Le
immagini sociali di un gruppo professionale o di una componente della
società possono non esprimere la realtà delle cose,ma hanno una sicura
incidenza nei rapporti umani, condizionandone lo sviluppo,gli esiti e
la qualità. Nel caso degli insegnanti ci si trova di fronte ad una
molteplicità di rappresentazioni pubbliche, alcune delle
quali, molto negative, sono il risultato di giudizi che oscillano
dall'avversione preconcetta al misconoscimento delle condizioni
dell'esercizio dell'insegnamento:
"lavorano poco";
"non si aggiornano";
"non hanno professionalità";
"non sanno ascoltare";
"non sanno valutare";
"è un mestiere per donne";
"inculcano valori ostili alla famiglia"
e così via pre-giudicando.
Altre rappresentazioni, che interagiscono spesso con le prime volendone
essere una risposta, scaturiscono dal seno stesso della categoria degli
insegnanti e alimentano la loro amarezza:
"le famiglie non ci aiutano";
"pretendono cose che non ci appartengono";
"siamo insegnanti, non genitori o assistenti sociali";
"il lavoro che svolgiamo, quello vero, non è riconosciuto e nemmeno
pagato";
“come si fa a valutare un insegnante?
"ci vogliono servi,non professionisti responsabili e liberi cittadini"
e così via imprecando.
Credo che ci sia una responsabilità della società, innanzitutto, ma
anche degli insegnanti a ricondurre le immagini di questa professione
alle proporzioni della realtà per ritrovare le idee e gli stimoli
indispensabili per farne ancora un'attività preziosa e imprescindibile
dello sviluppo civile di una società.
Il primo dato da considerare è che l'insegnamento è un mestiere
cambiato e non può essere esercitato come 30 o 40 anni fa. Ed è
cambiato perchè diversa è la collocazione della scuola nella
società;diversa è la scuola d'élite,alla quale si è istintivamente
affezionati, dalla scuola di massa in cui si deve lavorare. C'è bisogno
di una più ricca e articolata professionalità.
Secondo dato. La sofferenza nel mestiere d'insegnante non è una
suggestione psicologica della categoria, ma la realtà registrata
in tutte le ricerche sociologiche sulla condizione degli insegnanti.
Dallo status di "vestale della classe media" a quello di professionista
proletarizzato si snoda il percorso del disincanto e della delusione.
L'insegnante povero cristo non serve a nessuno; deve invece per il bene
di tutti svolgere il proprio lavoro senza imbarazzo e senza umiliazioni.
Terzo dato. Una società senza scuola e senza insegnanti non è pensabile
e non ha senso. C'è un obbligo morale a scoprire e a valorizzare la
ricchezza umana e sociale di questa professione al di là, oltre e
contro tutti i pregiudizi. E questo compito spetta a tutti: anche agli
insegnanti che devono fare della dignità professionale un principio
d'orientamento dentro e fuori la scuola. Un'arma di legittima difesa!
Quarto dato. Ci si può accontentare del poco e del necessario quando si
è consapevoli di essere protagonisti di una grande battaglia di
civiltà; per gli insegnanti entrati in servizio nei primi anni '70
(quorum ego) è stata la democrazia a scuola e la difesa del diritto
allo studio per tutti.; 40 anni dopo deve essere ancora la battaglia
per la democrazia a scuola e nella società e per la giustizia nella
società partendo dalla scuola.
prof. Raimondo Giunta