Credo sia
partita una nuova “caccia” all’Invalsi. In questa mobilitazione contro
l’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema dell’Istruzione si
stanno fondendo due filoni distinti:
- coloro che contestano l’Invalsi in toto e che cercano di boicottare
l’applicazione di qualsiasi valutazione di sistema, descritta per lo
più come una schedatura;
- coloro che attaccano l’Invalsi partendo dalla poca scientificità
delle sue metodologie valutative.
La coesione di queste due diverse posizioni ha ricevuto in questi
ultimi tempi una consistente dose di supporto anche da parte di
soggetti che in precedenza una certa apertura all’Invalsi l’avevano
concessa. La prima posizione è ben rappresentata dalla mobilitazione
permanente dei Cobas, che ha una larga cittadinanza nel mondo della
scuola italiana che supera e di molto il consenso del piccolo e
combattivo sindacato. Nel sito del sindacato (www.cobas-scuola.it) ci
sono delle posizioni molto chiare sull’argomento espresse in un
articolo dal titolo “Difendiamo la scuola bene comune lottando contro i
quiz Invalsi”. La posizione dei Cobas della scuola tradotta in slogan
fornisce copertura ideologica e sindacale alle estemporanee
“bocciature” dei quiz Invalsi da parte di Collegi docenti, che non
hanno alcun titolo a deliberare in tal senso, ma che comunque
deliberano lo stesso e non lo nascondono a nessuno. L’altra posizione è
più articolata e nel giro di pochi giorni è stata sostenuta da Maurizio
Tiriticco (Perché non sospendiamo le prove Invalsi finché…, su
www.edscuola.it del 17 dicembrte 2011) e da Filippo Cancellieri su
“Dirigere la scuola” (dicembre 2011): “Si riparte con le rilevazioni
Invalsi”.
Mentre la prima posizione (quella “alla Cobas”) è di totale rifiuto per
qualsiasi intromissione ministeriale nella valutazione degli alunni ed
è contro la valutazione dei docenti e delle scuole, la seconda
posizione sta cercando di “bocciare” l’Invalsi in forma “soft”:
Tiriticco sostiene che bisogna sospendere le valutazioni Invalsi in
attesa che il sistema scolastico italiani vada a regime con tutte le
sue riforme e che nel frattempo sarebbe il caso di utilizzare le
valutazioni che i docenti danno agli alunni per analizzare il sistema
scolastico, Cancellieri sostiene che bisogna fermarsi subito perché si
sta andando verso la perniciosa prassi del “Teaching to the test”, che
secondo lui è in via di ripudiazione dove lo sperimentano da anni.
COSA E’ SUCCESSO?
Uno si potrebbe chiedere: cosa è successo dallo scorso maggio o giugno?
Perché questi attacchi preventivi quando la Direttiva ministeriale n°
88 del 3 ottobre 2011 ha già prefigurato il percorso dell’Invalsi nel
2012?
Io credo stiano creando un bel terreno di scontro tre passaggi
fondamentali sull’Invalsi:
- nella lettera del 27 ottobre 2011 all’Unione Europea Silvio
Berlusconi ha scritto: “L’accountability delle singole scuole verrà
accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno
scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con
risultati insoddisfacenti”;
- il 4 novembre il Commissario comunitario Olli Rehn ha inviato 39
domande all’Italia e la domanda n° 13 era la seguente: “Quali
caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole
scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test INVALSI?”
- nel discorso di insediamento il 17 novembre 2011 il Primo Ministro
Mario Monti ha letto anche questo passaggio: “La valorizzazione del
capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare
all’accrescimento dei livelli d’istruzione della forza lavoro, che sono
ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più
giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree
in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati
dall’INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e
valorizzazione degli insegnanti.”
Sta prendendo piede nel mondo della scuola italiana l’idea che
sull’Invalsi si stia facendo troppo sul serio e che quelle rilevazioni
con troppi difetti non possano costituire la base di quel famoso
sistema di valutazione della scuola che in Italia tutti invocano a
parole e ostacolano nei fatti.
Tra l’altro l’aspetto giuridico della questione sarebbe sorprendente se
non fosse “ridicolo”:
- il d.lgs 286 del 30 luglio 1999 (“Riordino e potenziamento dei
meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei
rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni
pubbliche”) al comma 4 dell’articolo 1 precisa: “Il presente decreto
non si applica alla valutazione dell’attività didattica e di ricerca
dei professori e ricercatori delle università, all’attività didattica
del personale della scuola, all’attività di ricerca dei ricercatori e
tecnologi degli enti di ricerca”;
- l’articolo n° 74, comma 4 del il d.lgs 150 del 27 ottobre 2009
(Brunetta) chiarisce: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università
e della ricerca e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono
determinati i limiti e le modalità di applicazione delle diposizioni
dei Titoli II e III del presente decreto al personale docente della
scuola”.
“Ridicolo” ho scritto perché non trovo altro termine per definire una
situazione in cui una norma legislativa primaria vieta di valutare gli
insegnanti, un’altra norma primaria rimanda ad un decreto a cui nessuno
sta lavorando per la valutazione della performance dei docenti. E in
mezzo a questo ennesimo paradosso italiano (“Voglio valutare i docenti
e le scuole, ma approvo leggi per non farlo”) l’Invalsi viene assorto
al ruolo di salvatore della patria valutativa non attraverso chiari
atti ministeriali (impugnabili), ma con frasi ad effetto sparse sempre
più spesso in documenti ufficiali, ma privi di valore legislativo.
AVVISARE I SOLDATI GIAPPONESI NELLA GIUNGLA
Quindi è sufficiente avvertire Olli Rehn e Mario Monti che si è
scherzato, sospendere sine die le rilevazioni Invalsi, lasciare in pace
le scuole e non pensarci più. Accanto a questo si potrebbe avviare uno
studio nazionale su come realizzare la valutazione perfetta dei
dirigenti scolastici, delle scuole, del sistema dell’istruzione, ben
sapendo che l’impresa è impossibile, perché non esiste sistema di
valutazione che non sia nato attraverso meccanismi processuali. Il più
celebre istituto di ricerca e valutazione del Mondo scolastico
attualmente è il Fier (Finnish Institute for Educational Research) di
Jyväskylä nella Finlandia Centrale, che ci guarda piuttosto allibiti
nel nostro dibatterci in questo magma indistinto che è la valutazione
italiana.
Devo dire che in questa fase mi pare meno ipocrita e più diretta la
posizione dei Cobas e degli anti-sistema e anti-valutazione piuttosto
che quella alla Tiriticco-Cancellieri. E’ molto più serio (anche se
piuttosto fuori dal mondo) sostenere che gli insegnanti non devono
essere valutati e la scuola italiana difesa con la lotta dall’Invalsi e
dall’Unione Europea, piuttosto che proporre di utilizzare le
valutazioni dei docenti italiani agli alunni come elemento attraverso
cui studiare il sistema dell’istruzione: non c’è nulla di meno
scientifico, di più arbitrario e di più legato strettamente
all’adesione dello studente a ciò che ha detto il docente della
valutazione italiana degli alunni. Tra l’altro quella valutazione
continua a basarsi su due prodotti obsoleti come le “interrogazioni” e
i ”compiti in classe”. Nella scuola italiana oggi non si sta andando
verso il “Teaching to the test”, ma si rimane ancorati al “Teaching to
the ‘compito in classe’ or to the “interrogazione” se vogliamo
ridicolizzare la banalità del nostro modo di dare voti agli alunni.
E poi un po’ di serietà intellettuale non dovrebbe farci dimenticare
che l’Ocse-Pisa ci valuta con test suoi e non con in nostri voti. Io
penso che non si possano imbrogliare l’opinione pubblica italiana,
l’Unione Europea e l’Ocse cercando di nascondere il dato per cui i voti
dell’esame di fine del secondo ciclo sono più alti nelle zone italiane
in cui peggiori sono i risultati Ocse-Pisa. E non credo sia il caso di
dimenticare che alcune scuole del sud hanno rivendicato anche sui
giornali la liceità di imbrogliare sui test Invalsi per non veder
penalizzato ulteriormente il sistema dell’istruzione meridionale.
Ritengo invece sia giusto dire che ci sono molte scuole italiane in cui
le Prove Invalsi sono considerate serie, attendibili, interessanti.
Credo sia giusto dire che molti collegi docenti le hanno inserite nel
Pof senza problemi e le considerano fondamentali per la valutazione
degli alunni. Credo sia doveroso segnalare che ci sono Regioni (come il
Friuli Venezia Giulia) che considerano le prove Invalsi come un
passaggio fondamentale per la valutazione degli alunni e del sistema.
Credo sia onesto dire che molti docenti non si ergono a esperti di
valutazione di sistema e guardano con rispetto il lavoro dell’Invalsi.
E credo sia giusto dire infine che molte scuole pubblicizzano i buoni
risultati raggiunti perché ne sono orgogliose.
Se l’idea è però quella di buttare una volta ancora tutto a mare chiedo
almeno che coloro che stanno lavorando seriamente sull’Invalsi siano
avvertiti per tempo (me incluso) per evitare di trasformare una fetta
della scuola italiana in “ridicola” paladina di un sistema sbagliato,
vessatorio, inutile. Se l’Invalsi verrà gettato via bisognerà dirlo a
chi sta investendo su quel meccanismo risorse, intelligenza e impegno.
Chi lo fa non chiede che si tenga conto di quello che pensa (chi urla
di più in Italia l’ha sempre vinta), ma almeno che lo si avvisi che
deve smetterla di prendere sul serio, la valutazione: mica siamo in
Finlandia!
(di Stefano Stefanel da Educazione & Scuola)
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