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Costume e società: Jan Hus e la profezia della verità

Redazione
Jan Hus«Perciò, fedele cristiano, cerca la verità, ascolta la verità, apprendi la verità, ama la verità, di’ la verità, attieniti alla verità, difendi la verità fino alla morte: perché la verità ti farà libero dal peccato, dal demonio, dalla morte dell’anima e in ultimo dalla morte eterna» (Jan Hus).
Mi piace vedere il mondo da diverse angolazioni. Setacciare gli angoli oscuri della storia, per conoscere, dietro le ombre e gli orrori, dietro le balaustre della menzogna e della falsità, dietro montagne di errori e di dubbi, i camminamenti dell’uomo e della verità. E riconoscere il male oscuro dell’egoismo e del fanatismo, del potere e dell’arroganza, che ricopre, col dominio della superbia e della prepotenza, le virtù della ragione e della libertà. Un tempo lontano è successo anche questo. Che uomini, ammantati d’oro e di croci, rivendicassero il predominio assoluto del pensiero sui propri simili, sulle menti più aperte e illuminate, sulle “teste pensanti”, diremmo oggi, ed era un supplizio, prima che fisico, morale e culturale, una pressione psicologica insopportabile, sostenuta solamente con l’abomino della tortura, del ricatto della scomunica, con la menzogna dell’abiura, con le testimonianze false e le accuse insensate, e parossistiche e, infine, con l’umiliazione del rogo. Anche questa era la Chiesa di Roma nel Medioevo, questa era la “forza” degli uomini con i paramenti sacri e le mani inanellate d’oro e di potere.
Il mio amico e mentore, l’altra sera, mi ha parlato di un uomo giusto, “timorato di Dio”, un raffinato teologo e predicatore boemo, che offrì la sua vita alla causa della verità e della fede. Un credente dalla sconfinata dedizione ai suoi convincimenti di libero pensatore, come ce n’erano pochi ai suoi tempi…
Un uomo di chiesa, un “riformatore”, che a causa del suo credo religioso, impauriva le potenti gerarchie ecclesiastiche d’allora, e che, per tale motivo, fu dichiarato eretico, perseguitato, processato, umiliato e, infine, bruciato…
Jan Hus, nacque a Husinec, in Boemia, nel 1371 circa, dopo un’infanzia segnata dalla povertà, nel 1390, giunse, per studiare, all’Università di Praga, dove ancora erano vivi i fermenti del movimento riformatore boemo, fondato da Milič, ma che era stato duramente contrastato e represso, addirittura, con la chiusura della scuola, aperta dallo stesso Milič, nel 1372. Il movimento, fondato vent’anni prima, si proponeva il rinnovamento della chiesa attraverso il ritorno a un pauperistico cristianesimo primitivo e all’attesa del prossimo “Nuovo Regno”. Milič, che aveva individuato nell’eccessiva ricchezza accumulata dalla chiesa avignonese e romana una delle più importanti cause del decadimento dei costumi e delle pratiche religiose, aveva contestato duramente le gerarchie ecclesiastiche. Successivamente, sospettato di eresia, venne convocato ad Avignone per essere “esaminato”, e processato, dal Tribunale della Santa Inquisizione, e dove morì nel 1374. La sua dottrina, però, fece proseliti, infatti, nel maggio del 1391, a Praga, venne fondata la Cappella di Betlemme, una nuova scuola in cui si predicava in lingua boema e dove venivano accolti molti studenti universitari. Nel 1393, Jan Hus, ottenne il baccellierato in filosofia, nel 1395 si laureò “magister in artibus” e, nel 1398, iniziò a insegnare filosofia nella stessa università praghese. Nel 1400 venne ordinato sacerdote e continuò a studiare teologia con Stanislao da Znojmo e, dal marzo 1402, predicò, per la prima volta, nella Cappella di Betlemme. Un suo avversario, l’agostiniano norimberghese, Oswald Reinlein, scriveva così della sua attività: «Le sue prediche erano frequentate dalla quasi totalità della popolazione praghese; nella Cappella di Betlemme egli predicava due volte nei giorni festivi e ancora due volte nel periodo di Quaresima. In tutti gli altri giorni teneva due lezioni e tre discorsi la domenica. Per i poveri che gli venivano raccomandati, Hus chiedeva elemosine ai suoi conoscenti; usava invitare a tavola i maestri e ricevere con amore e bontà ogni visitatore».
Il concetto della verità era l’elemento centrale del suo pensiero. Per Hus la verità non è un’opinione, un concetto esistente unicamente nell’intelletto umano, ma è una realtà indipendente dall’uomo; è la realtà delle cose. Per Hus la verità è la testimonianza di Cristo, registrata nelle Scritture, inoltre, egli asseriva che il cristiano doveva rimanere costante nella fede e «nella conoscenza di questa triplice verità: prima, quella contenuta evidentemente nella Scrittura, poi quella che fu toccata dalla ragione infallibile e infine quella che il cristiano fece sua, partendo dalla propria esperienza personale. Fuori di tale verità nulla deve essere affermato o riconosciuto come vero».
La verità resta unica ma può essere comprensibile a chiunque: non ci sono uomini che ne siano i depositari e non può essere in contraddizione con la condotta di vita di ciascuno. Così la vita di Cristo è esemplare perché è espressione della verità da lui testimoniata e morì per averla espressa, così per difendere la verità ciascuno può sacrificare la propria vita. La mancanza di verità non è semplice errore ma, per Hus, è menzogna e la lotta contro la menzogna è affermazione tanto del vero quanto del giusto, perché la verità non può che essere giustizia; è questa la radice rivoluzionaria che sarà colta dai suoi seguaci: si deve dare la vita per difendere la verità e affermare così la giustizia; tale elemento va unito alla concezione della Chiesa, come insieme di tutti gli eletti, i predestinati, i quali, fatto salvo da Hus il libero arbitrio, sono tali in quanto guadagnano da Cristo, e non dagli uomini che pretendono di rappresentarlo, la propria salvezza.
Ma nonostante tutto, nel 1411, Jan Hus venne scomunicato dalla Chiesa cattolica, e, dopo quattro anni, il 6 luglio 1415, nel duomo di Costanza, venne dichiarato colpevole d’eresia e condannato a morte. La “Relatio de Magistro Johanne Hus”, stilata da Pietro Mladonovic, testimone di quella drammatica giornata, riporta, fedelmente, il susseguirsi dei fatti. «Fu eretto un palco simile a un tavolo nel mezzo dell’assemblea e della chiesa. Vi si pose sopra una specie di piedistallo, su cui furono sistemati i paramenti, la pianeta per la messa e gli abbigliamenti sacerdotali, appositamente per procedere alla svestizione di mastro Jan Hus. Così, quando fu condotto in chiesa, nei pressi del palco, cadde in ginocchio e pregò a lungo. Contemporaneamente, il vescovo di Lodi salì sul pulpito e pronunciò un sermone sulle eresie [...]. Il revisore pontificio, Bernardo di Wildungen, lesse poi i capi d’accusa estratti dai suoi scritti, ai quali Hus cercò di replicare, ma gli fu imposto di tacere. Si lessero poi i capi d’accusa estratti dalle dichiarazioni rilasciate dai testimoni ascoltati al processo; [...]. Hus riuscì a rispondere […]. Lo accusarono anche di aver sostenuto di essere, lui, la quarta persona della Deità. Tentavano di comprovare quest’accusa, citando un certo dottore. Ma il maestro gridò: “Nominate il dottore che ha deposto contro di me!”. Al che, il vescovo che stava dando lettura della cosa rispose: “Non c’è alcun bisogno di nominarlo, qui e ora”. Fu poi condannato il suo appello a Cristo e l’aver egli, scomunicato, continuato a predicare. Il vescovo italiano della Diocesi di Concordia-Pordenone lesse poi la sua condanna al rogo, unitamente a tutti i suoi scritti. Mentre procedeva la lettura della sentenza, egli l’ascoltava in ginocchio e in preghiera con gli occhi levati al cielo [...]. Rivestito di paramenti sacri, fu invitato ad abiurare, ma rifiutò. Disceso dal palco, i vescovi cominciarono subito a spogliarlo. Prima gli tolsero di mano il calice, [...] e così di seguito, ogni volta che gli toglievano uno dei paramenti, come la stola, la pianeta e tutto il resto, pronunciavano un anatema appropriato. Al che egli rispondeva di accogliere quelle umiliazioni con animo mansueto e lieto per il nome del Signore. Annullatagli la tonsura, gli posero sulla testa una corona di carta tonda, alta circa 45 centimetri, con tre diavoli dipinti e la scritta, “Questi è un eresiarca”. A questo punto il re disse al duca Lodovico, figlio del defunto Clemente di Bavaria, che in quel momento gli stava di fronte, tenendo in mano il globo con la croce: “Và, prendilo in consegna!”. E costui ricevette in custodia il maestro e a sua volta lo diede nelle mani dei suoi aguzzini perché fosse condotto a morire. Hus, venne portato fuori dalla chiesa, seguito da un corteo che passò davanti al cimitero dove si stavano bruciando i suoi libri ed egli sorrise a quello spettacolo. Lungo la strada, esortava gli astanti e quelli che lo seguivano a non credere che egli andasse a morire per gli errori che gli erano stati falsamente attribuiti e appoggiati dalla falsa testimonianza dei suoi peggiori avversari. Quasi tutti gli abitanti di quella città lo accompagnavano in armi a morire. Giunto sul luogo del supplizio, che si trovava in un prato circondato da giardini, ora corrispondente alla Alten Graben strasse, s’inginocchiò e, mentre pregava, quella scandalosa corona, raffigurante i tre demoni, gli cadde dalla testa ed essendosene accorto, sorrise. Alcuni dei soldati mercenari, che stavano lì intorno, dissero: “Rimettetegliela su, che sia bruciato coi demoni suoi signori che ha servito in terra”. Denudato, le mani legate dietro la schiena, è legato a un palo con funi e con una catena intorno al collo. Gli misero sotto i piedi due grandi fascine di legna mista a paglia e altre intorno al corpo fino al mento. Esortato ancora ad abiurare, levati gli occhi al cielo, replicò ad alta voce: “Dio m’è testimone che mai insegnai le cose che mi sono falsamente attribuite e di cui falsi testimoni mi accusano. Egli sa che l’intenzione dominante della mia predicazione e di tutti i miei atti e dei miei scritti era solo tesa a strappare gli uomini dal peccato. E oggi [...] sono pronto a morire lietamente”. Allora si accese il rogo. Hus cominciò a cantare, uno dopo l’altro, due inni, ma come egli cominciò a cantare il terzo inno, una folata di vento gli coperse il volto di fiamme. E così, pregando nell’intimo, muovendo appena le labbra e scuotendo il capo, spirò nel Signore. Prima di morire, mentre pregava in silenzio, sembrò balbettare giusto il tempo sufficiente a recitare due o tre volte il “Padre nostro”. Consumata la legna e le funi dal fuoco, i resti di quel corpo rimasero in catene appesi per il collo; allora i boia tirarono giù le membra abbrustolite e il palo. Le bruciarono ulteriormente, portando altra legna al fuoco da un terzo carico. Poi, camminando torno torno, spezzarono le ossa a bastonate per farle bruciare più presto. Quando trovarono la testa, la fecero a pezzi con i randelli e la gettarono sul fuoco. Quando trovarono il cuore in mezzo alle interiora, dopo aver appuntito un bastone come uno spiedo, lo infilzarono sulla punta e fecero particolare attenzione a farlo arrostire e consumare, punzecchiandolo con le lance, finché non fu ridotto in cenere. Bruciati anche scarpe e vestiti perché non potessero servire da reliquie, caricarono tutte le ceneri su di un carro e le buttarono nel Reno che scorreva lì vicino». Certo, al netto del contesto storico, che necessariamente dobbiamo tener conto, se vogliamo tentare di capire queste raccapriccianti scene, restiamo senza parole! Chi è il vero colpevole?
Se adesso molte cose sono cambiate, nella Chiesa cattolica e nel mondo, lo dobbiamo anche alle idee ed al sacrificio di uomini come Jan Hus.

Angelo Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it








Postato il Domenica, 18 novembre 2012 ore 08:30:00 CET di Angelo Battiato
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