Le scuole del
Nord-Est e del Nord-Ovest si confermano piuttosto valide, con gli
istituti tecnici che si scrollano di dosso l’etichetta di “scuole di
serie B” e ottengono ottimi risultati, in alcuni casi persino migliori
dei licei. Al Centro si resta nella media nazionale, con punte di
eccellenza soprattutto nel primo ciclo (primarie e medie).
Il Meridione, seppur con qualche eccezione, la Puglia, per esempio,
resta più distante, con diversi istituti che puntualmente finiscono
sotto i riflettori per gli “aiutini” dati agli alunni nello svolgere le
prove (in Calabria, lo scorso anno, il “cheating” è stato rilevato già
alle scuole primarie – in Campania dalle medie). Ma al Sud non è tutto
“nero”: le difficoltà di partenza (e di contesto) spingono sempre più
istituti e insegnanti a rimboccarsi le maniche, e questo si vede. Al
netto della preparazione “in ingresso” degli studenti e del livello
socio-economico familiare e territoriale nove delle prime 10 scuole (su
un totale di 1.400 scelte come campione statistico nel 2016) con più
elevato “valore aggiunto” in italiano sono meridionali (in matematica,
addirittura, 10 su 10 – si tratta, complessivamente, di un dato che va
apprezzato: significa che nel Meridione alcune singole scuole, non
poche, malgrado il non lusinghiero “punteggio secco” in italiano e
matematica, riescono a far migliorare i loro studenti).
Certo, ci sono anche istituti che generano un “valore aggiunto
negativo”, anche questi concentrati nel Sud, totalmente incapaci di far
migliorare gli studenti fino al punto di portarli ad un livello
inferiore a quello atteso.
Oggi l’Invalsi presenta i risultati delle prove 2017: ma in questi
sette/otto anni (i test in italiano e matematica hanno fatto il loro
debutto ufficiale nel 2010 a primarie e medie, nel 2011 in seconda
superiore) che scuola italiana raccontano? In movimento e con tante
sfaccettature, se non ci si ferma al solo divario “Nord-Sud”, che pure
è una costante di questi anni di rilevazioni: come mostrano i grafici
in pagina già in quinta primaria Nord Est e Nord Ovest si collocano a
ogni prova (sia in italiano sia in matematica) sopra la media (in
seconda superiore anche di circa 6 punti). A differenza delle regioni
meridionali che, in alcuni anni, si collocano al di sotto della media
nazionale anche di 10-12 punti.
Un destino già segnato, e immutabile? Non proprio. Abbiamo incontrato i
vertici dell’Invalsi, la presidente, Anna Maria Ajello, il dg Paolo
Mazzoli, il responsabile prove, Roberto Ricci, e attraverso numeri e
tabelle, si è cercato di mettere in fila qualche spunto di riflessione.
Per esempio, che si arriva a scuola “ignoranti o sapienti” allo stesso
modo in tutto il Paese: anzi qui, i ragazzi meridionali partono
addirittura in vantaggio rispetto ai colleghi settentrionali. Poi,
però, qualcosa si interrompe. Anche il livello di istruzione della
famiglia d’origine ha un peso: avere entrambi i genitori laureati fa
salire l’asticella del “successo scolastico” di 4/5 punti percentuali
in più. Il peso degli alunni stranieri è invece “un falso problema”,
visto che sono presenti maggiormente nel Centro-Nord.
Del resto, l’Invalsi, in questi anni di rilevazioni, è riuscito a
costruire un legame con il corpo docente che, malgrado tutto, è andato
migliorando: i boicottaggi sono ormai ridotti ai minimi termini (quasi
il 100% degli istituti svolge regolarmente le prove) e anche la
restituzione a settembre degli esiti dei test è accolta da presidi e
docenti: se i primi anni quasi il 20% di “plessi” snobbava i dati
Invalsi oggi appena il 6% di istituti non ha scaricato gli esiti delle
rilevazioni.
Su questi numeri, probabilmente, ha influito anche il contenuto delle
singole prove, nel tempo sempre più condiviso con i professori e mirato
su quesiti mai nozionistici, ma focalizzati su competenze di base. In
italiano si chiede ai ragazzi un’interpretazione attenta e approfondita
del testo e una sicura padronanza della lingua: ciò ha spinto gli
insegnanti a privilegiare una didattica più efficiente, tarata
sull’acquisizione di competenze solide e “poco rigide”. Un esempio? In
matematica: è probabilmente anche grazie alle prove Invalsi che si sta
abbassando l’attenzione sul puro calcolo, privilegiando, piuttosto,
l’uso delle rappresentazioni, il ragionamento per la soluzione dei
problemi, oltre a numeri, grafici e percentuali (se i test Invalsi si
fossero concentrati sulle “espressioni numeriche” l’evoluzione della
didattica della matematica, forse, avrebbe potuto prendere un’altra
direzione).
In realtà il “dietro le quinte” dei test è molto intenso, e si avvale
della consulenza di esperti ben conosciuti anche in campo
internazionale e che, nello stesso tempo, padroneggiano il nostro
sistema scolastico (tra gli altri, matematici come Giorgio Bolondi e
Paolo Boero e italianisti come Maria Grazia Lo Duca e Alberto Sobrero –
per di più pochi sanno che alla costruzione di una prova contribuisce
il lavoro di circa 250 docenti di livelli scolari e provenienza
geografica differenti).
Una spia che, invece, va tenuta sotto osservazione è la “varianza tra
classi”, molto elevata al Sud. Ma anche in altre zone del Paese.
Parliamo del fatto che gli alunni nelle classi dovrebbero essere
distribuiti in modo equo. Così purtroppo non è perché ci sono diverse
scuole con sezioni di eccellenza e altre mediocri. Qui è il dirigente
che non sa “resistere” alle “pressioni” di famiglie e insegnanti. Ma è
una situazione che va corretta: «In fondo anche da qui – concludono
dall’Invalsi – passa, o magari si rafforza, la democrazia della scuola
italiana».
Claudio Tucci
Il Sole 24 Ore