Affermato poeta della
scena letteraria romana, autore di due sillogi recensite da autorevoli
critici, Marco Righetti è alla sua prima opera di narrativa. “Sole
nero” – questo il titolo del romanzo – è stato diffuso, in prima
istanza, al grande pubblico come allegato al quotidiano “Libero”, per
poi approdare al più tradizionale canale della distribuzione libraria.
Uscire in allegato ad un noto quotidiano rappresenta certamente un
esordio di lusso per un autore ancora estraneo al mondo dei best
seller. Ma già dalla lettura delle prime pagine del libro, si può
facilmente comprendere che quella di Leone Editore, una giovane casa
editrice aperta ai talenti, è stata una scelta attentamente ponderata.
È infatti un esordio che non lascia indifferenti, quello di Righetti,
improntato com’è ad una originale simbiosi tra letteratura noir,
romanzo breve e ricerca stilistica.
Leggiamo dalle note di copertina: «2022, Milano. Federico Gentili, un
geochimico, viene svegliato in piena notte dal fratello nel Sahara per
lavoro, che gli chiede di raggiungerlo urgentemente; di più non può e
non riesce a dire. Nemmeno due giorni dopo è nel sud dell’Algeria,
nella più grande centrale solare esistente, appena entrata in funzione
a dispetto delle compagnie petrolifere».
Il colpo di scena d’avvio («Al telefono la voce è concitata, la
comunicazione rotta da vuoti. Impossibile decifrarla, le parole
sbattono contro un muro»), l’affascinante ambientazione esotica
(«Tamanrasset, il bacino sudorientale dell’Algeria»), la sfuggente
prospettiva temporale («Talvolta la storia cancella il futuro»),
proiettano il lettore in un’atmosfera di suspense efficacemente
tratteggiata. Un’atmosfera che potremmo definire, ad un tempo, reale ed
onirica. Dove il calore della sabbia del deserto, che intorpidisce le
membra e offusca la mente, fa da contraltare al gioco avido degli
interessi energetici. Dove la competizione senza scrupoli delle
multinazionali e la minaccia incombente della crisi ambientale, si
contrappongono in una sfida che pone un’ipoteca sul nostro futuro.
Gli ingredienti potrebbero essere quelli del romanzo d’azione – alla
Ken Follett per intenderci – dove fantasia e vicenda storica hanno una
stessa verosimiglianza (perché la storia avrebbe potuto essere diversa,
o forse diversa lo è stata per davvero, narrata com’è dai vincitori, al
di là delle ragioni dei vinti…). Ma è proprio qui che Righetti si
distacca dal modello classico e dispiega la sua originale maestria
creativa. Incardinando la narrazione nella struttura del romanzo breve,
necessariamente la condensa e la limita, ma da questa limitazione
(autoimposta per scelta letteraria e stilistica) nasce il vero motivo
di fascino del romanzo.
La scrittura non procede lineare, per scansioni logiche legate alla
concatenazione degli eventi, bensì dettata dal fluire delle emozioni,
quasi “obbligando” il lettore a farsi partecipe, a riempiere i vuoti
con la fantasia, a farsi carico degli anelli di congiunzione mancanti.
E l’abilità dell’autore consiste nel mantenere la spirale narrativa
sempre su un fragile punto d’equilibrio fra (auto)suggestione e vicenda
vissuta. Una strategia perseguita con lucida consapevolezza, come si
evince da una recente intervista rilasciata da Righetti: «L’obiettivo
finale, non dichiarato (come in ogni vera strategia) è una scommessa
col lettore, riuscire a sorprenderne i meccanismi logici…
L’appartenenza a un genere, quello noir, è solo convenzionale».
Un procedere per evocazioni e analogie, dunque, che sembra più affine
all’esperienza poetica che all’arte dello scrivere in prosa, come
conferma lo stesso Righetti nell’intervista suddetta: «Chi nasce poeta
tradirà sempre le sue origini anche nella narrativa. Diciamo che è un
rapporto di netta separazione: in poesia vi è un’attitudine evocativa,
una descrizione che si completa sulla bocca del lettore, uno spessore
della parola che precipita di verso in verso fino a “ferire”,
sollecitare chi legge. La poesia sotto tale aspetto ha un forte
radicamento nella struttura fondamentale del suono, del ritmo, nei
meccanismi di associazione delle idee, nella riorganizzazione talvolta
violenta del reale».
E la “riorganizzazione violenta del reale” costituisce, in qualche
misura, anche il filo conduttore del romanzo, dove i personaggi sono,
al tempo stesso, protagonisti e spettatori di vicende che si svolgono
al di sopra delle loro teste. Con l’avidità e l’ambizione umana a
plasmare l’ambiente, e le leggi della natura che sconfessano ogni
possibile disegno egemonico.
«Il computer non funziona, l’edificio è senza alcun tipo di
alimentazione elettrica. Spento. Milano senza luce, senza contatti.
Come fosse sott’acqua. I palazzi navigano in un’agitazione composta. Le
strade sono bocche enormi con le persone che vagano dentro, ingoiate e
risputate. Il grido per le emergenze è affidato al fiato di chi vive, i
gruppi elettrogeni degli ospedali sono in difficoltà».
Nel finale aperto, nella prefigurazione di un futuro lontano ma che è
già qui, ora e subito, Righetti impasta la sua originale miscela di
catarsi e di dramma. Rappresentando – anche nella simbologia del
titolo, “Sole nero”, contrastante alternanza di luci ed ombre –
un’autentica metafora del nostro tempo.
Massimo Nardi
Autorionline.net/nardimassimo