Che i compiti a casa
siano un fattore di sempre maggiore preoccupazione e disorientamento
per i genitori italiani, gli esperti dello Spaee (il Servizio di
Psicologia dell’apprendimento e dell’educazione dell’Università
Cattolica di Milano) lo hanno capito da tempo. Abbiamo sempre più
richieste d’intervento all’interno dei singoli istituti», sottolinea
Manuela Cantoia, docente di Psicologia generale che ha animato, insieme
agli altri colleghi membri del Servizio, una giornata di studi
intitolata «Fai i compiti o…facciamo i compiti? Il compito
d’apprendimento tra figli e genitori».
I compiti rappresentano una sorta di rivelatore delle dinamiche
familiari e dei rapporti scuola-famiglia. Il dibattito sulla loro
utilità è sempre vivo e non solo in Italia: sono veramente necessari? E
sono utili? Sono un impegno, una responsabilità, un’opportunità, una
“tortura”? «La questione è molto più profonda di quello che appare»,
prosegue Cantoia. «La gestione domestica dei doveri scolastici rivela
sempre il modo in cui ci poniamo con i nostri figli, le aspettative -a
volte molto ambiziose- che abbiamo nei loro confronti, il modo in cui
viviamo i loro fallimenti, che spesso identifichiamo come fallimenti
personali».
L’invito degli esperti è, dunque, in primo luogo di evitare questa
sovrapposizione e di recuperare un ruolo genitoriale di incoraggiamento
verso un percorso in cui i bambini e i ragazzi devono essere davvero
protagonisti.
Cosa fare, dunque? «Far sì che il compito sia sempre un’esperienza di
senso, inserita nella più ampia esperienza di apprendimento della
vita», sottolinea Emanuela Confalonieri, docente di Psicologia
dell’adolescenza e autrice del libro La scuola: che bella fatica! (ed.
San Paolo). C’è un traguardo da raggiungere, spiegano le esperte, ed è
quello di avviare i figli all’autonomia, obiettivo che si costruisce
per gradi attraverso piccole regole di disciplina (ad esempio stabilire
un orario fisso per fare i compiti) e aiutandoli a organizzarsi
distribuendo i carichi di studio nella settimana.
Bisogna essere esigenti con i voti? «Non sempre il voto, anche alto, è
la cartina di tornasole dell’avvenuto apprendimento: ci sono ragazzi
molto bravi a dire la cosa giusta al momento giusto, senza che dietro
ci sia stata una vera preparazione», avverte Cantoia. «E’ meglio
piuttosto aiutare i figli a cogliere i motivi dei successi o degli
insuccessi». Perché la scuola è davvero una palestra di vita: in essa
si sperimenta il senso del dovere, la conoscenza di sé e dei propri
limiti, la capacità di reagire ai fallimenti.
«E’ sempre difficile per il genitore prendere le distanze e lasciare
che i ragazzi, nel bene e anche nel male, si sentano davvero
protagonisti di questa esperienza», spiega Confalonieri. Qualche
pillola di saggezza per farli partire con il piede giusto? «Non nascono
sapendosi organizzare: bisogna insegnarglielo, ad esempio nelle prime
classi è utile aiutare a preparare la cartella, leggere insieme il
diario e le comunicazioni degli insegnanti», conclude. «Oltre al
momento stabilito dei compiti nella giornata, dovrebbe esserci sempre
un genitore “stabilito” addetto al supporto, possibilmente quello più
paziente. E’ importante infine l’atteggiamento, ad esempio sottolineare
che state valutando il loro prodotto, cioè un buon compito o un pessimo
compito, non la loro persona. Infine, accettare che nell’arco dell’anno
ci saranno momenti di stanchezza, ma se si è lavorato con continuità,
le “volate” di fine quadrimestre non saranno mai troppo stressanti»
Benedetta
Verrini - www.famiglia cristiana.it