Pensieri e parole,
Mario Martone apre lo scrigno dal quale si vedrà la
breve vita del più grande poeta italiano, Giacomo Leopardi. Il titolo
del film è "Il giovane favoloso",
da un verso di Anna Maria Ortese. Il protagonista è Elio Germano, uno
dei maggiori talenti italiani. Leopardi vive nei nostri ricordi
scolastici, ma c'è uno stereotipo
attorno alla sua figura. Germano, che idea aveva su di lui?
«Quella che abbiamo tutti, emana un
grande fascino per la diversità
letteraria rispetto agli altri scrittori che si studiano. È il primo
poeta che parla di se stesso, mette l'esperienza personale al
centro della sua ricerca, e gli studenti non fanno fatica riconoscersi
in lui. Gli stereotipi nascono dall'idea del poeta costretto a casa,
dalla sua deformazione fisica. A scuola Leopardi mi conquistò subito
grazie a un ottimo professore di Lettere. Quello che più mi colpisce è
la distanza dalle cose, questo vedersi distaccato dal mondo, che
ritroviamo negli adolescenti di oggi».
Come si è avvicinato a Leopardi?
«Martone è un autore, la visione biografica che drammatizza certi
aspetti va bene per una fiction, non ci perdiamo negli aneddoti.
Certamente ho bisogno di qualcosa di fisico con cui confrontarmi, una
metafora carnale. Prima di tutto ho cercato di riprodurre la sua
scrittura, che dice molto del suo approccio, a quello che c'è dietro le
parole. Aveva un'ossessione per la grafia pulita, sembra stampata. Nel
tempo diventa meno pensata, nello Zibaldone scrive quaranta pagine al
giorno, mette un sacco di "eccetera" per inseguire il ritmo del
pensiero, ma la costruzione è logica e matematica. Uno scienziato
dell'anima che analizza l'uomo con la lente di ingrandimento per
mostrarne l'indecifrabilità, si accanisce per raccontare
l'irraccontabile».
Avete girato a Recanati?
«Grazie agli eredi abbiamo girato nella sua casa, nella sua biblioteca,
scorrendo i libri di cui si è nutrito. Ci sono leggende, come quella
che Carmelo Bene di notte leggesse le poesie di Leopardi sul suo letto.
Poi siamo andati nelle città visitate da Leopardi: Firenze, Napoli,
Roma. in tutto dodici settimane, una rarità per un film italiano».
Fisicamente...
«Uno degli stereotipi è che si fosse ammalato per il troppo studio. La
medicina ha accertato che soffriva del morbo di Pott, la tubercolosi
ossea che aveva Gramsci, la distanza delle vertebre si riduce ed è come
se il corpo si schiacciasse su se stesso. Ci siamo concentrati non
sull'aspetto fisico ma sulla personalità multiforme. Leopardi poteva
essere freddo e caldo, timido e sfrontato...».
Vita e, immaginiamo, opere: il film
attraverserà anche i testi...
«Abbiamo letto le lettere, i Canti e le Operette Morali. Al premio
della Crusca gli preferirono un illustre sconosciuto. Chi vive in un
mondo di studi fatica a relazionarsi, aveva disagio nel comunicare la
grandezza interiore, un'emotività che non riusciva a condividere. Sul
set venivano docenti universitari. È stato il mio film più faticoso».
A quale dei temi leopardiani si sente
più vicino? Il rapporto con la
natura e con la scienza, la ricerca della felicità, il senso delle
illusioni...
«Forse l'indecifrabile, il male e il bene, ciò che si oppone
all'angoscia delle affinità della vita; dice che l'unica salvezza è nel
fare la catena umana rispetto all'ineluttabilità del tutto. Ti
affascina e ti spaventa. Io lo vedo come un Pasolini ante-litteram, un
intellettuale scomodo. Ha anche scritto, da scienziato, un testo di
astronomia che ha completato Margherita Hack».
La controversa figura del padre,
Monaldo, l'amicizia con Ranieri?
«Il padre (che sarà Massimo Popolizio) lo ribaltiamo, quante gliene
hanno dette a Monaldo... Probabilmente amava troppo suo figlio, una
violenza psicologica può nascondere troppo affetto. E dietro la voglia
di studiare del figlio c'era il desiderio di far innamorare suo padre.
Ranieri (Michele Riondino) era più giovane di otto anni, ed era il suo
opposto, prestante, atletico. I suoi amori, non si sa quanto immaginari
o corrisposti, vivono sospesi in un dimensione onirica».
Perché nel mondo anglosassone stanno
scoprendo Leopardi solo ora?
«Si riferisce alla prima traduzione dello Zibaldone? Ma lui soffre il
problema della traducibilità, soprattutto nella lingua inglese, che è
tagliata con l'accetta».
La poesia che le è più cara?
«A se stesso: è amarissima, una scultura che ha la violenza di una
bestemmia».
Valerio Cappelli - Corriere della Sera