Per fare della
buona valutazione ci vuole una certa dose di
pragmatismo e la consapevolezza della sua funzione strumentale al
raggiungimento delle finalità educative. Si fa valutazione per educare
ed istruire meglio di quanto non si possa fare andando avanti
senza fermarsi per vedere l'effetto che fa. Importante, necessaria la
valutazione nel processo di formazione, ma senza indebite pretese di
primato e senza farne la costante, assillante attività di ogni
insegnante. C'è da preoccuparsi se a scuola manca la cultura della
valutazione, ma molto di più ci si dovrebbe preoccupare del
disorientamento culturale e pedagogico che rende casuale e
insoddisfacente l'attività di formazione.
Diverse sono le funzioni della valutazione e non sempre si riesce a
comporle unitariamente, ad evitare i contrasti che possono renderla
inefficace dal punto di vista educativo o poco credibile. Alcuni di
questi contrasti sono originati dalla scelta di privilegiare o di
esercitare esclusivamente pratiche di valutazione orientate alla logica
oggettivistica della misurazione, considerate necessarie
per mantenere un valore pubblico, riconoscibile universalmente, alle
certificazioni e ai titoli scolastici, ma in qualche modo
divergenti da quelle che privilegiano la sua funzione educativa e
formativa. Situazione che va superata. Non si puo' scegliere una sola
alternativa; c'è la necessità di conoscere e di certificare il grado di
padronanza delle competenze possedute da chi è ancora nei processi di
formazione, come di chi ne è uscito in qualsiasi modo; c'è anche la
necessità di capire, sostenere e migliorare i processi cognitivi
che hanno portato un alunno a un particolare risultato. D'altra parte
se
la valutazione dovesse fare riferimento solo allo sviluppo
cognitivo di un alunno e alla sua crescita personale, avrebbe
sicuramente una significativa valenza educativa, ma non darebbe
sufficienti garanzie pubbliche del suo dovuto grado di
preparazione.
La fase culturale in cui sono stati messi in atto molteplici tentativi
di fondare oggettivamente le decisioni sul valore da assegnare ai
risultati di apprendimento per assicurare più trasparenza, più
credibilità pubblica, più equità non credo che sia giunta al termine,
ma
soprattutto non credo che possa essere cancellata senza battere
ciglio. La ricerca docimologica ha evidenziato i limiti e i rischi
connessi alle pratiche di valutazione e che si annnidano nelle varie
tipologie di prove (orali, scritti, esami etc). Ha squarciato la
presunzione di innocenza e di validità di decisioni a volte senza
fondamento o senza adeguata giustificazione. La ricerca affannosa della
misura esatta, però, ha finito talvolta per privare un atto del
processo
di formazione di parte significativa del suo valore educativo.
L'esigenza di valutare non solo il risultato di un percorso di
formazione, ma anche i processi intellettivi sottostanti, risponde a un
bisogno di precisione e di completezza che non puo' essere
trascurato. Con l'approccio per competenze si impongono nuovi compiti
alla docimologia. Il problema della validità e affidabilità delle prove
e degli strumenti assume un significato diverso. Certe prove di
verifica
(test, orali, compiti di restituzione )sono estranee o marginali
rispetto
all'intenzione di verificare e apprezzare il giusto valore di una
competenza acquisita, così come gli sono estranei gli strumenti di
tipo statistico per raccogliere elementi di valutazione. L'avversione
verso questo genere di strumenti nasce dalla consapevolezza che scopi
prioritari dell'attività formativa sono il miglioramento complessivo e
la crescita dell'alunno e dal convincimento che la valutazione
non debba essere ridotta a mera attività di controllo e di verifica. Il
soggetto in apprendimento è una persona da ascoltare, perchè ha
una storia "cognitiva" da raccontare. Gli apprendimenti non sono solo
dati da giudicare, ma una realtà da comprendere e interpretare.
Valutare
senza interpretare equivale a fermarsi ai puri dati fattuali. La
valutazione è, invece, prelievo di dati della realtà per dare loro un
senso in funzione di un'ipotesi di interpretazione.
La valutazione come misura chiaramente non puo' non avvalersi della
complessa strumentazione elaborata dalla docimologia e torna senz'altro
utile, semprechè i curricoli siano debitamente innovati, per agevolare
i
rapporti tra formazione e mondo del lavoro e per sgombrare le
diffidenze che vi si annidano; non ha la stessa efficacia in
funzione della maturazione e dello sviluppo delle doti, delle
attitudini, delle capacità della persona dell'alunno. L'insensibilità
verso questa esigenza impoverisce la scuola e anche la società. Le
scorie di natura scientistica ed economicistica, che residuano in
questo genere di valutazione, impediscono di intravedere le grandi
possibilità di un'educazione completa/integrale della persona.
Per riassumere il senso dei ragionamenti fatti sui problemi della
valutazione, mi piace concludere con le parole di
M. Ambel.
"Bisogna spostare il senso ultimo delle attività valutative
dalla polarità del controllo e della sanzione a sostegno di una logica
premiale o punitiva a quella della ricerca e sostegno
dell'innovazione"; e con quelle di Le Boterf :"altro è la
selezione, altro è volere che le persone apprendano ad agire con
efficacia permettendo di riflettere se sono stati ottenuti gli effetti
voluti".
Raimondo Giunta