La Legge 15 luglio
2011, n.111, che impone gli accorpamenti fra scuole con meno di 1000
alunni per acquisire l'autonomia, sta mettendo in subbuglio sia le
Regioni, che vorrebbero opporsi in base al Titolo V della Costituzione
ma che non hanno armi idonei essendo i dirigenti a carico dello Stato,
e sia i comuni più piccoli, e quindi con qualche centinaio di alunni
per scuola, che vedono sparire l'autonomia insieme alla possibilità di
avere un dialogo stretto e forse pure costruttivo con la
presidenza. Gli accorpamenti infatti, di cui alla Legge, vengono
effettuati, non solo fra scuole di uno stesso comune ma anche fra
scuole di comuni diversi per cui il dirigente, che occuperà la sede con
più alunni, periodicamente dovrà spostarsi, almeno per conoscere i
docenti e forse per cercare pure di capire la logistica, nel comune
vicino, mentre i collegi dei docenti, per risparmiare tempo e spese, si
svolgeranno nella sede principale. Discorso per lo più similare
con le scuole disagiate che, pur non perdendo l'autonomia,
avrebbero però non più un preside tutto per loro ma un reggente che,
sempre periodicamente, dovrà spostarsi, e per gli stessi motivi del suo
collega, nella sede più lontana.
Il Governo, nell'emanare la Legge, l'ha argomentata col motivo della
riduzione della spesa perchè, tagliando un posto di dirigente, di
segretario (Dgsa) e qualche Ata, verrebbe a risparmiare qualche milione
di euro; e considerato che complessivamente si prevede l'accorpamento
di circa 3000 scuole, il conto non è difficile farlo. A nostro
modesto parere questo ulteriore dispositivo di legge nasce ancora una
volta dalla incapacità di chi governa la Nazione di implementare
riforme coraggiose che in un sol colpo eviterebbero contenziosi, sia
tra Stato e Regioni, sia fra Comuni, e sia pure toglierebbero
dalla angoscia dirigenti, insegnanti e personale, facendo pure
risparmiare allo Stato soldi che non bastano mai per turare le
improvvise falle che vengono con sempre più frequenza allo scoperto.
Basterebbe infatti mettere in cantiere, per essere approvata, una legge
che preveda l'elezione diretta del preside da parte del collegio dei
docenti e del personale, così come avviene nelle università e così come
avviene negli Enti locali e pure in paesi di grande civiltà come la
Germania. Qui addirittura il preside, non solo è eletto dai suoi
colleghi, ma la metà esatta del suo tempo scuola la trascorre in classe
come docente, facendo lezione regolarmente. Considerato fra l'altro che
gli alunni tedeschi nei sondaggi Ocse-Pisa sono messi meglio dei
nostri, si può ben affermare che un preside elettivo non toglie nulla
ai destinatari più importanti dell'azione per cui la scuola esiste. Ma
non solo. Considerato ancora che l'ultimo concorso a preside è costato
allo Stato circa 40 milioni di euro, che vi hanno preso parte 42mila
docenti, affidati a una organizzazione (la FormezItalia) carente
e che ha provocato e continua a provocare ricorsi al Tar e contenziosi,
malanimi e bufere perfino fra colleghi, che agenzie di preparazione al
concorso e avvocati hanno trovato ottima mangiatoia, e che
probabilmente i futuri 2.832 vincitori non troveranno nemmeno la
cattedra per via proprio degli accorpamenti, disporre un nuovo
ordinamento con l'elezione diretta del preside toglierebbe almeno
di mezzo tanto sfacelo economico, amministrativo e giudiziario.
Il preside elettivo inoltre durerebbe in carica un tempo limitato,
contrariamente a un vincitore di concorso che è a vita, anche se
quest'ultimo si scoprisse improvvisamente autoritario e
schizofrenico e anche se è fosse stato raccomandato per vincere quel
posto. Una comunità educante, come la scuola, che è composta da
intellettuali con tanto di laurea, saprebbe in ogni caso, meglio e più
dei sindaci nei comuni, scegliersi il proprio preside con oculatezza e
intelligenza, mentre una semplice indennità di funzione, proporzionata
alla grandezza della istituzione, toglierebbe di mezzo i gravami
economici della dirigenze e della equipollenza dei dirigenti scolastici
ai dirigenti dei ministeri e degli Enti statali. Una operazione
legislativa dunque semplice e di facile attuazione, ma che brucerebbe,
per la felicità dell'ex ministro Calderoli, qualche centinaio di altre
leggi e normative legate sia ai concorsi e sia agli accorpamenti, alle
reggenze, alle dirigenze e ai poteri di cui essi godono. Una riforma
della governance della scuola che, se non è epocale, sicuramente
eviterebbe le procedure concorsuali coi suoi ritardi, le lungaggini e
gli inevitabili contenziosi, e che farebbe risparmiare molti soldi e
tempo, e forse ridarebbe più libertà e democrazia alle scuole autonome,
e sarebbero realmente autonome, della Repubblica.
Pasquale
Almirante
p.almirante@aetnanet.org