Il Piano per la
scuola del governo Renzi viene annunziato in un'estate ancora non
avviata al grande caldo.
Il progetto di riforma dichiara di volere rivoluzionare il lavoro
dei docenti. Si scopre che la rivoluzione è fondata su un luogo comune:
i docenti hanno un impegno di lavoro di sole 18 ore settimanali, quindi
basta aumentare l'impegno orario per migliorare la scuola! Questo il
primo passo falso, che susciterà l'opposizione dei docenti, e non
sono pochi, che, in aggiunta all'orario di servizio, dedicano molte ore
alla settimana al miglioramento della loro azione , e dei docenti,
anche loro non sono pochi, che si limitano alle ore di servizio congrue
rispetto al salario.
Certo un intervento che differenzi le retribuzioni non solo sulla base
dell’anzianità di servizio, ma anche della qualità dell’impegno, è
necessario, ma il governo sta impostando la cosa nel modo peggiore.
Infatti, se il problema fondamentale della scuola italiana è migliorare
la qualità della didattica, la proposta di istituire premi
stipendiali fino al 30 per cento solo per i docenti impegnati in ruoli
organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate
(lingue e informatica) è devastante.
La polemica sul capo d'istituto, in grado di attribuire gli aumenti
stipendiali solo in base a rapporti "distorti" è estranea alla
proposta, perché dovrebbe investire, in questo paese, tutti i dirigenti
pubblici; la cultura del sospetto, infatti, è giustificata da un clima
morale degradato, in cui la raccomandazione non nasce da stima e
valutazione positiva della persona, ma da rapporti, nel migliore dei
casi, familiari o amichevoli!
Invece di promuovere i docenti che insegnano meglio, incentivare chi
lavora in situazioni di disagio sociale, con questo intervento si
ottiene il risultato opposto, si decide di premiare solo chi assume
incarichi di organizzazione o chi si dedica ad attività didattiche
speciali. Se riconoscere questo tipo di lavoro è fondamentale,
riconoscere solo questo è devastante e rafforza una tendenza già
presente nella scuola: molti insegnanti, frustrati dal lavoro in aula
scarsamente riconosciuto o da rapporti con studenti sempre più
difficili da trattare, già ora assumono incarichi di
responsabilità, trascurando l’insegnamento. Un incentivo di
questo genere, quindi, darà un colpo definitivo alla
promozione di una didattica di qualità e non impedirà una
didattica scadente.
Il punto di partenza, pertanto, per qualificare il lavoro dei
docenti è il lavoro in aula, mentre guardare solo ai ruoli
organizzativi è segno di pigrizia intellettuale, o, peggio, di
indifferenza ai problemi reali della scuola. Certo, mentre è facile
valutare queste attività, molto più difficile è elaborare un sistema di
valutazione della didattica. Chi lavora nella scuola sa che gli
insegnanti favorevoli alla valutazione della loro attività
quotidiana dinanzi a una riforma di questo genere si chiederanno: "A
che cosa serve il tempo che dedico ai miei allievi, alla preparazione
delle lezioni, all’organizzazione del lavoro con loro, se vengono
premiati quelli che dall’aula fuggono?”.
È vero, certamente, che molti insegnanti non fanno questo lavoro di
preparazione e di studio, ma per portarli a farlo bisogna valutare la
loro attività didattica, non costringerli a stare a scuola. Il coraggio
delle riforme perciò non è quello delle soluzioni a portata di mano,
per quanto radicali. Il coraggio si mostra proponendo soluzioni ancora
più radicali, perché più impegnative da realizzare, ma sicuramente più
efficaci e più eque. Se anche questa volta si assisterà allo scontro
frontale tra governo e docenti, come sempre il risultato sarà la
paralisi e a pagarne le spese sarà il paese.
Bianca Boemi