Come me sei nato
e vissuto in terra di Camorra, come me ti sei laureato in Filosofia, tu
con una tesi su Max Weber, io con una tesi su Pëtr Kropotkin, autori
lontanissimi per formazione ed esistenza ma entrambi capaci di offrirci
un'analisi lucida del potere e delle sue dinamiche. Tu sei un "giovane
scrittore", io, invece, se utilizziamo i "canoni temporali"
del Ministro Profumo espressi nell'ultima intervista a Repubblica, sono
un "vecchio insegnante" … Eppure ci dividono solo due anni.
Come me hai deciso di raccontare questo paese e il nostro sud.
Tu, diversamente da me, hai deciso di farlo da scrittore ed
intellettuale; io, diversamente da te, ho deciso di farlo
"solo" come insegnante. Entrambi emigranti, entrambi costretti
dall'amore ad abbandonare quella Napoli che Pasolini nelle Lettere
Luterane definisce : “ l’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande
villaggio ( e per di più con tradizioni culturali non strettamente
italiane)”
ROBERTO SAI, come me, che la scuola è l'unica dimensione reale del
nostro sociale in cui si incrociano i drammi delle nostre
emarginazioni, non sotto forma di tematiche astratte, ma come corpi
vivi che si pongono dinanzi a noi spogliati di ogni filosofia,
antropologia, sociologia e religiosità sia laica sia cristiana.
IO SO, come te, che l’attacco portato al mondo della scuola dai diversi
governi che si sono succeduti negli ultimi decenni non risponde
esclusivamente ad esigenze di bilancio, ma rientra in un ampio progetto
di frantumazione sociale del mondo della conoscenza, attuato attraverso
la precarizzazione del lavoro e la progressiva sottrazione di diritti.
ROBERTO SAI, come me, qual è il ruolo degli insegnanti quando affermi
che " è complicato essere professori oggi in Italia … E che gli
insegnanti sono una categoria sacra". Entrambi siamo cresciuti con le
parole di Pasolini: "Il lavoro del maestro è come quello della massaia,
bisogna ogni mattina ricominciare da capo: la materia, il concreto
sfuggono da tutte le parti, sono un continuo miraggio che dà illusioni
di perfezione … Può educare solo chi sa cosa significa amare".
IO SO, come te, che la scuola rappresenta il microcosmo più fedele
della società, il banco di prova di ogni ipotesi di comunità, il luogo
in cui si creano le condizioni dell'incontro e dell'integrazione, dello
scambio culturale e della formazione, della costruzione di speranza e
dell'acquisizione di senso esistenziale.
Entrambi sappiamo cosa significa raccontare la verità, coniugarla ogni
giorno in un libro o in una classe, declinarla ogni istante in un
dibattito o in una lezione, non esiste altro luogo oltre la scuola in
cui le questioni fondamentali del nostro tempo (migranti, senza casa,
disagio giovanile, sperequazione sociale, periferie, legalità,
convivenza civile, diritti degli omosessuali) sono tutte presenti
in una contemporaneità spiazzante e allo steso tempo desolante. A
scuola ogni giorno si incontrano alunni, insegnanti, genitori, padri e
figli, è il luogo in cui si mescolano "fisicamente" tutte le
"marginalità costrette" del nostro tempo, in cui la legalità può essere
non insegnata ma acquisita, in cui la rabbia per la nostra terra
violentata può diventare conoscenza e non rassegnazione.
Ma ormai io sono vecchio, lo dice il Ministro in un'intervista al tuo
giornale, sono avvolto da una senilità precoce solo perché adoro
raccontare la "verità", guardare ogni giorno gli alunni disabili e
credere che il nostro paese sia anche per loro, continuare a dire ai
miei alunni che per "amore del mio popolo non posso tacere".
Sono vecchio, nonostante abbia superato un concorso per venticinque
posti arrivando terzo su centinaia di partecipanti, nonostante abbia
acquisito una specializzazione sul sostegno, nonostante entri in classe
"da vecchio abilitato" vincitore di concorso (perché le SSIS hanno un
esame finale con valore concorsuale) da ormai sette anni.
Ho iniziato ad insegnare nella scuola pubblica statale nell'anno in cui
usciva Gomorra, in quel momento tu diventavi il "giovane scrittore"
mentre io iniziavo già ad essere "il vecchio insegnante". Che
strano Paese il nostro: si è giovani o vecchi in base all'occupazione
che si svolge (il "giovane" presidente del consiglio che
"invecchia" il nostro Paese aumentando l'età pensionabile ed il
"vecchio" maestro che parla ai "giovani" forviando le menti), il valore
anagrafico è un indice del valore “sociale" e quindi bisogna abbassarlo
fin a far diventare vecchio uno "sfruttato precario della scuola" ma
non "un intellettuale".
Il paradosso del reale: vecchio a 35 anni per insegnare ma non per
scrivere libri, vecchio a 35 anni per entrare in una scuola ma troppo
giovane a 60 per uscirne !
Ti ricordi cosa diceva Wittgenstein: “Il linguaggio è un labirinto di
strade. Vieni da una parte e ti sai orientare; giungi allo stesso punto
da un’altra parte, e non ti raccapezzi più”. Io ormai, caro
Roberto, non ritrovo più la strada di questo potere che mi vuole
vecchio da giovane, ma forse è giusto così perché parafrasando il
titolo di un film dei fratelli Coen, il nostro "non è un paese per
vecchi".
Luigi
Del Prete - vecchio precario della scuola di Palermo
ludopeca@alice.it