Lavoro
- Licenziamento per superamento periodo di comporto - Licenziamento
Disciplinare - Differenze
Svolgimento del processo
B.P. Venne licenziata nel luglio 2002 per superamento del comporto;
impugnò tuttavia il recesso, siccome intimato nel periodo compreso tra
l'inizio della gestazione e il compimento di un anno di età del bambino.
Radicatosi il contraddittorio e avendo la parte datoriale sostenuto la
temporanea inefficacia del recesso, il Giudice adito, nel novembre
2006, accolse la tesi della lavoratrice, affermando la nullità del
licenziamento (tale decisione venne in prosieguo confermata in sede di
appello e passò in giudicato).
A distanza di tre giorni dalla pronuncia della sentenza di primo grado
dichiarativa della nullità del recesso, la parte datoriale intimò un
nuovo licenziamento, facendo riferimento, quanto al motivo,
all'avvenuto superamento (nel 2002) del periodo di comporto.
Anche tale secondo licenziamento venne impugnato dalla lavoratrice.
Il Giudice adito accolse l'impugnazione, ritenendo che, poiché la
Società avrebbe potuto licenziare la sua dipendente immediatamente,
ovvero al compimento dell'anno di età del bambino, l'avere atteso la
sentenza di primo grado dichiarativa della nullità del primo
licenziamento aveva comportato la non tempestività del secondo, non
potendosi ritenere il lavoratore assoggettabile ad uno stato perenne di
risolubilità, nel mentre la prolungata inerzia della parte datoriale
ben poteva essere interpretata come rinuncia implicita, per fatti
concludenti, essendo uno spatium deliberandi di quattro anni
obiettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto.
Con sentenza del 28 9-19.10.2011, la Corte d’Appello di Cagliari,
Sezione distaccata di Sassari, accogliendo il gravame svolto dalla
datrice di lavoro U.M. spa (già M. spa), rigettò la domanda della B.
A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue:
- i quattro anni intercorsi tra il superamento del comporto e
l’intimazione del (secondo) licenziamento non erano stati, da parte
della datrice di lavoro, di inerzia, avendo la Società resistito in
giudizio con il sostenere la legittimità del licenziamento già intimato
ed avendo atteso, prima di reiterare la volontà risolutiva, la sentenza
di primo grado;
- il licenziamento avrebbe potuto essere reiterato una volta cessata la
causa ostativa al recesso (compimento del primo anno di età del
bambino), ma, ciò non di meno, l'avere la parte datoriale atteso la
decisione del Giudice di primo grado dichiarativa della nullità del
licenziamento non poteva costituire inerzia, poiché, tenuto conto della
sua resistenza in giudizio, la condotta datoriale non lasciava adito ad
alcun dubbio in ordine alla volontà risolutiva, essendo stata in tal
modo palesata la sua volontà di recedere dal rapporto;
- il primo licenziamento, radicalmente nullo, non aveva esaurito il
potere del datore di lavoro di intimarlo, né era stato utilmente
contestato il suo presupposto, ovvero l'avvenuto superamento del
comporto al luglio del 2002, poiché in primo grado nulla era stato
detto in proposito, cosicché la circostanza era divenuta un fatto
pacifico tra le parti;
- il secondo licenziamento era totalmente indipendente dal primo,
condividendo con esso solo la ragione, difatti espressamente
richiamata, ed era formalmente e sostanzialmente idoneo a far cessare
il rapporto di lavoro.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, B.P. ha proposto
ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
L’intimata U.M. spa ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2110
c.c. e, ricordata l'esigenza di tempestività del recesso datoriale
anche in caso di superamento del periodo di comporto, deduce che, una
volta accertata ex tunc la nullità del primo licenziamento, essa
ricorrente avrebbe dovuto considerarsi in servizio per il tempo
successivo al recesso, onde il secondo licenziamento, intimato nel 2006
per avvenuto superamento del comporto nel 2002, era da ritenersi
intempestivo.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione,
assumendo la contraddittorietà della sentenza impugnata che, da un
lato, aveva riconosciuto che il recesso avrebbe potuto essere reiterato
una volta cessata la causa ostativa, e, dall’altro, aveva ritenuto la
legittimità del secondo licenziamento perché il primo, radicalmente
nullo, non aveva esaurito il potere datoriale di intimarlo. Con il
terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione assumendo che:
- non era dato comprendere da quali riscontri probatori la Corte
territoriale avesse tratto il convincimento del permanere della volontà
datoriale di recedere dal rapporto;
- se il recesso del novembre 2006 era totalmente indipendente dal
precedente, lo stesso era certamente intempestivo, non potendosi
ritenere che il datore di lavoro possa adottare un provvedimento
risolutorio del rapporto di lavoro e, dopo averne sostenuto la
legittimità per oltre quattro anni, reiterarlo una volta visto l’esito
a lui sfavorevole del giudizio.
2. In via di priorità logica devono essere esaminati il secondo e il
terzo motivo di ricorso.
2.1 Non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà dedotto con il
secondo mezzo, poiché, come diffusamente esposto nello storico di lite,
la Corte ha specificatamente indicato le ragioni per le quali, pur non
avendo la parte datoriale reiterato il licenziamento dopo la cessazione
della causa ostativa, la sua condotta non poteva costituire inerzia,
tenuto conto della resistenza in giudizio, che non lasciava adito ad
alcun dubbio in ordine alla sua volontà risolutiva.
2.2 Quanto testé ricordato dimostra l’infondatezza del primo profilo di
censura di cui al terzo mezzo, atteso che la Corte territoriale ha
specificato che proprio dalla resistenza datoriale nel giudizio di
impugnazione del primo licenziamento doveva desumersi l’esistenza della
sua volontà di esercitare il recesso.
2.3 Il secondo profilo del terzo mezzo non deduce un vizio di
motivazione afferente alla ricostruzione fattuale delle circostanze di
causa, ma si risolve in una censura in diritto del ragionamento delle
Corte territoriale, peraltro sostanzialmente reiterativa della
doglianza svolta con il primo mezzo.
2.41 motivi all’esame vanno pertanto disattesi.
3. Quanto al primo mezzo deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza
della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del
diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del
periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non
può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma
costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare
caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze
significative, e la cui valutazione non è sindacabile in Cassazione ove
adeguatamente motivata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 6057/1998;
8235/1999; 253/2005); al contempo è stato affermato che, pur non
essendo possibile, in caso di superamento del comporto, che il rapporto
rimanga in uno stato di risolubilità, in contrasto con il regime di
stabilità previsto dalla legge, costituisce però onere del lavoratore
provare che l'intervallo di tempo tra il superamento del periodo di
comporto per malattia e la comunicazione del recesso da parte del
datore di lavoro abbia superato i limiti di adeguatezza e
ragionevolezza, sì da far ritenere - eventualmente in concorso con
altre circostanze di fatto significative - la volontà tacita del datore
di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto (cfr, ex
plurimis, Cass., nn. 3650/1987; 3555/1989).
Applicando tali principi al caso di specie deve rilevarsi che la Corte
territoriale, con motivazione coerente con le emergenze acquisite ed
immune da vizi logici, ha accertato che la condotta della parte
datoriale, manifestatasi nella resistenza giudiziale all'impugnazione
del primo licenziamento e nella reiterazione del licenziamento stesso,
per la medesima ragione, nella immediatezza della pronuncia giudiziale
di nullità del primo recesso, non poteva costituire espressione di una
volontà tacita di rinunciare alla facoltà di risolvere il rapporto,
dovendosi quindi escludere, con riferimento allenterò contesto delle
circostanze significative, la dedotta
intempestività, e conseguente illegittimità, del secondo licenziamento.
Tale valutazione, appunto perché adeguatamente motivata, non è dunque
sindacabile in questa sede di legittimità.
Dal che discende l’infondatezza anche del primo mezzo.
3. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese,
che liquida in euro 3.100,00 (tremilacento), di cui euro 3.000,00
(tremila) per compenso, oltre accessori come per legge.
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