Università.
Presentati a Roma i dati dell’indagine Flc-Cgil «Ricercarsi».
È un falò dei cervelli. Tra il 2003 e il 2013 l’università italiana
ha formato 68 mila ricercatori e ne ha assunti all’incirca solo
4500, il 6,7%. Nel mezzo borse di studio da fame, lavoro gratis con
l’ansia del rinnovo del contratto, poche o nessuna garanzia di
svolgere alla fine un lavoro per cui daresti anche l’anima. Non è la
trama di un film come «Smetto quando voglio», ma la fotografia di una
generazione di ricercatori precari che hanno iniziato a lavorare
nei laboratori o in aula mentre sull’università italiana si
abbatteva la scure dei tagli della legge 133: 1,4 miliardi in meno al
fondo ordinario di finanziamento degli atenei.
Quello della ricerca scientifica o umanistica è un lavoro
precario, impegnativo, sottopagato, sottovalutato. Ma anche
stimolante, interessante, appassionante. Sono questi gli
aggettivi ambivalenti usati dai 1861 ricercatori precari
intervistati nell’indagine «Ricercarsi», promossa dalla Flc-Cgil. I
primi risultati sono stati presentati ieri a Roma nel corso
dell’assemblea nazionale dei precari della conoscenza «Jobs map»
organizzata dalla Flc-Cgil.
Roberto Ciccarelli