I grandi
studiosi di letteratura con le loro opere saggistiche mostrano quanto
profondi e indissolubili siano i rapporti tra la letteratura e la
storia, tra i linguaggi della cultura e la rappresentazione della
realtà. Nel suo saggio vasto e poderoso Walter Pedullà, uno dei
maggiori studiosi e critici letterari del nostro Paese, descrive e
interpreta nel suo libro, edito dalla Rizzoli ed intitolato “Modelli e
Storie della letteratura del XX secolo”, quanto è accaduto nella
cultura del Novecento. Il secolo inizia culturalmente con la crisi che
sconvolge il panorama letterario nei primi anni del
‘900.
A causa della crisi il naturalismo, che aveva dominato la cultura del
secondo Ottocento influenzata dal romanticismo, entra in crisi. Questo
accade perché, fa notare Pedullà nel suo libro, il meccanicismo
positivista e determinista non aiuta più a capire la causa da cui gli
eventi dipendono. Infatti con la nascita del futurismo, dovuta alla
pubblicazione del manifesto di Tommaso Marinetti, inizia il fenomeno
dell’avanguardia, il cui obiettivo artistico consiste nel ripudiare la
tradizione letteraria contemplata dai canoni estetici del passato e
nell’innovare profondamente i linguaggi della cultura. Con il futurismo
si manifesta il fenomeno dell’avanguardia, nell’ambito del quale
rientrano le correnti culturali quali il surrealismo, il dadaismo,
l’espressionismo, il formalismo russo, lo sperimentalismo linguistico.
Luigi Pirandello ai primi del Novecento pubblica il famoso saggio
sull’Umorismo, per mettere sotto accusa e smascherare la vacuità di
fronte alla crisi della cultura legata alla vecchia logica e alla
retorica del passato. La realtà non ha più un fondamento che consenta
di cogliere il rapporto tra la causa e gli effetti dei fenomeni di cui
l’uomo è testimone e osservatore. I pensatori del sospetto, come
Nietzsche, Freud, Marx, dimostrano che la morte di Dio, la scoperta
dell’inconscio e le trasformazioni dovute alla modernizzazione
capitalistica, hanno modificato il panorama culturale, sicché i
linguaggi della vecchia cultura entrano in crisi, collassano e si
estinguono. Non è un caso che lo scrittore che meglio di altri nel
Novecento ha saputo descrivere e rappresentare la crisi dell’uomo di
fronte alla modernità sia stato Italo Svevo, autore del celebre romanzo
“La Coscienza di Zeno”.
Questo autore e la grandezza della sua opera vennero riconosciute solo
in un secondo momento, poiché al loro apparire le opere di Svevo non
vennero comprese dalla cultura letteraria del tempo. Aldo Palazzeschi è
autore di un libro straordinario “Il Codice di Perelà”, romanzo
futurista, nel quale un uomo di Fumo scende dal camino per scrivere un
nuovo codice con cui salvare un Paese in procinto di fallire, senza
tuttavia riuscirvi. Nel libro ampio spazio viene dedicato alla figura
di Giacomo Debenedetti, il più grande studioso di letteratura del
Novecento. Debenedetti è autore del grande saggio intitolato “Il
Romanzo del Novecento”, nel quale dimostra come le grandi narrazioni di
Joyce e Proust, destinate ad influenzare la cultura del secolo, fossero
basate sulla Epifania di Epifanie e sulla Intermittenza delle
Intermittenze.
Questi termini usati da Debenedetti spiegano ed aiutano a capire il
famoso flusso di coscienza ed il monologo interiore, registri
espressivi che hanno profondamente modificato la forma del romanzo sul
piano della struttura e dello stile, segnando una differenza ed una
svolta tra il romanzo ottocentesco di impianto verista e naturalista e
quelle novecentesco, sperimentale ed espressionista. Infatti per
Giacomo Debenedetti gli scrittori del Novecento con l’occhio sinistro
osservano e ritraggono la società, con quello destro scrutano i meandri
misteriosi ed oscuri del proprio inconscio. Ampio spazio viene
riservato nel saggio al ruolo che ha avuto Gabriele D’Annunzio nel
formare una lingua letteraria magniloquente e retorica, con cui la
realtà nel periodo fascista è stata reinventata artificialmente, senza
essere tuttavia descritta e compresa.
Sono memorabili per chiarezza e perspicuità le interpretazioni critiche
di Pedullà volte a spiegare la poetica di grandi scrittori come Tozzi,
Moravia, Savinio, Landolfi, Sciascia, Calvino, Primo Levi. Per capire
la differenza di stile e di linguaggio tra questi grandi scrittori, è
opportuno tracciare una distinzione, cara sempre a Debenedetti, tra
l’epica della realtà, il realismo, e l’epica dell’esistenza,
l’esistenzialismo e la fenomenologia. Tozzi narra nei suoi libri il
conflitto tra padri e figli e la nevrosi da cui è posseduto l’uomo
moderno. Moravia con il romanzo fenomenologico dà forma visibile
all’alienazione nel mondo Borghese, si pensi al suo libro celeberrimo
“La Noia”. Savinio e Landolfi con la loro prosa splendida sospesa tra
atmosfere surreali e fantastiche narrano lo smarrimento dell’uomo in un
mondo in cui si è soli e privati delle vecchie certezze del passato.
Nel libro le pagini più belle e perspicue sono dedicate a Gadda.
Nel suo libro “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, Gadda
racconta le peggiori turpitudini umane per rivelare la dimensione
tragica dell’esistenza e per dimostrare che l’uomo agisce spinto
dall’interesse e dal desiderio erotico. Proprio con i libri di Gadda
irrompe nella scena letteraria italiana il nuovo linguaggio
dell’espressionismo, che è basato sulla combinazione plurilinguistica
tra stili diversi, sicché il linguaggio colto convive con quello
popolare. A questo proposito Gadda parlò, a proposito della prosa
espressionista, della deformazione integrativa della lingua letteraria.
Calvino è stato uno scrittore che nelle sua opere ha sperimentato
diversi linguaggi culturali, da quello storico esistenziale, si pensi
al “Sentiero dei nidi di ragno”, a quello sperimentale, con l’opera “Le
Cosmicomiche”. Sciascia con opere mirabili, quali “Todo Modo” ed “Il
Contesto”, ha indagato la dimensione occulta del potere mafioso e
politico. Primo Levi, testimone della shoah, nella sua vasta opera ha
descritto a quali livelli di abiezione può arrivare l’uomo, che sia
condizionato dalla ideologia totalitaria. Nel libro si nota come la
cultura nata nel secondo dopoguerra, quella che va dal 1945 al 1956,
cade ed entra in crisi con la dissoluzione dell’illusione progressista,
dopo che in Ungheria i militari sovietici repressero la rivolta
popolare di Budapest.
Dopo questo evento storico e la crisi del marxismo, vennero accolte e
celebrate le scienze sociali proibite durante lo stalinismo, come
l’antropologia, la linguistica, lo strutturalismo, l’etnologia, il
formalismo russo. È interessante notare come, e per averne conferma è
sufficiente soffermarsi sulle opere degli scrittori del secondo
Novecento, si hanno periodi in cui viene restaurato il linguaggio
tradizionale ed altri in cui, come avvenne con la neoavanguardia degli
anni Settanta, lo sperimentalismo linguistico modifica la forma e la
struttura delle opere letterarie. Appartiene a questa stagione
sperimentale l’opera di autori come Manganelli, Arbasino, Testori,
Malerba.
Questo di Pedullà è un libro che gronda erudizione da ogni pagina,
grazie al quale è possibile cogliere i rapporti esistenti tra le opere
letterarie ed il contesto storico e culturale in cui vennero concepite
e scritte dagli intellettuali. Alcuni di essi, come ricorda l’autore,
furono prima fascisti e poi comunisti, assumendo atteggiamenti politici
diversi e contraddittori a seconda dei momenti contingenti che hanno
attraversato e segnato la storia novecentesca. Belle le pagine finali
sui libri e la poetica di autori quali Volponi, Pasolini, Elsa Morante
e D’Arrigo.
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