile anche la diffusione dei giudizi sulle singole pubblicazioni da parte delle università e degli enti di appartenenza degli autori cui le valutazioni si riferiscono, per rispondere meglio alle esigenze di conoscenza prospettate nella lettera.
Romilda Rizzo
presidente della Commissione per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza delle Amministrazioni pubbliche
ABBIAMO CHIESTO ALLA CIVIT E AL GARANTE DELLA PRIVACY DI INTERVENIRE SU DI UN ORIENTAMENTO OPERATIVO DELL’AGENZIA PER LA VALUTAZIONE DELLA RICERCA UNIVERSITARIA, CHE APPARE IN NETTO CONTRASTO CON IL PRINCIPIO DELLA TRASPARENZA TOTALE
Esposto presentato da Andrea e Pietro Ichino alla Civit e al Garante dei Dati Personali il 4 maggio 2012 – In argomento v. la lettera di risposta inviata dal Presidente della Civit il 25 maggio 2012
Al Presidente della CIVIT
Commissione Indipendente per la Valutazione,
l’Integrità e la Trasparenza della Amministrazioni pubbliche
Piazza Augusto Imperatore 32, 00186 Roma – Fax: 06 6834039
Al Garante per la Protezione dei Dati Personali
Piazza Monte Citorio 121, 00186 Roma – Fax: 06.69677.3785
e per conoscenza
al Presidente dell’ANVUR
Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca
Piazza Kennedy 20, 00144 Roma – Fax: 06 9772 6480
I sottoscritti prof. Andrea Ichino, dell’Università di Bologna, e Pietro Ichino, dell’Università degli Studi di Milano, espongono quanto segue.
1. – Sul sito web dell’ANVUR – Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca, alla pagina http://www.anvur.org/?q=it/content/pubblicazione-dei-risultati-della-valutazione, intitolata Pubblicazione dei risultati della valutazione, a una domanda circa le modalità con cui saranno resi pubblici i risultati della valutazione svolta dalla stessa ANVUR sui prodotti della ricerca imputabile a ciascun singolo ricercatore o docente universitario, si legge questa risposta:
“L’articolo 12 (Trasparenza) del DM del 7 luglio 2011 recita: ‘Ai sensi dell’art. 6, comma 4, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204, sarà cura dell’ANVUR diffondere i risultati del VQR 2004-2010, compresi i giudizi sulle singole pubblicazioni valutate, fermo restando il rispetto dell’anonimato degli esperti.’. Poiché però la “trasparenza” non deve collidere con il rispetto della privacy, l’esito delle singole valutazioni sarà unicamente inserito nella pagina personale di ciascun autore del prodotto e degli eventuali co-autori afferenti alla stessa struttura. Sarà resa pubblica, invece, la valutazione aggregata delle pubblicazioni (Area, Dipartimento, Struttura).”
2. – A questo proposito i sottoscritti osservano che l’orientamento operativo espresso dall’ANVUR nel senso di non pubblicare l’esito delle valutazioni relative alle singole pubblicazioni appare in contrasto non soltanto con la disposizione di natura regolamentare citata nello stesso sito dell’Agenzia, contenuta nel DM 7 luglio 2011, ma anche e soprattutto con la norma contenuta nel comma 3-bis dell’articolo 19 del d.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice della Privacy), che recita testualmente:
3-bis. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza. Non sono invece ostensibili, se non nei casi previsti dalla legge, le notizie concernenti la natura delle infermità e degli impedimenti personali o familiari che causino l’astensione dal lavoro, nonché le componenti della valutazione o le notizie concernenti il rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e l’amministrazione, idonee a rivelare taluna delle informazioni di cui all’articolo 4, comma 1, lette4ra d)”.
Il detto orientamento operativo dell’ANVUR appare inoltre in contrasto con la disposizione contenuta nell’articolo 4, lettera h, della legge n. 15/2009, a norma del quale ciascuna amministrazione deve:
“[…] h) assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalla pubblica amministrazione tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna pubblica amministrazione, anche attraverso:
1) la disponibilità immediata mediante la rete Internet di tutti i dati sui quali si basano le valutazioni, affinché possano essere oggetto di autonoma analisi ed elaborazione;
2) il confronto periodico tra valutazioni operate dall’interno delle amministrazioni e valutazioni operate dall’esterno, ad opera delle associazioni di consumatori o utenti, dei centri di ricerca e di ogni altro osservatore qualificato”.
3. – I sottoscritti chiedono pertanto
- se anche la CIVIT rileva il contrasto che sembra concretarsi tra l’orientamento operativo dell’ANVUR di cui sopra e il principio c.d. di trasparenza totale sancito dalle norme legislative vigenti citate;
- se anche il Garante per la Protezione dei Dati Personali concorda sul punto che la pubblicazione delle valutazioni relative a ciascun prodotto della ricerca non viola alcun diritto personale di riservatezza, trattandosi esclusivamente di valutazioni riferite esclusivamente all’oggetto della prestazione del ricercatore o docente universitario, e non ad alcun aspetto della sua vita privata.
In caso di risposta affermativa delle due Autorità su ciascuno dei punti indicati, i sottoscritti chiedono che esse adottino le disposizioni opportune affinché l’ANVUR possa considerarsi, rispettivamente, autorizzata e tenuta al tempo stesso a pubblicare on line tutti i dati inerenti alla valutazione dei prodotti di ricerca presentati da ciascun autore. Osservano in proposito che la pubblicità dei dati inerenti alla valutazione individuale sono di importanza essenziale, in particolare,
- per gli studenti che devono scegliere a quale dipartimento iscriversi: è per loro di grande utilità conoscere non solo indicatori riguardanti la valutazione media della produttività scientifica dei dipartimenti, ma anche l’intera distribuzione di frequenza delle valutazioni dei singoli prodotti.
- per gli studenti iscritti a un dipartimento universitario, i quali devono poter determinare i propri piani di studio e di ricerca sulla base di informazioni complete circa la produttività scientifica dei docenti disponibili;
- per i dipartimenti universitari che intendano promuovere una salutare mobilità tra le sedi, in funzione dell’attività di ricerca svolta dai singoli nelle diverse sedi, e, più in generale, in funzione delle loro scelte di autogoverno e di allocazione delle risorse;
- per i membri dei dipartimenti universitari, i quali devono poter disporre in modo trasparente e immediato (ossia senza doverle richiedere al Rettore o ai Direttori di dipartimento) delle valutazioni dei singoli prodotti anche dei colleghi, ai fini della elaborazione di strategie per il miglioramento della propria valutazione;
- per la crescita qualitativa della comunità scientifica, che attende le valutazioni dell’ANVUR sui singoli prodotti di ricerca per riceverne indicazioni chiare su quali di questi prodotti debbano essere considerati di maggiore valore e quindi su quali di questi prodotti i singoli ricercatori e docenti debbano investire maggiormente;
- per la stessa ANVUR, il cui operato potrà essere meglio controllato e valutato dalla comunità scientifica;
- più in generale per il miglioramento del rapporto tra amministrazione pubblica e cittadini, che (a norma dell’art. 4, lettera h, della legge n. 15/2009, sopra citato, e dell’articolo 11 del d.lgs. n. 150/2009) deve essere caratterizzato dalla trasparenza totale anche in funzione del confronto permanente tra valutazioni operate dagli organi a ciò istituzionalmente preposti e valutazioni operate dai ricercatori e altri osservatori qualificati, anche all’estero.
In fiduciosa attesa della risposta che codeste Autorità intenderanno dare e soprattutto dei provvedimenti che Esse intenderanno adottare in proposito
Milano-Bologna, 4 maggio 2012
Andrea Ichino Pietro Ichino
FUOCO AMICO SULLA LEGGE BRUNETTA: UN EMENDAMENTO DEL RELATORE DI MAGGIORANZA SU DI UN DISEGNO DI LEGGE IN DISCUSSIONE AL SENATO MIRA AD ABROGARE LA NORMA CHE IMPEDISCE DI OPPORRE LA PRIVACY A CHI CERCA NOTIZIE SUL FUNZIONAMENTO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
Editoriale pubblicato sul Corriere della sera il 21 luglio 2009. Seguono: la replica del Sen. Filippo Saltamartini, pubblicata sullo stesso quotidiano il 25 luglio; una mia breve contro-replica; una lettera delle professoresse Elena Aga Rossi e Mariella Guercio, docenti presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, pubblicata sullo stesso quotidiano il 31 luglio.
Con l’introduzione del principio di “accessibilità totale” dei dati e informazioni circa il funzionamento delle amministrazioni, sul settore pubblico si è recentemente accesa una luce forte; tanto forte che alcuni la ritengono addirittura eccessiva. Ora c’è chi quella luce vorrebbe tornare a spegnerla. Penso che ai lettori del Corriere interessi conoscere questa vicenda in tempo utile per potere, una volta tanto, dire la loro, prima e non dopo che la decisione di tornare indietro venga presa.
Posso raccontare la vicenda dall’interno per averla vissuta di persona. Nel testo del disegno di legge che uscì, nel dicembre scorso, dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato era, sì, previsto l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di garantire la trasparenza della propria organizzazione e del proprio funzionamento; ma non si era riusciti a inserirvi una enunciazione piena ed esplicita del principio della “trasparenza totale”. Questa enunciazione vi è stata inserita solo in una seconda fase dell’iter parlamentare, con un emendamento ispirato al principio della full disclosure già da tempo in vigore in Svezia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Era toccato a me presentarlo al Senato nel corso della sessione plenaria, esplicitando la sua diretta derivazione dalle due leggi che con lo stesso nome ‑ Freedom of Information Act ‑ regolano la materia in questi ultimi due Paesi. Nonostante che l’emendamento provenisse dall’opposizione, e che in un primo tempo la Commissione lo avesse ritenuto “eccessivo”, in Aula il relatore di maggioranza sul disegno di legge, Carlo Vizzini, espresse parere favorevole e altrettanto fece in quell’occasione il ministro Renato Brunetta a nome del Governo: ciò di cui va reso merito a entrambi. Ne sono usciti i commi settimo, ottavo e nono dell’articolo 4 della legge n. 15/2009, in vigore dal marzo scorso, dove si stabilisce innanzitutto che “la trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet”, di tutti i dati e le informazioni sull’organizzazione e l’andamento delle amministrazioni. Si stabilisce inoltre che “Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione non sono oggetto di protezione della riservatezza personale” (comma nono).
Per avere un’idea di che cosa questo può concretamente significare, si consideri che è stata proprio una disposizione di full disclosure come questa a consentire a una giornalista britannica di mettere le mani su documenti fino ad allora inaccessibili e di scatenare lo scandalo dei rimborsi-spese di parlamentari e funzionari, da cui il Governo di Gordon Brown ha rischiato di farsi travolgere nelle settimane scorse. Si può ben capire, dunque, che questa norma oggi susciti molte preoccupazioni in casa nostra; e che contro la nuova norma, come vi era da attendersi, si torni ad alzare la bandiera della tutela della privacy dei dipendenti pubblici.
Lo scopo della nuova norma è proprio di voltar pagina rispetto a un quindicennio durante il quale la protezione della privacy dei pubblici dipendenti è stata sistematicamente, quanto indebitamente, utilizzata per sottrarre al controllo dell’opinione pubblica informazioni di grande importanza circa l’andamento delle amministrazioni. L’idea è che non c’è nulla di più pubblico dello svolgimento di una funzione pubblica: tutto di essa deve dunque essere interamente conoscibile da chiunque vi abbia interesse. La linea di confine tra vita privata e svolgimento della prestazione resta pur sempre netta: per esempio, nessuno potrà pretendere di conoscere la natura della malattia che ha colpito l’impiegato o il funzionario; ma il fatto che la sua prestazione sia rimasta sospesa per malattia, per quante volte e per quanto tempo, certamente sì. E anche la sua retribuzione, le sue mansioni, le sue promozioni e le valutazioni del suo operato.
Ora, c’è chi torna a ritenere, invece, che tutto questo sia eccessivo: a meno di quattro mesi dall’entrata in vigore della nuova norma, il senatore Filippo Saltamartini, relatore di maggioranza su di un altro disegno di legge ‑ il n. 1167, attualmente all’esame del Senato ‑ ha presentato un emendamento che ne dispone la soppressione. L’approvazione di questo emendamento, resa probabile dalla qualifica del suo presentatore, avrebbe il significato inequivoco di una convalida, anzi rafforzamento del vecchio regime, nel quale il baluardo della privacy contribuiva egregiamente a garantire gli arcana imperii, l’inconoscibilità dell’organizzazione e del funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
Bisogna sperare che ciò non avvenga. Ma se questo ha da essere l’esito, che lo sia, almeno questo, alla luce del sole, sotto gli occhi attenti dell’opinione pubblica.
LA REPLICA DEL SENATORE FILIPPO SALTAMARTINI: “LA TRASPARENZA E’ UN OBIETTIVO DEL GOVERNO E DELLA MAGGIORANZA” (E UNA MIA BREVE RISPOSTA)
Il Senatore Pietro Ichino con il suo articolo “Se la trasparenza torna a rischio” – Corriere di martedì 21 luglio – informa i lettori sulla possibilità che a seguito di un mio emendamento, presentato nell’Atto Senato n. 1167 si possa far marcia indietro sul principio di totale trasparenza in merito all’organizzazione e al funzionamento della pubblica amministrazione e, nella specie, sull’azione dei dirigenti e sulla pubblicazione di notizie relative alle prestazioni effettuate al servizio della P.A.
Nella foga di rivendicare a sé il merito di aver introdotto nell’ordinamento italiano il principio di full disclosure già in vigore in altri ordinamenti (art. 4, comma 9, legge n. 15/2009), il senatore Ichino omette di informare che la norma così come approvata è priva di concreta applicazione. La disposizione, votata sulla base dell’emendamento Ichino accolto dal Governo, non chiarisce quale sia la categoria di informazioni relative alle prestazioni di pubblici agenti suscettibili di comunicazione; inoltre risulta collidere con l’Atto comunitario 95/46/CE.
La direttiva comunitaria non consente di escludere dalla sfera di protezione delle informazioni personali intere categorie di dati e di interessi (ex art.3 della direttiva) sicchè per evitare un’altra condanna da parte della Corte di giustizia U.E., ove la normativa non fosse modificata, occorre prevedere la selezione normativa dei dati stessi, così come si prevedeva, con regolamento governativo, nel mio emendamento.
Ed ancora, numerosi dubbi di costituzionalità insorgono sull’emendamento di Ichino accolto dal Governo, per violazione del canone uguaglianza-ragionevolezza, dell’art.1, comma 1, del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Sia anche aggiunto per inciso che l’intervento emendativo risulta pure sollecitato dal Garante sulla Privacy.
In sostanza, per rafforzare il principio di full discosure e la condizione della dirigenza pubblica occorre intervenire modificando la normativa vigente, non solo per coerenza costituzionale e comunitaria ma soprattutto per evitare azioni di propaganda come quella che il collega Ichino ha avviato con il suo
articolo sul Corriere della Sera.
Sen. Prof. Filippo Saltamartini
La disposizione contestata dal senatore Saltamartini chiarisce benissimo “quale sia la categoria di informazioni relative alle prestazioni di pubblici agenti suscettibili di comunicazione”: sono tutte quelle, appunto, inerenti allo svolgimento della prestazione lavorativa. Proprio tutte; e non c’è alcuna disposizione comunitaria – né alcuna disposizione costituzionale – che ne vieti la trasparenza totale. Restano fuori soltanto quelle relative alla natura di eventuali malattie o impedimenti personali, fermo restando che deve essere conoscibile il fatto oggettivo della sospensione della prestazione. Se c’è qualche altra informazione che ritieniamo di rendere non conoscibile, individuiamola con precisione per legge. Ma abrogare la norma, come propone il senatore Saltamartini (sia pure con rinvio a un decreto ministeriale per l’individuazione delle notizie “che possono essere comunicate”), significherebbe tornare alla situazione precedente, nella quale l’opacità era la regola e la conoscibilità l’eccezione. (p.i.)
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L’INTERVENTO DELLE PROFESSORESSE ELENA AGA ROSSI E MARIELLA GUERCIO
Lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 31 luglio 2009 – Le autrici sono docenti della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, in Roma, impegnate specificamente in una ricerca sulla materia del diritto di accesso nelle amministrazioni pubbliche
L’intervento del senatore Pietro Ichino pubblicato sul Corriere del 21 luglio e la corrispondenza che ne è seguita hanno affrontano il tema del rapporto tra privacy e trasparenza, problema che sta diventando cruciale per il funzionamento della pubblica amministrazione.
La recente legge Brunetta ha giustamente insistito sulla trasparenza come “accessibilità totale” di tutte le informazioni riguardanti l’organizzazione e l’attività delle amministrazioni. D’altra parte la resistenza ad andare veramente in questa direzione, ben esemplificata dallo scambio tra Ichino e Saltamartino, fa emergere soprattutto un problema di fondo tuttora irrisolto: quello della natura dei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione nel nostro paese. E’ importante ricordare che finora la tutela della privacy è stata spesso utilizzata dalla pubblica amministrazione per mantenere il segreto sul proprio operato e che la normativa italiana garantisce molto parzialmente a differenza di quanto avviene negli altri paesi europei il diritto di accesso alla sua documentazione. Un confronto della nostra legge con quella in vigore negli altri paesi europei per quanto riguarda i diritti del cittadino mostra l’arretratezza dell’Italia dal punto di vista sia culturale sia legislativo. La nostra legge è infatti l’unica in Europa a subordinare la richiesta della documentazione a un interesse diretto del singolo cittadino e a escludere esplicitamente la possibilità di un suo utilizzo come mezzo di controllo generalizzato sulla pubblica amministrazione. In Europa e negli USA al contrario il diritto all’accesso è garantito a tutti, indipendentemente da ogni specifico interesse e diventa quindi un vero e proprio strumento di controllo dell’attività amministrativa e di partecipazione dei cittadini ai meccanismi decisionali. Quello che è esplicitamente negato dalla legge italiana, in altre parole, costituisce la ragion d’essere della disciplina in vigore in gran parte dei paesi occidentali. L’esperienza degli altri paesi, e in particolare quella della Gran Bretagna, sta mostrando tra le altre cose che una legge efficiente sul diritto di accesso ha effetti positivi anche sul funzionamento della pubblica amministrazione, non solo perché questa è costretta ad aumentare i propri comportamenti virtuosi, ma anche perché favorendo il tasso di fiducia dei cittadini permette all’amministrazione di operare al meglio.
Elena Aga Rossi
Mariella Guercio
Coordinatrici del progetto di ricerca sul diritto di accesso nella PA, presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione