La crisi della
forma scuola,come si è venuta a costituire a partire dal XVII secolo,
induce a oltrepassare lo spazio paradigmatico dell'aula come luogo
identitario dei processi formativi e a rimettere in discussione i
dispositivi metodologici che vi fanno ancora riferimento; induce a
misurarsi con le dimensioni dell'attività, della contestualità, della
ricerca di significato. Induce a misurarsi con le pratiche sociali più
diffuse, con i problemi emergenti nella società. Questa esigenza, forte
e imprescindibile per alcuni aspetti negli indirizzi tecnici e
professionali, ma presente anche nei licei e negli altri ordini di
scuola, si deve confrontare col problema costituito dal fatto che
l'aula può essere oltrepassata,ma non cancellata. Con qualsivoglia
impostazione didattica delle attività formative arriva sempre il
momento in cui vi si deve ritornare per fare il punto, tracciare una
linea e tirare le somme.
Nella formazione tecnica e professionale ancora non si riesce a
eliminare la separazione fra il tempo dell'apprendimento e quello della
pratica effettiva, perchè anche nelle stesse attività pratiche, se
qualcosa deve essere seriamente e solidamente appreso,si deve restare
dentro la logica della formazione "curriculare".
L'inserimento di un sistema di pratiche, come quelle del'alternanza,
del tirocinio e dello stage, nel curriculum equivale alla sua
collocazione in un "discorso". Alla parola organicamente compresa
nell'azione si aggiunge la parola che la trascende, la descrive e la
controlla. Una parola "scritturale" secondo Rey.
In questo modo il saper fare personale carismatico e ineffabile può
essere sostituito da una tecnica codificata con cui si espone la
sequenza necessaria per realizzare un determinato fine; in questo modo
le pratiche possono essere trasmesse in modo didattico, in modo
esplicito e secondo un ordine sistematico.
L'inserimento in un curricolo di un sistema di pratiche conduce
necessariamente ad un'operazione di teorizzazione, la cui validità
dipende dalla coerenza interna del discorso con cui viene formulata e
dalla sua adeguatezza alla realtà di riferimento. Con la teorizzazione
si creano le condizioni per la trasferibilità e la generalizzazione dei
saperi pratici, che di per sè sono locali, contestuali, singolari.
Per essere insegnabile una pratica e oggetto di apprendimento deve
essere ricostruita nella sua identità e struttura, nella sua ragione
d'essere; deve entrare nella logica del discorso e del "testo". E'
insegnabile ciò di cui si ha scienza. L'esperienza
in quanto tale non è generatrice di competenze e lo sapevano
bene anche gli antichi greci che distinguevamo tra empeiria e technè.
Aristotile affermava "L'esperienza, poi, sembra alquanto simile alla
scienza e all'arte". Ma "non c'è esperienza senza categorizzazione e
sistematizzazione dei dati in una sintassi di concetti" (J. Bruner).
"Le esperienze possono essere vivide e interessanti, ma la loro
incoerenza e la mancanza di coordinamento può dar luogo ad abiti
dispersivi, disintegrati e centrifughi" (J. Dewey).
Non ogni esperienza, quindi, genera apprendimento, anche se ogni
apprendimento si radica in un'esperienza ed è un'esperienza. Per fare
dell'esperienza un apprendimento bisogna
problematizzarla,reinterpretarla con un dispositivo di aspettative e di
criteri; riconsiderarla attraverso le concezioni apprese per darle un
significato e per potere affrontare nuove esperienze.
La via che porta dal concreto all'astratto è tanto impegnativa e
incerta quanto quella che porta dall'astratto al concreto e forse è
impossibile apprendere saperi complessi d'alto livello solo attraverso
la pratica, dimenticando l'aula...
Il ricorso all'esperienza e alle pratiche sociali deve essere
considerato come una sollecitazione a creare le migliori condizioni per
un apprendimento sociale, riflessivo, situato, contiguo con con altri
processi della vita quotidiana e ben soccorrono per questo percorso lo
stage formativo e l'alternanza scuola-lavoro, patrimonio acquisito
nella formazione professionale e a scuola stessa.
E' ormai assodato che ci debba essere una forma di alternanza, meglio
ancora una circolarità tra il tempo in cui si va avanti con
l'assimilazione delle conoscenze e un altro in cui ci si esercita a
mobilizzarle in specifiche attività laboratoriali o di lavoro: tempi
significativi, adatti per una metodologia che non deve avere fretta.
Con il dovuto rigore l'esperienza può essere punto di partenza e anche
un punto d'arrivo. Questo genere di metodologia necessita, però, di
strumenti e di risorse; necessita di un'organizzazione rigorosa e di
competenze elevate del docente in termini di controllo, di conoscenze
didattiche e di tecniche di lavoro.
Partire dal mondo reale, predisporre percorsi di apprendimento
complessi e sfidanti, promuovere il ruolo attivo e costruttivo dello
studente, sviluppare il senso e l'uso possibile degli apprendimenti
senza renderli utilitari, apprendere attraverso attività laboratoriali,
promuovere l'apprendimento sociale e l'atteggiamento riflessivo sono le
giuste proposte per emancipare il processo formativo dalla tirannia
della routine e renderlo vivido e interessante, motivante per chi
apprende.
Una strada, forse quella giusta, perchè gli alunni abbiano una testa
ben fatta e non una testa piena (Montaigne e Morin).
Raimondo Giunta