dal sito de " IL Corriere della Sera "
Lo stesso principe saudita, uno degli uomini più ricchi della terra, è lo sponsor del seminario, con la sua «Kingdom Holding Company», insieme alla Regione Campania. Vi si spiega che «l’idea del seminario deriva dalla convinzione che l’Europa non ha prestato sufficiente attenzione al ruolo che le emergenti correnti democratiche del pensiero e dell’azione islamica, cioè i Democratici Musulmani, possono svolgere nella democratizzazione dei paesi ad est e a sud della regione mediterranea».
Ebbene chi sarebbero questi Democratici Musulmani?
Il nome più familiare è Tariq
Ramadan, nipote del fondatore deiFratelli Musulmani, Hassan al Banna, che vanta
una serie di titoli: ricercatore all’Università di Oxford, consulente di Tony
Blair, presidente della Rete Musulmana Europea. Ma che è a tutt’oggi interdetto
dall’ingresso negli Stati Uniti con l’accusa di essere colluso con il terrorismo
internazionale. Certamente nei suoi scritti ha fatto apologia del terrorismo
suicida palestinese e di quello iracheno spacciato per «resistenza», così come
nega il diritto di Israele all’esistenza.
Il primo tra i relatori sarà Ahmet Davetoglu, consigliere per la politica estera
del premier turco Erdogan. È lui che il 16 febbraio 2006 ha invitato ad Ankara
una delegazione ufficiale di Hamas, capeggiata dal suo leader Khaled Mash’al, e
che spinge la Turchia verso più stretti rapporti con il mondo islamico di cui
aspira ad assumerne la leadership. È convinto che l’Europa potrà diventare una
potenza globale solo se adotterà il multiculturalismo come sistema sociale e se
instaurerà un legame strategico con l’Asia, in particolare con la Turchia.
La presenza più imbarazzante rischia di essere quella di Nadia Yassine, figlia di Abdessalam Yassine, da anni agli arresti domiciliari in Marocco, leader del partito fuorilegge «Giustizia e carità», ideologicamente legati ai Fratelli Musulmani. Nadia ha inneggiato alla vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi del gennaio 2006, paragonandola al successo della rivoluzione islamica in Iran.
È sotto processo per aver pubblicamente manifestato la propria ostilità nei confronti della monarchia e auspicato l’avvento di una repubblica, preferibilmente islamica. Anche l’altra donna tra i quattro protagonisti principali, l’egiziana Heba Raouf Ezzat, è una militante dei Fratelli Musulmani, discepola dello sceicco Youssef Qaradawi, il più famoso telepredicatore e apologeta del terrorismo suicida palestinese e in Iraq. È una delle fondatrici del sito www.islamonline.net, punto di riferimento ideologico degli estremisti islamici.
Ugualmente sconcerta il fatto che il
principale organizzatore del seminario, il professor John L. Esposito, direttore
del Centro del principe Alwaleed Bin Talal, abbia pubblicamente sostenuto che
Qaradawi «è tra quegli intellettuali islamici che riconoscono il diritto di
aprire i sistemi politici prevalenti monopartitici e autoritari» e «ha
reinterpretato i principi islamici per riconciliare l’islam con la
democratizzazione e i sistemi politici multipartitici».
Questa disponibilità è contraccambiata da Qaradawi che considera Esposito
l’unico orientalista serio.
Infine non mancherà di suscitare interrogativi la presenza dell’ex presidente iraniano Mohammad Khatami, considerato un moderato, ma che tuttavia fallì nel progetto di democratizzare la società iraniana e oggi è alquanto silente sulla strategia nucleare e guerrafondaia del nazi-islamico Ahmadinejad.
Sarebbero questi i «democratici musulmani» che garantirebbero a tutti noi la democrazia e la pace nel Mediterraneo?
Purtroppo non si tratta di un infortunio, bensì di una scelta deliberata promossa scelleratamente da Blair e Bush, fatta propria prima da Berlusconi e poi da Prodi, nell’illusione che i Fratelli Musulmani possano essere la soluzione vincente per sconfiggere Bin Laden e i jihadisti. È un Occidente che corteggia il Burattinaio storico affinché uccida le proprie creature, i novelli burattinai fai-da-te e i tanti burattini del terrorismo islamico.
La delusione cresce se si passa in
rassegna ai tanti nomi degli accademici stranieri e nostrani, accomunati dal
convincimento che l’Occidente non abbia alternativa che legittimare e accordarsi
con i Fratelli Musulmani. E non sembra che sia un caso che proprio l’Italia sia
stata prescelta per suggellare questa strategia, visto che da noi gli estremisti
dell’Ucoii sono trattati con tutti i riguardi, a dispetto dell’apologia del
terrorismo palestinese, della negazione di Israele e della promozione della
poligamia.
Magdi Allam
20 gennaio 2007
Fede, business e fiumi di denaro in contanti Gestire moschee è diventato un
business Dopo l'intervento di Amato sui fondi dall'estero. Così si moltiplicano
i luoghi di preghiera
Le moschee crescono a ritmi
vertiginosi. E in Europa gestire una moschea è diventato un affare colossale, un
investimento economico redditizio che, in parallelo, garantisce uno
straordinario potere politico e mediatico. Cherchez l’argent, recita il detto
francese che sottintende che la pista principale dietro al crimine organizzato è
di natura finanziaria. Bene ha fatto dunque il ministro dell’Interno Amato a
sollevare la questione della trasparenza dei finanziamenti stranieri destinati
alle moschee italiane. Ed è sempre alla Francia che egli guarda per una
possibile soluzione, facendo riferimento alla «Fondazione per le opere
dell’islam », dove far confluire tutte le donazioni, sotto il controllo di una
istituzione finanziaria pubblica, la «Cassa dei depositi e dei prestiti».
L’augurio è che Amato abbia in mente un progetto complessivo per la trasparenza,
non solo dei finanziamenti, ma delle moschee e dell’islam d’Italia.E che sia
consapevole che proprio il modello francese, incentrato sulla logica della «moscheizzazione
» dell’islam, si è di fatto arenato dopo aver scontentato tutti e non essere
riuscito a far decollare il p r o g e t t o d i un «islam francese». Ecco perché
è necessario chiarire i punti cruciali dell’insieme della tematica dei
finanziamenti e dell’islam in Italia.
Fedeli alla moschea Jama di Delhi in occasione dell'Eid ad-Adha lo scorso 1°
gennaio (Afp)
Le moschee crescono a ritmi vertiginosi e vengono acquistate con denaro
contante. Dobbiamo prendere atto che ci sono delle novità che hanno indotto il
ministro dell’Interno a focalizzare l’attenzione sui finanziamenti alle moschee
provenienti da Stati stranieri e che vi è una legittima preoccupazione per la
nostra sicurezza nazionale. Noi possiamo constatare il fatto oggettivo che in
Italia le moschee, intendendo tutti i luoghi di preghiera islamici, grandi, medi
e piccoli, crescono a ritmi vertiginosi. Erano 400 nel 2000 e, al 25 maggio
2006, secondo l’ultimo rapporto semestrale del Cesis, sono diventate 628,
registrando cioè un aumento del 63% in sei anni. Al tempo stesso è da rilevare
che la gran parte delle nuove moschee vengono acquistate direttamente con denaro
contante. E si tratta di una tendenza in forte crescita.
Gestire le moschee è diventato un business colossale. Quando nel novembre 2004
l’allora ministro dell’Interno francese Dominique de Villepin propose di creare
una «Fondazione per le opere dell’islam», ovvero un ente dedito alla raccolta
dei fondi per la costruzione delle nuove moschee e alla formazione degli imam
francesi, l’Uoif, che lì rappresenta i Fratelli Musulmani, rifiutò inizialmente
l’idea. Il suo presidente, Fouad Alaoui, sostenne: «Non abbiamo bisogno di
questa fondazione né dell’aiuto dei poteri pubblici. Ci sono già delle strutture
per raccogliere le donazioni dei musulmani». Al riguardo disse: «I soldi del
Golfo sono minimi nel finanziamento delle moschee. Soltanto nel mese del
Ramadan, nelle moschee in Francia sono stati raccolti tra i 15 e i 20 milioni di
euro»! Difficile dire se siano veramente soldi versati interamente sotto forma
di donazioni dai circa 500 mila musulmani francesi che frequentano le moschee,
ma di certo è una cifra considerevole. Formalmente l’Uoif ha poi fatto marcia
indietro. Il 20 marzo 2005 il Consiglio d’amministrazione del «Consiglio
francese del culto musulmano», di cui fanno parte i dirigenti di quattro sigle
che fanno riferimento alle moschee tra cui primeggia l’Uoif, ha espresso il suo
appoggio all’unanimità al progetto della Fondazione. Ma da allora nulla di
sostanziale è successo. Di certo gestire una moschea in Europa è diventato un
vero e proprio business, un investimento economico altamente redditizio e che,
in parallelo, garantisce uno straordinario potere politico e mediatico.
Le moschee sono rette da gestori autocrati e corrotti. Proprio l’esperienza
francese deve indurci a far tesoro dei suoi limiti. Il primo dei quali è la
concezione di un islam «moscheizzato», ovvero che si appiattirebbe sulle
moschee. Il fatto certo è che la maggioranza dei musulmani non appartiene al
«popolo delle moschee» e non si sente rappresentata dai gestori delle moschee.
Che cosa significa? Che l’impegno dello Stato per la trasparenza delle moschee
deve accompagnarsi di pari passo con l’impegno a affermare un «islam italiano»,
affrancato dal monopolio delle moschee. Che, a maggior ragione se registrate
come Onlus per poter concorrere nell’attribuzione di fondi pubblici sia dagli
enti locali sia dal 5 per mille delle detrazioni fiscali degli italiani, devono
tassativamente operare nel rispetto delle leggi, rendendo pubblici i loro
bilanci, rispettando gli statuti specie laddove è prevista la eleggibilità delle
cariche. Invece le moschee sono rette da gestori autocrati e corrotti, che non
sono stati eletti, che non hanno alcun mandato o programma, che non rispondono a
nessuno dei soldi in entrata e in uscita. In Italia la Chiesa e laComunità
ebraica rendono pubblici i loro bilanci, mentre quelli dell’Ucoii e delle sigle
islamiche sono top-secret. Ci deve essere trasparenza non solo per i soldi che
arrivano dall’estero, ma anche per come vengono gestiti in Italia e infine per i
soldi che dalle moschee d’Italia vanno all’estero come donazioni a enti e
singoli in aree coinvolte nelle guerre e nel terrorismo islamico.
Lo Stato deve co-gestire la realizzazione di un «islam italiano». Tutto ciò si
traduce nel fatto che lo Stato, per poter co-gestire la trasparenza dei
finanziamenti alle moschee, deve necessariamente co-gestire la realizzazione di
un «islam italiano». È questo il fulcro dell’approccio francese che, prendendo
atto della specificità dell’islam in quanto religione priva di un unico
referente sul piano della rappresentatività e della fede, ha accettato il fatto
che è lo Stato che deve necessariamente forgiare l’islam nel contesto nazionale.
Compresa la formazione di «imam nazionali». Ciò che impone di superare sia le
resistenze di coloro che considerano l’intromissione dello Stato nella religione
un sacrilegio laico, sia l’opposizione degli integralisti ed estremisti islamici
che mirano in ultima istanza a sostituirsi allo Stato di diritto per imporre il
loro potere assoluto. Per l’Italia è una sfida immane che, al momento, vede
avvantaggiati gli estremisti islamici che sono riusciti a paralizzare la
Consulta dell’islam italiano, istituita proprio per favorire la nascita di un
islam compatibile con le nostre leggi e valori. È una missione storica che potrà
essere vinta se affrontata non con l’ottica limitata della sicurezza, ma con la
visuale ampia del modello di Stato e di civiltà che l’Italia vorrà darsi nel
mondo sempre più globalizzato.
Magdi Allam
06 gennaio 2007