Che differenza c'è tra il verbo "redarre" e il verbo "redigere"? Quando si usa il primo e quando il secondo? Alessia Di Cesare
Sappiamo che il sistema lingua tende alla semplificazione e che uno dei motori dell'innovazione è la spinta analogica (redarre come trarre, con participio passato terminante allo stesso modo: redatto / tratto), per cui è possibile che redarre un giorno affianchi o perfino scalzi redigere, verbo di uso limitato, specialistico (redigere un atto, un contratto) e si imponga anche nei vocabolari e nelle grammatiche come (unica) forma pienamente accettabile. Fino a quando quel giorno non sarà venuto, non considereremo come accettabile redarre. Nell'appendice alla grammatica di Luca Serianni, Italiano (una garzantina), stesa da Giuseppe Patota, si dedica un apposito riquadro alle forme in questione. Vale la pena citare: «redigere / redarre: nessun dubbio: la forma corretta è la prima; la seconda è dovuta all'attrazione del verbo trarre, favorita dalla comune terminazione in -atto dei due participi passati (redatto - tratto)». È vero che un dizionario come il Devoto-Oli (2004-5) mette a lemma la forma redarre: ma ciò dimostra la sensibilità dei lessicografi che, prendendo atto della forma errata ma circolante nell'uso, decidono di riportarla all'interno del lemmario, dando però la seguente perentoria indicazione: «Forma errata per redigere, modellata sul tema del participio passato redatto». Anche il Vocabolario Treccani porta a lemma redarre. Certamente dalla formulazione («Forma talora usata erroneamente in luogo di redigere») si capisce che, nel giro di una quindicina d'anni (il volume del Vocabolario che contiene la voce redarre è del '91) la forma redarre si è espansa nell'uso.
Sappiamo che il sistema lingua tende alla semplificazione e che uno dei motori dell'innovazione è la spinta analogica (redarre come trarre, con participio passato terminante allo stesso modo: redatto / tratto), per cui è possibile che redarre un giorno affianchi o perfino scalzi redigere, verbo di uso limitato, specialistico (redigere un atto, un contratto) e si imponga anche nei vocabolari e nelle grammatiche come (unica) forma pienamente accettabile. Fino a quando quel giorno non sarà venuto, non considereremo come accettabile redarre. Nell'appendice alla grammatica di Luca Serianni, Italiano (una garzantina), stesa da Giuseppe Patota, si dedica un apposito riquadro alle forme in questione. Vale la pena citare: «redigere / redarre: nessun dubbio: la forma corretta è la prima; la seconda è dovuta all'attrazione del verbo trarre, favorita dalla comune terminazione in -atto dei due participi passati (redatto - tratto)». È vero che un dizionario come il Devoto-Oli (2004-5) mette a lemma la forma redarre: ma ciò dimostra la sensibilità dei lessicografi che, prendendo atto della forma errata ma circolante nell'uso, decidono di riportarla all'interno del lemmario, dando però la seguente perentoria indicazione: «Forma errata per redigere, modellata sul tema del participio passato redatto». Anche il Vocabolario Treccani porta a lemma redarre. Certamente dalla formulazione («Forma talora usata erroneamente in luogo di redigere») si capisce che, nel giro di una quindicina d'anni (il volume del Vocabolario che contiene la voce redarre è del '91) la forma redarre si è espansa nell'uso.