Dopo quella emessa
solo pochi giorni fa dai giudici di Torino, che hanno assegnato 20mila
euro di arretrati ad una docente con nove anni di pre-ruolo, e le
continue sentenze favorevoli emesse dalla curia europea, stavolta il
ricorso è stato vinto da un’insegnante della secondaria superiore
assunta a tempo indeterminato nel 1997 e che ha iniziato a fare
supplenze nel 1983: la donna, pur avendo lavorato per quasi tre lustri
con continuità al servizio dello Stato – con i connessi oneri e
responsabilità, in nulla inferiori a quelli dei colleghi di ruolo – era
stata illegittimamente sempre mantenuta al livello stipendiale
d’ingresso. Il giudice ha assegnato alla docente quasi 3mila euro di
aumento in più all’anno, a titolo di differenze retributive medio tempo
maturate nell'ultimo quinquennio. Al Miur, invece, assieme alla
condanna per aver prodotto un “ingiusto rallentamento della
progressione stipendiale” violando i “principi costituzionali di
ragionevolezza e di equità retributiva”, è stato comminato anche il
pagamento di 2mila euro per le spese legali.
Marcello Pacifico (presidente Anief): finalmente anche in Italia si
volta pagina sulle questione delle ricostruzioni di carriera. Sono più
di 600mila docenti e Ata, molti dei quali con decenni di precariato
alle spalle, che potrebbero essere coinvolti in tale interpretazione
favorevole e ricorrere allo stesso modo: trovando giustizia e
riscuotendo diverse migliaia di euro ingiustamente loro sottratte nel
corso degli anni.
Ancora una sentenza di un tribunale italiano che dà il via libera alla
ricostruzione di carriera degli insegnanti comprendente per intero il
periodo di precariato. Dopo quella emessa solo pochi giorni fa dai
giudici di Torino, che hanno assegnato 20mila euro di arretrati ad una
docente immessa in ruolo nel 2007/08 con nove anni di pre-ruolo, e le
continue sentenze favorevoli emesse dalla curia europea, tra cui quella
recentissima riguardante una dipendente spagnola, stavolta il ricorso è
stato vinto da un’insegnante della secondaria superiore assunta a tempo
indeterminato nel 1997 e che ha iniziato a fare supplenze nel 1983: la
donna, pur avendo lavorato per quasi tre lustri con continuità al
servizio dello Stato – con i connessi oneri e responsabilità, in nulla
inferiori a quelli dei colleghi di ruolo – era stata illegittimamente
sempre mantenuta al livello stipendiale d’ingresso.
Il giudice del lavoro di Genova ha disposto per la ricorrente il
passaggio alla fascia stipendiale successiva, con il recupero per
intero dell’anzianità pre-ruolo dal 2012/2013 come chiesto dall’avv.
Corrado Resta di Anief: “a fronte dei 14 anni effettivamente prestati
nelle stesse mansioni per cui adesso – riporta la sentenza - è stata
immessa in ruolo”, la docente “si è vista riconoscere solo 9 anni ai
fini giuridici ed economici (4 per intero e i restanti 6 anni solo per
i 2/3), con conseguente ingiusto rallentamento della progressione
stipendiale”. La sentenza ha comportato per la docente quasi 3mila euro
di aumento in più all’anno, a titolo di differenze retributive medio
tempore maturate nell'ultimo quinquennio. Per il Miur, invece, assieme
alla condanna è arrivato il pagamento di 2mila euro per le spese legali.
Per la docente è stato quindi parificato il servizio svolto con plurimi
contratti a tempo determinato a quello svolto con contratto a tempo
indeterminato. Nella sentenza si spiega che “il servizio d’insegnamento
è stato prestato dal ricorrente in possesso del titolo di abilitazione
e specializzazione che dà accesso alle immissioni in ruolo nella classe
concorsuale di appartenenza. Dall’anno scolastico 1983/1984 all’anno
scolastico 1996/1997 il datore di lavoro non è stato il singolo
Istituto Scolastico di turno ma il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, nel cui ambito quel rapporto di lavoro
ha soddisfatto un’esigenza lavorativa istituzionale ordinaria,
corrente, nel tempo immutata, tutt’altro che eccezionale o temporanea,
ma destinata a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di
lavoro”.
Inoltre, gli incarichi “non sono stati prestati per la supplenza del
personale di ruolo temporaneamente assente (per malattia, gravidanza,
incarico istituzionale, ecc…), ma in forza di ripetuti incarichi
annuali o fino al termine delle attività didattiche su posti vacanti
(cioè non ricoperti da alcun titolare)”. Solo che la docente “durante
lo svolgimento del rapporto di lavoro in regime di precariato, ha
sempre percepito lo stesso stipendio di un docente neo abilitato al
primo incarico d’insegnamento, con evidente mortificazione, anche sotto
il profilo retributivo, della professionalità dalla stessa acquisita e
relativo danno economico”.
In particolare, all’insegnante sono stati negati “gli scatti
stipendiali del 2,50% sullo stipendio tabellare, espressamente previsti
- per gli incarichi conferiti dall’Ufficio Scolastico Provinciale -
dall’art. 53 della L. 312/80”. Mentre “la predetta norma, rubricata
“Personale non di ruolo”, infatti, prevede che […]. Al personale di cui
al presente articolo, con nomina da parte del Provveditore agli studi
od altro organo in base a disposizioni speciali, escluse in ogni caso
le supplenze, sono attribuiti aumenti periodici per ogni biennio di
servizio prestato a partire dal 1° giugno 1977 in ragione del 2,50 per
cento calcolati sulla base dello stipendio iniziale”.
Il giudice del lavoro di Genova, ha pertanto accolto la tesi secondo
cui “la mancata piena valorizzazione del servizio pre-ruolo, a fini
giuridici ed economici, comporta una patente violazione dei principi
costituzionali di ragionevolezza e di equità retributiva (di cui al
combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost.), nonché del connesso
principio di non discriminazione tra lavoratori di cui all’art. 6 D.
Lgs. n. 368/01 e art. 45, comma 2, D. Lgs. n. 165/01”. E che nel
“panorama normativo italiano, non possono esservi fonti normative (o
pattizie) che, in assenza di esplicite “ragioni oggettive”, limitano il
diritto dei lavoratori pubblici a tempo determinato a godere degli
stessi vantaggi che lo Stato membro riserva ai lavoratori pubblici a
tempo indeterminato”.
Pertanto, “il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro del
personale della pubblica amministrazione non è conforme ai suddetti
requisiti e non può dunque configurare una «ragione oggettiva»”.
Poiché, “non basta una disciplina di legge purchessia a determinare una
valida deroga all’Accordo Quadro, ma è necessaria una disciplina che
individui ragioni oggettive atte, per quanto qui interessa, a
giustificare un diverso trattamento economico”. E Pure il Tribunale di
Alba ha recentemente rilevato che “per verificare il diritto agli
aumenti periodici biennali del 2,5% previsto dall’art. 53 deve
utilizzarsi quale parametro la prestazione di almeno 180 giorni
reiterata per due anni consecutivi e non già la durata dell’incarico
sino al 31 agosto.
Si avvalora, quindi, il principio di non discriminazione, formatosi
intorno alle sentenze relative alla direttiva europea 70/99, che impone
la valutazione immediata per intero del servizio pre-ruolo nella
ricostruzione di carriera del personale della scuola, come ha
ricordato, ancora di recente, la Commissione Ue in risposta
all’ennesima denuncia di un cittadino italiano.
“Siamo convinti – dichiara con soddisfazione Marcello Pacifico,
presidente Anief, segretario organizzativo Confedir e confederale Cisal
- che finalmente anche in Italia si stia voltando pagina sulle
questione delle ricostruzioni di carriera. Questa volta il Ministero
dell’Istruzione trema, perchè è il secondo caso in pochi giorni su
ricorsi presentati da Anief dopo la pronuncia di Torino, ma soprattutto
sono più di 600mila docenti e Ata, molti dei quali con decenni di
precariato alle spalle, potrebbero essere coinvolti in questa
interpretazione loro favorevole e ricorrere allo stesso modo: trovando
giustizia e riscuotendo – conclude Pacifico – diverse migliaia di euro
ingiustamente loro sottratte nel corso degli anni”.
Anief.org