In questi giorni
assistiamo ancora all’imperversare del cattivo tempo in Sicilia ed in
tutta Italia, le condizioni climatiche scendono “in picchiata” e
subiamo tutte le intemperanze meteorologiche, freddo, piogge
abbondanti, neve ad alte quote e disagi alla circolazione, causando
danni alle persone, all’ambiente ed agli interessi economici in
generale.
Proprio a partire dai primi di febbraio, tutta l’Italia è stata coperta
da neve al di sopra dei mille metri sul livello del mare e da una
continua pioggia nel resto del Paese.
Rammendo la mia fanciullezza trascorsa nel mio paese natio, San
Teodoro, U Casali, in provincia di Messina. Ricordo che, in questo
stesso periodo dell’anno, andavo alle scuole elementari, forse in
quinta, e una mattina, nella mia casa paterna, in via S. Agata, angolo
via Vittorio Emanuele, la prima casa della strada, dove vi erano (e
ancora ci sono) degli scalini che portano verso la “Gebbia”, aprendo la
porta, abbiamo trovato una bianca barriera di neve che copriva,
completamente, l’ingresso di casa mia.
Quell’angolo di strada era una sorta di “purtedda”, dove il vento
soffiava così forte che faceva “confluire” tanta neve, ostruendo così
la porta d’entrata. Ricordo ancora, dopo oltre cinquantaquattro anni,
le esclamazioni di meraviglia per quella “coltre di neve”, che,
ancora soffice, riuscimmo a spalare con relativa facilità.
Ma quel grido di stupore nascondeva la contentezza perché, con tutta
quella neve, pensai che non ci sarebbe stata scuola e che avrei vissuto
un giorno di vacanza!
Mia madre, dopo aver accudito i suoi piccoli, si attivò e mi comandò,
in quanto ero il più grande dei figli, di “fare pulizia”, di togliere
tutta quella neve e di aprire un varco “pp’arrivari ‘nta vicina”.
Quella mattina, se ben ricordo, eravamo da soli in casa, in quanto mio
papà si trovava a Catania, a lavorare nell’impresa edile, impegnato
nella costruzione della galleria ferroviaria della Stazione Centrale.
Così, “armato” di paletta… e di tanta buona volontà, mi son messo a
spalare la neve per aprire un “violu”, per poter arrivare nella porta
della vicina di casa. E dopo aver abbattuto “il muro di neve”, e rotto
l’isolamento, iniziò, per me, un’altra meravigliosa avventura, mi venne
la voglia di uscire fuori e “immergermi” in quel “mare di bianco” che
copriva l’intero paesino di San Teodoro.
Imbacuccato di tutto punto, con gli scarponi ai piedi, mi avviai per le
stradine verso la casa dei miei nonni materni, in via Regina Elena,
prima arrivai nella piazza “da Chiesa nova”, e mi imbattei con i miei
coetanei che avevano avuto la mia stessa idea e che già si trovavano in
quel luogo per giocare con la neve. Mi ricordo, con molto piacere, che
andavamo a cercare i “cannoli” di ghiaccio che fuoriuscivano dalle
tegole delle case basse e scroccavamo quei “freddi stalattiti”,
rosicchiandoli con gioia.
In quei giorni di neve imperante, noi ragazzini, salivamo sopra i tetti
delle case basse e forniti di contenitori di alluminio, i
“portamangiari”, raccoglievamo la neve pulita per poi portarla a casa,
dove le nostre mamme ci approntavano una graditissima granita naturale.
Poi, passata quell’insperata giornata di vacanza, si tornò a scuola (a
quei tempi, nel paese, vi erano solo le scuole elementari), ed era un
divertimento andare a lezione… in mezzo alla neve! Facevamo le palle di
neve e ce li buttavamo addosso, costruivamo i pupazzi di neve che,
però, duravano poco, perché un’altra “banda” di ragazzini li
distruggevano, ed era una continua gara, tra di noi, nel ricostruirli e
nel distruggerli.
Ci inoltravamo in lungo ed in largo per il paese, “perlustrando” tutto
il territorio ricoperto di neve e, volgendo lo sguardo dalla
“Santuzza”, verso la campagna circostante, potevamo vedere questo “mare
bianco” inoltrarsi fino al Comune di Troina.
Tutto era imbiancato, sempre dalla “Santuzza” si poteva scorgere la
vasta area che, da Cesarò e Bronte, arriva fino alle pendici dell’Etna,
piena di neve abbondante.
“‘A biviratura da Finata” non si scorgeva più, tanto era piena di neve.
Dall’altra uscita del paesino, a Santa Nicola, si distingueva il vicino
bosco, che si inoltra verso San Fratello, abbondantemente ricoperto di
neve. Anche la “Timpa Abate”, su cui poggia il paese, era completamente
bianca. Certo, i mesi invernali, in modo speciale, portano dei disagi
nella circolazione e a molte attività economiche e commerciali, ma io
prendo spunto da questa introspezione per immergermi nel “mare dei miei
ricordi”, per ripensare, con piacere, agli anni della mia fanciullezza,
ed in particolare, ai lunghi mesi invernali passati nel mio paesino
natio, San Teodoro, U Casali, posto a millecentocinquanta metri sul
livello del mare.
Poi, ritornati a casa, stanchi ed infreddoliti, trovavamo il braciere,
“‘a conca”, che ci riscaldava, e le nostre nonne ci preparavano fette
di pane abbrustolito nella brace, “‘u pani caliatu”, che io divoravo
con avidità, con un buon pezzo di formaggio patronale e olive nere
“caliate”.
Alla sera, infine, veniva approntata una frugale e buonissima cena con
farina di ceci, una sorta di polenta, fatta cuocere nella pentola, “‘a
pignata”. Così passava l’inverno a San Teodoro, U Casali, nel finire
degli anni cinquanta, con tanta neve, ma anche con tanta pace e
serenità.
E così è passata, ahimè, anche la mia giovinezza…
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it