I libri di
testo liceali e universitari a volte fanno dei brutti
scherzi, quando rappresentano in modo unitario ed organico il
pensiero di un autore che attraversa invece varie fasi, sviluppa
diverse posizioni e le va via via revisionando e superando
dialetticamente. Anche le migliori e più documentate storie della
filosofia, come per esempio quella di Nicola Abbagnano, non
possono evitare di cadere nel solito vizio della continuità interna ad
uno stesso pensatore per farne un modello chiaro e coerente. E Giovanni
Gentile, che è un pensatore pieno di ripensamenti e autorevisioni,
dev'essere sempre e in ogni luogo quel filosofo che porta risolutamente
a compimento la tesi prospettata da Fichte nella Dottrina della scienza di una
rigorosa e totale immanenza di ogni realtà nel pensiero pensante e di
un pensiero "sciolto" nell'atto del soggetto trascendentale, cioè
dell'Io universale o infinito. Il pensiero pensante sarebbe perciò il
vero protagonista della filosofia gentiliana a condizione però che lo
si consideri non atto e fatto concluso, bensì "atto in atto", che non
si può assolutamente risolvere e trascendere perché esso, come dice
Gentile nella Teoria generale dello
spirito come atto puro del 1917, " è la nostra stessa
soggettività".
Nel pensiero lineare di Gentile non vi sarebbero quindi fratture e
discontinuità e tutto il processo discorsivo scorrerebbe limpido
e veloce nel pensiero in atto della soggettività pura. Quella che
lo stesso filosofo siciliano considera una "svolta" con la scoperta
successiva o, se vogliamo, con la rivalutazione abbastanza
imprevedibile del sentimento, non sarebbe tale giacché apparterrebbe
allo stesso ordine sostanziale del soggetto trascendentale,
l'unica e vera categoria. Evidentemente non è così, e il sentimento si
presenta alla ribalta potente e prepotente come nuova e autentica
categoria dello spirito nel primo numero di gennaio 1928 della
rivista gentiliana: "Così la filosofia postaristotelica si muove
tutta nel cerchio che Platone e Aristotele avevano descritto, lavora a
cancellare dal quadro del mondo, che la filosofia saccheggia e si prova
e riprova sempre a raffigurare, il sentimento"(G. Gentile, Il sentimento, in Giornale Critico della Filosofia Italiana,
gennaio 1928, p. 3). E ancora, più espressamente sotto il profilo
storiografico, egli proclama l'irriducibilità del sentimento,
attribuendo a Kant il merito della prima rivoluzione teleologica:
"Quando con Vico si comincia a sentire la funzione e il valore
dell'animo perturbato e commosso da cui sgorga il canto e nel canto
tutta una forma essenziale e interna dello spirito e della umana
civiltà,quando coi filosofi tedeschi ... della seconda metà del
Settecento si comincia ad avvertire l'irriducibilità del sentimento,
quando Kant dopo la Critica della
ragion pura e quella della Ragion
pratica sente il bisogno di una terza Critica perché intravvede la
necessità di una forma spirituale mediatrice tra il concetto della vita
quale si può ricavare dalla pura ragione teoretica e il concetto
opposto della vita derivante dalla natura della ragion pratica, e
postula quella facoltà di giudicare che è la funzione spirituale
valutatrice onde si trasfigura l'aspetto non pur del mondo umano, ma
dello stesso mondo della natura, e l'universo agli occhi dell'uomo
s'illumina di quella teleologia che è l'essenza della spiritualità,
come si svela in ogni opera d'arte, la classica opposizione di teoria e
pratica, intelletto e volontà comincia a crollare ... e si lavora a
rincalzare il terreno in cui affonda le sue radici il sentimento" (
ibidem,p.5).
Siamo ben lontani dalle opere sistematiche e razionalizzanti scritte
dal 1912 al 1923 da Gentile, e soprattutto siamo molto distanti da
quella concezione negativa dell'intuito e di ciò che appartiene al
basso e volgare mondo emozionale e sentimentale: "L'intuito,
cioè, a differenza di ogni altra cognizione che importa un'operazione
del soggetto, il quale perciò coopera alla formazione dell'oggetto e
del suo conoscere, non è azione del soggetto, è una sua ricettività e
passività, come quella dello specchio in cui si riflettono le forme e i
colori degli oggetti. Il pensiero vede perché ha gli occhi, non perché
guardi. Esso,come pensiero, ha questa sua originaria natura di vedere.
[L'intuito è] marmo liscio in cui l'acqua scorre e non ne resta goccia"
( G. Gentile, Sistema di logica come
teoria del conoscere, Laterza, Bari 1923,p. 191). Da questo
rifiuto pregiudiziale non può certo nascere un'estetica attualistica,
se l'intuizione è tenuta fuori dall'atto.
Non è dunque inopportuno chiamare "svolta" la nuova fase che
inizia nel 1928, cioè con la pubblicazione del saggio sul Sentimento, che diventa addirittura
funzione e forma della rinnovata teoresi. A questa si deve
l'intuitività dell'arte, che si caratterizza non solo per la sua
immediatezza, ma anche per la sua cognizione oscura e contratta, come
risultato della forza imponente ed impressionante delle passioni, pure
di quelle più raffinate ed elevate. Il sentimento è dialettico: "Il
sentimento insomma, quando pare già morto,ucciso dal pensiero, è più
vivo di prima, ed è quasi la vita segreta dello stesso pensiero che lo
ha ucciso" (G. Gentile, Il sentimento,
saggio cit.,p. 8). E non è neppure un caso se a questa "svolta"
partecipa ed è determinante la dimensione sentimentale in tutte le sue
tonalità e se da essa prenda avvìo la soggettività dello spirito, cioè
il processo che parte e trae impulso dal sentire e dalla
passionalità, dal soffrire e dall'amare, come avviene nel Simposio platonico con l'Eros che
ama e soffre. E altresì proprio da questa fonte di "eroico furore"
platonico-bruniano nasce l'arte: "E' fuor di contestazione che
l'arte è intuizione. Ma è anche fuor di discussione che intuizione è
pure il pensiero [ ...] E' stato altresì sufficientemente chiarito il
carattere lirico dell'arte in quanto l'intuizione sarebbe la forma
adeguata del sentimento,della passione, dell'elemento subbiettivo dello
spirito. L'intuizione non è altro che la posizione immediata dello
spirito nella sua soggettività;quel che d'inafferrabile e pur sempre
presente che può dirsi essenza del sentimento" (ibidem,pp.13-14).
La valorizzazione del sentimento nella sua radicalità
fondativa della soggettività è, come si è visto, una conquista faticosa
e luminosa di Gentile che si riavvicina con la sua intuizione
estetica a Benedetto Croce, anch'egli del resto debitore di Vico e di
Hegel. Colpisce adesso il linguaggio poetico del filosofo
siciliano in alcuni passi di più diretta ispirazione vichiana: " Ma non
c'è astratta meditazione in cui il cuore dell'uomo non batta, in cui
non fiammeggi una passione, in cui non sia il soggetto a soffrire e
gioire, egli, col suo dolore, col suo bisogno, col suo amore, o
tendenza ad essere, affermarsi, spiegarsi nel pensiero, onde l'uomo si
eterna" (ibidem, p. 14). E colpisce inoltre l'idea nascosta del
corso e quella non evidente del ricorso nella loro applicazione
dialettica al campo dell'estetica soggetta pur sempre all'attualità
totale dello spirito. La totalità dell'arte richiede corsi e
ricorsi conoscitivi e sentimentali stretti nella loro natura specifica
di intuizione estetica. La Filosofia
dell'arte, pubblicata nel 1931, è la conseguenza logica del
saggio che finora si è tentato di illustrare. In netta opposizione al
razionalismo fino a Cartesio e Spinoza, anche qui viene indicata nella
dimensione sentimentale la radice di tutta la vita spirituale, che si
attiva immediatamente nella soggettività dell'atto estetico: "Così
dedotta la dialettica dell'autocoscienza, rimane chiarito il concetto
di dialetticità dell'arte come forma subbiettiva dello spirito [...]
Questa interna irrequietudine, questa vita intima a questa forma
dell'arte, per cui l'arte, questa infanzia dello spirito,non può non
progredire e risolversi gradatamente nella maturità del pensiero,
questa evidentemente è una dialettica che contiene l'arte e non vi è
contenuta; e può assomigliarsi alla vita che fa battere il cuore e
mette in moto il sangue, ma non è tutta chiusa e circoscritta dentro
gli organi della circolazione e neppure nel sangue né in altra parte
del corpo vivente, ma circola per la totalità dell'organismo, tutta nel
tutto e in ogni singola ,anche minima, parte"( G. Gentile, La filosofia dell'arte, Sansoni,
Firenze 1937, pp.158-159).
Il Gentile insiste nel dire che la nuova visione è collegata
intimamente al sistema attualistico già da lui elaborato in altra
epoca, ma in effetti qui la prospettiva cambia e ci troviamo di fronte
ad un nuovo punto di vista che fa del sentimento la "base inconcussa e
incrollabile del nostro stesso essere", oltre che dell'infinita natura.
Pur destinato ad essere risoluto nel pensiero, esso resta la
sorgente da cui sgorga tutto, e la forza che lo sorregge. Perciò
il pensiero stesso è sorretto dall'energia sentimentale, se non vuole
precipitare nel vuoto e nel nulla. Vero è che l'arte vive dentro il
tutto, e che essa non si può concepire priva di pensiero, ma di
nuovo essa è frutto di un atto estetico e di un sentimento fondamentale
che, come in Rosmini, designa il "senso che l'anima, in questo
soggetto, ha del corpo, le cui modificazioni si rispecchiano
quindi nelle modificazioni del sentimento fondamentale dando luogo alle
sensazioni particolari" ( ibidem,p. 190). Nel volume La filosofia dell'arte rimane
l'acredine nei confronti di Benedetto Croce, quello delle
"quattro parole" che costituiscono tutta la sua filosofia, ma di questa
estetica crociana, "opera di decadentismo e dilettantismo", il filosofo
di Castelvetrano non riesce a liberarsi. Il principio trascendentale
dell'arte non ha la forza per scardinare l'intuizione estetica di
Croce, che nel frattempo, dopo l'intuizione lirica, ha introdotto in un
saggio del 1917 inserito poi nella seconda edizione del Breviario di estetica il
concetto di "totalità" nell'opera d'arte: " In ogni accento di poeta,
in ogni creatura della sua fantasia, c'è tutto l'universo destino,
tutte le speranze, le illusioni, i dolori e le gioie, le grandezze e le
miserie umane, il dramma intero del reale che diviene e cresce in
perpetuo, su se stesso, soffrendo e gioiendo (Benedetto Croce, Il carattere di totalità dell'esperienza
artistica, in Breviario di
estetica, seconda ediz., Laterza, Bari 1962,p. 135). E Gentile
chiude il suo libro su La filosofia
dell'arte con un elogio al "Maestro" Francesco De Sanctis, dopo
aver esaltato per l'ennesima volta la dimensione sentimentale: "Il
pensiero, sì, è la realtà del mondo; ma l'Atlante che regge
questo mondo in cui si vive e in cui vivere è gioia, è il sentimento
che ci fa talora cercare le maggiori opere d'arte come fonti di vita,
ma ci fa rientrare sempre in noi stessi ad assicurarci che il
mondo si regge saldamente sulle sue fondamenta" ( G. Gentile, La filosofia dell'arte, cit., p.
373). L'intuizione lirica, il carattere di totalità e la circolarità
della vita dello spirito racchiudono l'espressione estetica che nella
sua autonomia, secondo Croce, contiene però il mondo mediato e
addomesticato nell'arte. A questa interpretazione
progressivamente completata e gradualmente perfezionata Gentile
ha poco d'aggiungere e da opporre, tranne la sua dialetticità, la sua
grande competenza storiografica e la sua vivacità linguistica e
teoretica che effettivamente si ritrovano nella Filosofia dell'arte rendendo
prezioso e non trascurabile questo saggio.
prof. Salvatore Ragonesi