Per il
contratto non rinnovato da sette anni:
la Corte costituzionale e una successiva pronuncia del Tribunale di
Roma hanno sentenziato l’illegittimità di ulteriori rinvii. Il 5
aprile, inoltre, è stato sottoscritto l’Accordo Quadro che definisce le
nuove aree contrattuali della Pubblica Amministrazione; il Governo non
ha ormai più alcun alibi per giustificare il mancato avvio della
contrattazione.
Per il personale amministrativo
tecnico e ausiliario (ATA):
ignorato dalla legge 107 ma oggetto di attenzioni inaccettabili dalle
varie leggi di Stabilità che tagliano l’organico, riducono la
possibilità di sostituire il personale assente, riversano sulle
segreterie scolastiche profluvi di adempimenti che nulla hanno a che
fare con la funzione istituzionale della scuola. Assunzioni, concorsi
per i DSGA, incremento dell’organico, semplificazione
amministrativa sono i punti rivendicativi fondamentali.
Per la scomparsa completa e definitiva
del lavoro precario:
attraverso il riconoscimento pieno di chi ha maturato diritti
all’impiego per aver prestato servizio per almeno 36 mesi (limite
imposto dalla Corte di Giustizia europea) da supplente e per aver
acquisito titoli validi alla stabilizzazione. Per una valorizzazione
della professione docente, centrata – diversamente da quanto prevede la
legge 107 - sulla valutazione del lavoro collegiale e sull’impegno
individuale, alleggerito dagli attuali eccessi burocratici - attraverso
l’introduzione di meccanismi oggettivi di progressione della carriera
da definirsi in ambito contrattuale. Il salario va ricondotto
all’accordo fra le parti e sottratto all’arbitrio di un organo
monocratico.
Per la libertà d’insegnamento:
e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione incompatibili con la
“chiamata diretta” dei docenti da parte del dirigente scolastico. Solo
dei meccanismi oggettivi, non discrezionali, di assegnazione dei
docenti alle scuole garantiscono la libertà d’insegnamento, l’uguale
accesso al diritto all’apprendimento e scongiurano il rischio insito
nella legge 107 di una più grave divaricazione tra scuole e tra zone
avvantaggiate e svantaggiate.
Per i dirigenti scolastici:
non è più accettabile la sperequazione con la dirigenza pubblica, né il
sovraccarico di incombenze e responsabilità cui fa riscontro un calo
delle retribuzioni percepite. Si profila inoltre una modalità di
valutazione ingiusta e offensiva.
Per investimenti nell’istruzione:
che colmi il gap con la media degli investimenti dei paesi Ocse (5,9%)
incrementandoli di un punto di PIL.
A questi temi generali si aggiungono
quelli specifici della Sardegna che detiene ben tristi record.
Uno su tutti quello della dispersione scolastica (25%). Non bastano i
timidi tentativi di replicare progetti che hanno avuto successo in
altre regioni italiane (la Puglia) come il progetto i “Tutti a Iscol@”,
se non inseriti in un disegno organico per il sistema dell'istruzione
in Sardegna. Serve un'idea forte per rivendicare, di fronte al governo,
l'esigenza di un sistema d'istruzione strutturato e organico che tenga
conto delle nostre specificità e della nostra idea di sviluppo.
Numeri e parametri validi per le grandi città del nord, infatti, poco
si adattano ad un realtà che vive la concentrazione della popolazione
in alcune zone costiere e lo spettro della scomparsa di tanti centri a
causa della denatalità in nelle zone interne entro qualche decina
d'anni. I nostri record negativi non vengono dal nulla: organici
tagliati a caso e scuole chiuse lasciando il territorio senza alcun
presidio culturale, che risultato avrebbero dovuto dare altrimenti?
Abbiamo bisogno di un riordino legislativo in Sardegna che ridia
certezze e sicurezze al nostro sistema d'istruzione e che renda
esigibili diritti fondamentali per i cittadini. Se un cittadino sardo
paga le tasse come (e in certi casi) più di un cittadino lombardo o
piemontese perché non dovrebbe avere il diritto alla stessa qualità del
sistema d'istruzione e alle stesse chances di successo per i propri
figli?
Se le condizioni culturali, economiche e valoriali di
partenza sono diverse, spetta allo Stato rimuoverle: così impone la
nostra costituzione. La Regione deve difendere questo diritto e
richiamare il governo centrale ai suoi obblighi costituzionali. In
Sardegna non e’ facile, fare una scuola, con 27/30 alunni per
classe. Non e’ facile, fare scuola educare al bello, far nascere
la passione per la conoscenza e motivare gli alunni in ambienti
inadatti; Non è facile, fare scuola, realizzando una didattica moderna,
adeguata al tempo che viviamo, senza strumenti! Non è facile
organizzare l'attività con autonomie scolastiche che abbracciano più di
venti comuni distanti decine e decine di chilometri l'uno dall'altro.
Non è facile organizzare la farsa dell'alternanza scuola lavoro
dove il lavoro non c'è senza la possibilità di adattarsi didatticamente
a questa realtà.
Tutto questo va risolto e per questo il 20 maggio chiederemo alla
Regione Autonoma della Sardegna gli investimenti necessari e di voler
rappresentare i bisogni dei propri cittadini a testa alta e con la
schiena dritta di fronte a questo governo. Su questo ribadiamo che
l'Unione fa la forza e le forze sindacali sarde sono pronte a questa
battaglia.
FLC CGIL
CISL SCUOLA
UIL SCUOLA
SNALS Confsal
Ivanoe Vacca
Maria Giovanna Oggiano
Alessandro Cherchi
Maria Biosa