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Lavoro: Corte di Cassazione - Sentenza 15 settembre 2014, n. 19400

Rassegna stampa
Lavoro - Licenziamento per superamento periodo di comporto - Licenziamento Disciplinare - Differenze
Svolgimento del processo 
B.P. Venne licenziata nel luglio 2002 per superamento del comporto; impugnò tuttavia il recesso, siccome intimato nel periodo compreso tra l'inizio della gestazione e il compimento di un anno di età del bambino.
Radicatosi il contraddittorio e avendo la parte datoriale sostenuto la temporanea inefficacia del recesso, il Giudice adito, nel novembre 2006, accolse la tesi della lavoratrice, affermando la nullità del licenziamento (tale decisione venne in prosieguo confermata in sede di appello e passò in giudicato).
A distanza di tre giorni dalla pronuncia della sentenza di primo grado dichiarativa della nullità del recesso, la parte datoriale intimò un nuovo licenziamento, facendo riferimento, quanto al motivo, all'avvenuto superamento (nel 2002) del periodo di comporto.
Anche tale secondo licenziamento venne impugnato dalla lavoratrice.
Il Giudice adito accolse l'impugnazione, ritenendo che, poiché la Società avrebbe potuto licenziare la sua dipendente immediatamente, ovvero al compimento dell'anno di età del bambino, l'avere atteso la sentenza di primo grado dichiarativa della nullità del primo licenziamento aveva comportato la non tempestività del secondo, non potendosi ritenere il lavoratore assoggettabile ad uno stato perenne di risolubilità, nel mentre la prolungata inerzia della parte datoriale ben poteva essere interpretata come rinuncia implicita, per fatti concludenti, essendo uno spatium deliberandi di quattro anni obiettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto.
Con sentenza del 28 9-19.10.2011, la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, accogliendo il gravame svolto dalla datrice di lavoro U.M. spa (già M. spa), rigettò la domanda della B.
A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue:
- i quattro anni intercorsi tra il superamento del comporto e l’intimazione del (secondo) licenziamento non erano stati, da parte della datrice di lavoro, di inerzia, avendo la Società resistito in giudizio con il sostenere la legittimità del licenziamento già intimato ed avendo atteso, prima di reiterare la volontà risolutiva, la sentenza di primo grado;
- il licenziamento avrebbe potuto essere reiterato una volta cessata la causa ostativa al recesso (compimento del primo anno di età del bambino), ma, ciò non di meno, l'avere la parte datoriale atteso la decisione del Giudice di primo grado dichiarativa della nullità del licenziamento non poteva costituire inerzia, poiché, tenuto conto della sua resistenza in giudizio, la condotta datoriale non lasciava adito ad alcun dubbio in ordine alla volontà risolutiva, essendo stata in tal modo palesata la sua volontà di recedere dal rapporto;
- il primo licenziamento, radicalmente nullo, non aveva esaurito il potere del datore di lavoro di intimarlo, né era stato utilmente contestato il suo presupposto, ovvero l'avvenuto superamento del comporto al luglio del 2002, poiché in primo grado nulla era stato detto in proposito, cosicché la circostanza era divenuta un fatto pacifico tra le parti;
- il secondo licenziamento era totalmente indipendente dal primo, condividendo con esso solo la ragione, difatti espressamente richiamata, ed era formalmente e sostanzialmente idoneo a far cessare il rapporto di lavoro.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, B.P. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
L’intimata U.M. spa ha resistito con controricorso. 
Motivi della decisione 
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2110 c.c. e, ricordata l'esigenza di tempestività del recesso datoriale anche in caso di superamento del periodo di comporto, deduce che, una volta accertata ex tunc la nullità del primo licenziamento, essa ricorrente avrebbe dovuto considerarsi in servizio per il tempo successivo al recesso, onde il secondo licenziamento, intimato nel 2006 per avvenuto superamento del comporto nel 2002, era da ritenersi intempestivo.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, assumendo la contraddittorietà della sentenza impugnata che, da un lato, aveva riconosciuto che il recesso avrebbe potuto essere reiterato una volta cessata la causa ostativa, e, dall’altro, aveva ritenuto la legittimità del secondo licenziamento perché il primo, radicalmente nullo, non aveva esaurito il potere datoriale di intimarlo. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione assumendo che:
- non era dato comprendere da quali riscontri probatori la Corte territoriale avesse tratto il convincimento del permanere della volontà datoriale di recedere dal rapporto;
- se il recesso del novembre 2006 era totalmente indipendente dal precedente, lo stesso era certamente intempestivo, non potendosi ritenere che il datore di lavoro possa adottare un provvedimento risolutorio del rapporto di lavoro e, dopo averne sostenuto la legittimità per oltre quattro anni, reiterarlo una volta visto l’esito a lui sfavorevole del giudizio.
2. In via di priorità logica devono essere esaminati il secondo e il terzo motivo di ricorso.
2.1 Non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà dedotto con il secondo mezzo, poiché, come diffusamente esposto nello storico di lite, la Corte ha specificatamente indicato le ragioni per le quali, pur non avendo la parte datoriale reiterato il licenziamento dopo la cessazione della causa ostativa, la sua condotta non poteva costituire inerzia, tenuto conto della resistenza in giudizio, che non lasciava adito ad alcun dubbio in ordine alla sua volontà risolutiva.
2.2 Quanto testé ricordato dimostra l’infondatezza del primo profilo di censura di cui al terzo mezzo, atteso che la Corte territoriale ha specificato che proprio dalla resistenza datoriale nel giudizio di impugnazione del primo licenziamento doveva desumersi l’esistenza della sua volontà di esercitare il recesso.
2.3 Il secondo profilo del terzo mezzo non deduce un vizio di motivazione afferente alla ricostruzione fattuale delle circostanze di causa, ma si risolve in una censura in diritto del ragionamento delle Corte territoriale, peraltro sostanzialmente reiterativa della doglianza svolta con il primo mezzo.
2.41 motivi all’esame vanno pertanto disattesi.
3. Quanto al primo mezzo deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative, e la cui valutazione non è sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 6057/1998; 8235/1999; 253/2005); al contempo è stato affermato che, pur non essendo possibile, in caso di superamento del comporto, che il rapporto rimanga in uno stato di risolubilità, in contrasto con il regime di stabilità previsto dalla legge, costituisce però onere del lavoratore provare che l'intervallo di tempo tra il superamento del periodo di comporto per malattia e la comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro abbia superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza, sì da far ritenere - eventualmente in concorso con altre circostanze di fatto significative - la volontà tacita del datore di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3650/1987; 3555/1989).
Applicando tali principi al caso di specie deve rilevarsi che la Corte territoriale, con motivazione coerente con le emergenze acquisite ed immune da vizi logici, ha accertato che la condotta della parte datoriale, manifestatasi nella resistenza giudiziale all'impugnazione del primo licenziamento e nella reiterazione del licenziamento stesso, per la medesima ragione, nella immediatezza della pronuncia giudiziale di nullità del primo recesso, non poteva costituire espressione di una volontà tacita di rinunciare alla facoltà di risolvere il rapporto, dovendosi quindi escludere, con riferimento allenterò contesto delle circostanze significative, la dedotta
intempestività, e conseguente illegittimità, del secondo licenziamento.
Tale valutazione, appunto perché adeguatamente motivata, non è dunque sindacabile in questa sede di legittimità.
Dal che discende l’infondatezza anche del primo mezzo.
3. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 
P.Q.M. 
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in euro 3.100,00 (tremilacento), di cui euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre accessori come per legge.

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Postato il Giovedì, 25 settembre 2014 ore 09:00:00 CEST di Antonia Vetro
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