Mentre il governo
ipotizza l’apertura dalle 7 alle 22 e 11 mesi su 12, si estende il
dibattito sulla settimana corta, per risparmiare su bollette e
trasporti - Chiuso per crisi. Il governo Renzi annuncia la rivoluzione
della scuola italiana, con gli istituti aperti dalle 7 alle 22 e 11
mesi su 12, e c’è già chi si sfila: la Provincia di Genova, con una
nota inviata dal Commissario straordinario della Provincia, Giuseppe
Piero Fossati, ai dirigenti scolastici, chiede di «abbassare le
serrande» in anticipo. Scuole chiuse al sabato, cioè, e orario
curricolare esteso su cinque giorni settimanali, a decorrere dal
prossimo anno scolastico, il 2014-2015. Il provvedimento interessa gli
88 edifici delle scuole superiori genovesi e del territorio di
proprietà dell’Ente Provincia, ed è dettato dalla necessità di
contenere il costo del riscaldamento e dell’energia elettrica, «per far
fronte ai forti tagli ai trasferimenti di risorse previsti dal decreto
legge 66/2014 in via di conversione».
Chiuse per crisi
Al sabato tutti gli edifici che ospitano scuole superiori rimarranno
chiusi «a causa del perdurare della crisi finanziaria determinata dai
pesanti tagli ai trasferimenti agli Enti locali e aggravata dai
provvedimenti governativi», si legge nella nota. Che termina con «la
speranza che la situazione in futuro possa migliorare». La misura
permetterà alla Provincia - spiega il commissario - di ridurre di 1
milione di euro i costi per il riscaldamento, l’energia elettrica e le
altre utenze. Nonostante ciò, purtroppo, questo provvedimento da solo
non sarà sufficiente: dovremo ridurre le spese di altri 5 milioni per
far fronte ai nuovi pesantissimi tagli nazionali ed evitare il dissesto
finanziario».
«Kafkiano»
«Situazione kafkiana», commenta Massimo Di Menna, segretario generale
della Uil scuola: «Da una parte si progetta di tenere aperte le scuole
oltre le ore di lezione, per dare risposte all’emergenza educativa -
apertura lunga, che era già stata introdotta dal ministro Fioroni, che
ne aveva discusso con i sindacati, durata un anno e poi non se n’è
fatto più niente per mancanza di copertura finanziaria - e dall’altro
il sistema delle scuole alle prese con la realtà». La decisione assunta
a Genova, continua il sindacalista, «comporterà la necessità di
riorganizzare la didattica non in virtù di una possibilità connessa con
l’autonomia scolastica ma a causa di una necessità economica». «Scuole
aperte fino alle 22?», rincara l’Anief definendo «un’improvvida
proposta quella del sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi:
«Comincia a mostrare le prime crepe il piano del Governo di raddoppiare
l’orario di servizio degli insegnanti», è il commento. «Gli enti locali
già adesso hanno serie difficoltà a pagare luce e riscaldamento per 6-8
ore al giorno, figuriamoci se dovessero garantire un’apertura così
prolungata».
Da Milano a Verona
E mentre gli istituti scolastici si ingegnano per rimodulare l’orario
di insegnamento, scegliendo se effettuare uno o più rientri pomeridiani
o aggiungere ogni giorno una o più ore di lezione a fine mattinata, il
dibattito (non nuovo), si estende. Di «sabato-sì, sabato-no» si parla
da almeno due anni, con richieste da parte di diverse Province d’Italia
di cambiare orario per risparmiare. Iniziativa presa dall’assessore
all’Istruzione e all’Edilizia Scolastica di Milano, Marina Lazzati, già
nel giugno 2013, quando aveva proposto ai dirigenti scolastici di
organizzare l’orario su cinque giorni: «una consuetudine apprezzata
dalle famiglie, che ci mette in linea con i principali paesi europei» -
scriveva - «e che consentirebbe, oltre a una miglior gestione dei tempi
di riposo o delle attività sportive dei giovani, anche una più ottimale
organizzazione del lavoro del personale Ata. Proposta poi ribadita in
una lettera al presidente del Consiglio. Dello stesso tenore è la
posizione presa nei giorni scorsi dagli amministratori di Biella, dove
la Provincia, anche questa commissariata, «non ha più un soldo: neanche
per i servizi essenziali come il riscaldamento delle scuole e la
manutenzione delle strade».
Corta sì, ma non sempre
A Verona, la Provincia, per convincere i presidi ad accorciare la
settimana, aveva optato per un taglio drastico dei trasporti
scolastici, in particolare al sabato. E a Pavia l’assessore Milena
D’Imperio ha tentato la via più drastica: non più una richiesta, ma un
obbligo. «Non possiamo più permetterci scuole aperte anche il sabato»,
ha detto D’Imperio. «Questa volta i soldi sono davvero finiti» ha
chiarito l’assessore : «il decreto 66 varato dal Governo per le
coperture degli 80 euro, e ora divenuto legge, impone alla Provincia di
restituire allo Stato 3,5 milioni di euro. Tecnicamente non siamo alla
presenza di tagli diretti alla scuola ma, di fatto, siamo chiamati a
risparmiare su una serie di voci tra cui le utenze, cioè i costi di
riscaldamento e luce, e sui trasporti di collegamento con le palestre».
La mossa, che avrebbe consentito un risparmio di mezzo milione di euro,
tra bollette e trasporti, non è però piaciuta a molti insegnanti e alle
associazioni degli studenti. Che dopo tante proteste e un incontro con
le autorità, hanno ottenuto una «rimodulazione» dell’orario: settimana
corta nei mesi invernali, lunga negli altri. L’assessore intanto ha
garantito agli studenti che, se le scuole accetteranno la settimana
corta, saranno rivisti, senza aumenti della tariffa, i vari orari del
trasporto pubblico locale. Entro l’11 luglio i presidi presenteranno
una bozza degli orari per il nuovo anno scolastico, mentre il 22 luglio
ci sarà un nuovo tavolo di confronto sulla settimana corta..
Antonella De
Gregorio
Corriere.it