Quello che è
successo in Francia, puo’ succedere altrove e in parte è successo in
Italia nel 2013 col Movimento 5Stelle. I partiti sradicati dalle classi
sociali di riferimento, chiusi nella logica che impone loro la presenza
nelle istituzioni, e sempre più restii a ripensare il senso e le
prospettive della propria esistenza, sono diventati gusci vuoti, che al
primo serio momento di difficoltà volano in aria senza rimpianti.
Avere scisso il politico dal sociale, salvo qualche richiamo rituale al
proprio lessico del passato, ha determinato più che una duplice
funzionale autonomia delle due sfere il conflitto tra società e
istituzioni; tra bisogni sociali e attività politica. Non è un caso che
all’inasprimento del malcontento sociale corrisponda il decremento
costante della partecipazione popolare alle elezioni, anche in presenza
di nuove offerte politiche.
La rottura del rapporto tra bisogni sociali e rappresentanza politica
riguarda principalmente i ceti popolari e la parte bassa dei ceti medi;
il resto si gode una vittoria schiacciante per rinuncia dei contendenti
a scendere in campo per giocare la partita: l’eterna partita della
lotta di classe.
Il riassetto del potere e delle risorse economiche su scala mondiale
,accompagnato da incontenibili migrazioni di sventurati, colpisce
duramente gli equilibri politico-sociali dell’occidente, perchè
infrange le sicurezze sulle quali si basavano, scardina le prospettive
di mantenimento dello Stato sociale, impoverisce parte cospicua della
popolazione anche del linguaggio con cui parlava delle proprie
condizioni, esponendola inerme e senza strumenti all’odio e al rancore
contro quelli più sfortunati.
Se come si va dicendo siamo agli sgoccioli della terza via, la cui luce
avrebbe dovuto illuminare a tempo indeterminato i nostri tempi, è
evidente che un nuovo inizio del mondo della sinistra impone una
straordinaria, profonda riformulazione del proprio progetto e un
radicale ripensamento della lettura e dell’interpretazione del disagio
sociale, un atteggiamento convinto di attenzione alla diversità di
opinione, il confronto aperto sulle prospettive, l’abbandono di ogni
pretesa di superiorità intellettuale e morale. Con i troppi errori
commessi, con lo smisurato ritardo accumulato sulle scelte da fare a
nessuno dovrebbe essere consentito di impancarsi a leader e a maestro.
Il lavoro che attende richiede fatica, impegno, umiltà e soprattutto il
coraggio di riprendere la via del conflitto sociale e di pagarne i
prezzi eventuali. Senza conflitto sociale, non c’è redistribuzione; non
c’è giustizia sociale.
Raimondo Giunta