"Anime incarnate"
erano definiti da Eugenio Garin nelle sue eleganti
Cronache di filosofia italiana
tutti quei filosofi italiani del secondo
dopoguerra, di estrazione accademica, che si facevano la guerra
mentale e psicologica quando la guerra reale era finita e
rimanevano i rigurgiti del fascismo e dell'antifascismo con i discepoli
dei due vecchi maestri scomparsi rispettivamente nel 1944
Giovanni Gentile e nel 1952 Benedetto Croce. Le "anime incarnate"
volevano rimettere in piedi una gramsciana guerra di posizione per
posizionare se stessi negli atenei più prestigiosi e reggere
l'urto dei loro avversari nell'accaparramento delle cattedre..
Carlo Antoni da gran signore non partecipò alla guerra delle cattedre,
ma solo a quella più decorosa delle ideologie in nome e per conto di
colui che considerò sempre il suo maestro e cioè Benedetto Croce. Egli
era un intellettuale schivo, uno studioso solitario che conduceva la
sua battaglia in modo rigoroso e senza continui revisionismi, giacché
aveva fatto sul serio la Resistenza con le armi intellettuali e con la
massima devozione agli ideali della libertà e della dignità, ai
quali aveva deciso di sacrificare la vita, come del resto aveva fatto
prima con la partecipazione a favore dell'Italia, da cittadino
austro-ungarico e quindi da "traditore", alla grande guerra.
Antoni si riteneva dunque un allievo fedele di Benedetto Croce, al
quale aveva dedicato la sua opera più acuta, il Commento a Croce, che consiste in
una raccolta di saggi pubblicati negli ultimi
dieci anni, fino al 1958, su varie riviste e aventi ad oggetto più
o meno diretto il pensiero del Maestro napoletano. Certo, egli non si
limitava a fare un'esposizione riassuntiva e pedissequa dei contenuti
crociani, ma "da scolaro non inerte" vi aveva dato ulteriore
svolgimento ed approfondimento, e talvolta con qualche forzatura
concettuale. Così avvenne con la questione del diritto di
natura, che a Croce sembrava troppo imbarazzante per farne un punto di
riferimento teoretico dopo la condanna pronunciata nei lontani anni
giovanili, ma l'intellettuale triestino cercava proprio in Benedetto
Croce il fermento giusnaturalistico che trovò finalmente in diversi
ambiti e specialmente nella sua preziosissima Storia
d'Europa nel secolo decimo nono, nella quale l'Autore indicava
chiaramente la "religione della libertà" e
riconosceva alla libertà medesima un valore assoluto in
quanto "principio della stessa natura umana". In tal modo lo storicismo
crociano si poteva aggiornare e addolcire introducendo una nuova
dialettica più aderente ai tempi ed alla situazione storica: "E'
opportuno a questo punto riesaminare il contenuto che Croce ha
attribuito a quella religione della
libertà che nella sua visione
della storia moderna di Europa è grande fatto nuovo agli inizi
dell'Ottocento. Naturalmente egli riconosceva che la parola
Libertà non aveva atteso il secolo XIX per accendere e far palpitare i
cuori degli uomini. Nuova era la coscienza della natura umana, che si
risolveva in un nuovo concetto della storia". (C. Antoni, Le profezie
pessimistiche, in La
restaurazione del diritto di natura, Neri Pozza
Editore 1959, p. 246). E di interpretazione in interpretazione giungeva
al punto cruciale di un liberalismo che ha avuto il carattere di
una religione della libertà non tanto perché si è storicizzato, quanto
piuttosto perché ha voluto superare l'idea della politica come puro
esercizio del potere, cioè della forza e dell'astuzia. Ma il
giusnaturalismo rimaneva saldamente attivo e vitale pure
nell'Ottocento crociano e sopravviveva in virtù dell'affermazione
della libertà della natura umana e della uguale dignità
degli uomini per i quali il diritto non può essere un mero atto di
arroganza e di arbitrio. Ma l'incontro più forte con Croce doveva
verificarsi sul terreno dell'autonomia soggettiva, là dove gli
individui sembrano averla perduta nella massa come rimescolamento
velenoso del tutto che fa perdere coscienza della individualità di
ciascuno e senso di responsabilità assieme ad un infiacchimento
morale ed intellettuale. Come avviene in questi nostri giorni con la
classe politica al potere, senza distinzioni tra Nord e Sud.
Evidentemente non sono sufficienti al trascendimento i segni
inequivocabili dello spirito universale. Alienare la propria
coscienza morale, che è un'entità sovrana, non è possibile; ma
dev'essere spparso possibile a coloro che detetengono il potere e
che intendono esercitarlo ad ogni costo un'operazione
legittima sul piano legale e facile su quello etico. Nessuno la può
alienare ad una comunità o ad un gruppo, eppure la si può smarrire
nella giungla di una postmodernità fragile
culturalmente e debole teologicamente.
Carlo Antoni ritrovava le ragioni etiche e giuridiche
fondamentali che il grande Filosofo sembrava aver contestato e
rifiutato definitivamente, e ritornava al suo Maestro con l'animo
rassicurato dalle sue elaborazioni storografiche dei primi anni Trenta
e si rendeva conto che forse per effetto della situazione storica si
era aperto un conflitto insanabile tra Croce ed i suoi
amici storicisti tedeschi, perché costoro tutto
giustificavano in nome della nazione e della storicità: "Secondo
il Meinecke, lo storicismo tedesco è la seconda grande rivoluzione
spirituale operata dallo spirito tedesco dopo la Riforma ed il suo
merito è consistito nell'aver infranto l'idea classica d'una legge di
natura, d'una ratio universale ed eterna, ideale modello e norma. Lo
storicismo, cioè, avrebbe distrutto quel giusnaturalismo che per oltre
due millenni avrebbe guidato la civiltà dell'occidente." (Carlo Antoni,
L'assoluto e la storia, in Commento a
Croce, cit., p.84).
E Croce superava
di colpo la brutale perversione nazionalistica e si legava a
valori superstoricistici che recuperavano l'assoluto e restauravano il
diritto di natura: "La filosofia crociana rappresenta dunque il tanto
sospirato superamento dello storicismo verso il quale tendevano invano
i filosofi tedeschi del primo Novecento, in quanto restaura
l'assoluto togliendolo dalla sua proiezione nel canone e
collocandolo nell'attività spirituale medesima come valore e positività
di essa. Essa pertanto supera il dualismo di esistenza e valore"
(ibidem, p.89).
Vi è un capitolo della "Restaurazione del diritto di natura" di
Antoni che spiega perfettamente la ragione della condanna dello
storicismo tedesco e del recupero del giusnaturalismo nel
territorio assai accidentato del conflitto tra sromanticismo e
giusnaturalismo. L'insoddisfazione di fronte alle ardite
spiegazioni delelle origini dello storicismo di Meinecke, che
attribuiva allo storicismo il grande merito del tramonto della stella
polare giusnaturalista, era dovuta soprattutto all'esaltazione
selvaggia ed immeritata del Meinecke "celebratore" del
nazionalismo tedesco che on domandava "se la distruzione del principio
animatore della ciltà dell'Occidente, il brusco tramonto di quella
stella polare, non abbia intaccato qualcosa di vitale ed
essenziale in questa civiltà"(Carlo Antoni, Giusnaturalismo e
storicismo, in La restaurazione del diritto di natura, ibidem, pp,
81-82)
IL giusnaturalismo antoniano invece avrebbe rafforzato la soggettività
contro l'autoritarismo e fornito all'uomo poteri e diritti
inalienabili. Nella sua moderna rinascita del
Seicento esso era sorto proprio per sottrarre allo Stato le
lotte confessionali e fondare la comunità civile su basi naturali
laiche. In questo caso è prevalso il concetto utilitaristico dell'uomo
e l'utilitarismo è stato il presupposto su cui si è voluto
fondare lo Stato. Dall'altro lato vi è, aggiungeva opportunamente
Antoni, l'antica tradizione stoico-cristiana della scintilla
divina immanente nell'anima dell'individuo umano. Qui il
giusnaturalismo
attribuiva all'uomo dei diritti che sono rimasti inalienabili, e
riconosceva alla coscienza dell'individuo una sovrana dignitò e
autorità morale, cui non si poteva abdicare. In questa sede ontologica
si è formata inoltre l'idea molto più puntuale e ben definita del
valore metafisico assunto dal giusnaturalismo, che riportava alla
sorgente teologica il fondamento dei diritti e delle responsabilità. E
qui finalmente il movimento perenne dell'illuminismo kantiano
travava la sua sintesi storica e trascendentale. Di fronte a tale
conclusione Hegel storicisa ppariva ormai lontano, molto pià vicino
Croce addomesticato e reso più paziente nella cura degli affari meno
immaneti e non perciò meno importanti e decisivi nella storia del
progresso umano e nella stessa decisione giuridica e avvertiva con la
sua Storia dì Europa che cge
la stora della civiltà si trova deltro
l'Essere e che rova dentro l'Essere e che la Ragione dell'uomo
non riesce a sgominare la fede nei valori supremi e nei diritti
naturali inalienabili. Quando l'uomo li mette in discussione per
sostituirli con criteri di utilità immediata e di opportunità
contingente o nazionalistica, allora è il tempo della barbara
incursione romantica che si oppone selvaggiamente alla più elevata
sensibilità e civiltà dell'Illuminismo kantiano. E la Giustizia,
"questa
corrispondenza della legislazione positiva alle istanze dell'etica, non
è la falsa dea dalle cui alcinesche seduzioni si dichiarava liberato il
giovane Benedetto Croce ... bensì è un'esigenza insopprimibile
dell'animo umano senza la quale non si spiega la storia della civiltà"
(ibidem, pp 86-87).
prof. Salvatore Ragonesi