L'unico settore del
sistema scolastico riconsiderato e riformulato nei
suoi curricoli dai decreti delegati della Legge 107 è quello
dell'Istruzione Professionale, peraltro ampiamente rimaneggiato con il
Regolamento del 2010(DPR 87/2010). E questo è un elemento di
riflessione che non bisogna trascurare. L'Istruzione
Professionale in sè è un settore difficile da governare e costituisce
una sfida continua per l'amministrazione del nostro sistema di
istruzione e formazione, perchè è
chiamato a dare risposte pertinenti e rapide alle innovazioni del
mondo del lavoro e questo non è per nulla un compito facile e
tantomeno, se assolto, valevole per molto tempo. Alla
naturale e ricorrente difficoltà di essere vicina e attenta alle
innovazioni del mondo del lavoro, si devono aggiungere quelle
costituite dalla sua stratificazione territoriale, dalla
molteplicità dei suoi indirizzi, ma anche dalla sua incerta
identità in conflitto sia con l'Istruzione e Formazione
Regionale, sia con l'Istruzione Tecnica.
La storia dell'Istruzione
Professionale in Italia" rappresenta da sempre un terreno
d'incontri, sovrapposizioni e contrasti fra dimensioni differenti,
talora
incomunicabili: mente e braccio, scuola e lavoro, educazione e
addestramento, studio e officina, libro e laboratorio. E ancora sul
piano
istituzionale: centro e periferie, politica e amministrazione, Stato e
Regioni"(M. Morandi). A parlare nel modo dovuto dell'Istruzione
Professionale c'è sempre una certa difficoltà e ci sono non
pochi pregiudizi da dissipare e questo deriva dal fatto che
, nonostante la sua evidente importanza, viene sempre pensata
soprattutto nel mondo della scuola come un sistema minoritario
dell'istruzione, destinato solo agli allievi che non dispongono di
possibilità economiche e carenti nel rendimento scolastico.
L'Istruzione Professionale ha molto esteso le proprie
attività, il proprio campo di intervento, la sua dimensione
sociale, ma non sempre riesce ad avere caratteri di
organicità, di efficacia e di razionalità, nonostante sia stato
fatto negli ultimi tempi un cospicuo e rilevante lavoro di
coordinazione di norme, di compiti e di organizzazione. Non è infondato
affermare che a molti quando si parla di Istruzione Professionale
sfugga la complessità dei processi di impianto, di regolazione, di
sistematizzazione e di erogazione delle qualificazioni professionali e
quindi dei rapporti che questo ambito dell'istruzione deve
intrattenere col mondo del lavoro. Tra l'altro non è per nulla
superfluo ricordare che sul ruolo dell'istruzione e della formazione
professionale la Comunità Europea è intervenuta più volte e
sistematicamente (settore VET) per creare un'area comune europea delle
qualificazioni tecnico-professionali, settore cruciale delle relazioni
nel mondo del lavoro, per dare una possibile risposta alle pressioni
che vi esercitano problemi come la globalizzazione, le tecnologie
emergenti, invecchiamento della popolazione, il fabbisogno di
competenze
nuove.
Nel nostro sistema scolastico per la formazione di personale
umano qualificato per lo svolgimento di attività tecnico-professionali
coesistono, come prima accennato, l'Istruzione Tecnica, l'Istruzione
Professionale e l'Istruzione e Formazione Professionale Regionale con
competenze che ci si ingegna di diversificare, a volte con
difficoltà, ma che i cambiamenti nel mondo del lavoro tendono invece ad
attenuare o a fare scomparire. Di fronte a questa realtà sorgono
alcuni problemi: 1)Ha senso la coesistenza dell'Istruzione Tecnica con
l'Istruzione Professionale nel sistema scolastico? 2)Perchè si continua
a mantenere l'Istruzione Professionale Statale accanto all'Istruzione e
Formazione Regionale? 3) Se questi settori formativi devono continuare
ad esistere, per quali funzioni si distinguono? 4)In che modo si puo'
evitare la loro sovrapposizione e creare le condizioni della loro
collaborazione? Sono problemi la cui soluzione incide
ragionevolmente sul funzionamento di questo settore e dell'insieme del
sistema di istruzione e formazione. Il ricorso alla storia della scuola
puo' aiutare a fare comprendere alcuni aspetti di questi problemi e la
diversità dei compiti che l'Istruzione Professionale ha dovuto
affrontare, rispetto all'Istruzione Tecnica;serve a chiarire se questa
diversità è ancora sostenibile ed eventualmente come debba essere
declinata.
Storia di una cenerentola
Fin dall'inizio della storia della scuola italiana accanto al curricolo
del Liceo, predisposto per la formazione di personale idoneo allo
svolgimento delle funzioni pubbliche e a compiti di classe dirigente e
di tutori della coscienza e dell'identità nazionale, sono
stati collocati in posizione subordinata quello delle scuole normali e
quelli delle professioni tecniche, i cui saperi avevano trovato
un'apprezzabile consistenza e stabilità(Istituti Tecnici con le sezioni
: Ragioneria, Agrimensura, Industriale e Fisico-Matematica). Di quella
che
diventerà in seguito l'Istruzione Professionale si parla
poco, anche perchè agli inizi di questa storia, che è parallela a
quella
del processo di industrializzazione della nazione, non aveva una
fisionomia che la distinguesse dalle attività delle
scuole di arti e mestieri, di natura esclusivamente locale e spesso con
caratteristiche di assistenza sociale dedicata ai
giovani da recuperare e da salvare. La formazione professionale era
erede a quei tempi e lo rimase per molto tempo di una tradizione
caratterizzata da una "pluralità di ragioni fondative e di ispirazioni
ideali(filantropiche e mutualistiche, laiche e religiose, pubbliche e
private, umanitarie e aziendalistiche)"(M. Morandi).
L'Istruzione Professionale avrà una prima sistemazione nel 1931 e
passerà al Ministero della Pubblica Istruzione (a quel tempo Ministero
dell'Educazione Nazionale);di fatto fino a quella data, come alcuni
indirizzi dell'istruzione tecnica, era stata affidata alle cure
del Ministero dell'Agricoltura dell'Industria e del Commercio. Rispetto
ai licei, le scuole ad indirizzo tecnico e professionale per molto
tempo alcune si sono distinte per questa affiliazione ai
Ministeri Economici(geometri e ragionieri, però, sono rimasti sempre
nel
Ministero dell'Istruzione) e tutte dal punto di vista
gestionale per una larga autonomia amministrativa, alla quale
partecipavano le istituzioni locali, dovendo rispondere alla
vocazione socioeconomica del territorio di appartenenza.
L'impostazione gerarchica data agli indirizzi di studio del
sistema della pubblica istruzione dalla legge Casati è stata confermata
e per certi aspetti accentuata dalla Riforma Gentile, e da essa sono
derivati la prevalenza e il prestigio della cultura umanistica, il
ruolo minoritario del sapere scientifico e di quello
tecnico-professionale. Nel tempo si è sviluppato un sentimento di
sufficienza o meglio "un ventaglio di posizioni che oscillano fra il
disprezzo e la diffidenza verso la cultura tecnico-scientifica, il
mondo
e le sue esigenze"(G. Gasperoni). L'andamento delle iscrizioni alle
superiori ne sono ancora, purtroppo, una preoccupante
conferma. Quella che oggi si definisce Istruzione Professionale nel '31
veniva confinata nelle scuole di avviamento al lavoro, che a ragione
della propria condizione di inferiorità non avevano titolo ad
essere chiamate "regie". Con la Legge 889 del '31 tutte le
attività formative vennero condotte alle competenze dello Stato.
Un dettato difficile da rispettare
Un profondo cambiamento di rotta fu configurato nella Costituzione del
'48 ;all'art. 117 venne stabilito che le Regioni avevano titolo ad
emanare norme legislative, nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato, anche in materia di Istruzione
Artigiana e Professionale e Assistenza Scolastica. Una novità assoluta
, perchè veniva istituito dopo il ventennio fascista e per la prima
volta un centro diverso di competenze e di responsabilità pubbliche
rispetto a quello monopolistico del Ministero della Pubblica
Istruzione. La Costituzione del '48 non parla di formazione
professionale, ma di Istruzione professionale e questa a rigore di
logica avrebbe dovuto avere uno statuto non lontano da quello degli
istituti tecnici quanto ad organizzazione e contenuti e con tutte le
responsabilità culturali e civiche delle altre scuole di secondaria
superiore. Le Regioni a Statuto Ordinario, però, saranno messe in
cantiere nel 1970 e, nonostante ciò, anche dopo questa data i
primi gradi dell'istruzione professionale rimasero assegnati alle
competenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Alle
Regioni venne affidata la formazione professionale, da
gestire come attività extra-scolastica funzionale alle politiche
del lavoro, tese a far coincidere quantitativamente e qualitativamente
domanda e offerta del lavoro.
Il mondo della scuola, nelle sue varie componenti, ambienti
ministeriali
e lo stesso mondo politico non erano convinti della bontà della scelta
di consegnare a istituzioni di nuovo conio e con scarsa esperienza
gestionale una materia così delicata e in continua evoluzione come
l'istruzione professionale. Tra l'altro con la legge n. 754 del
1969 si era pensato di rafforzare gli Istituti
Professionali con l'istituzione di un biennio sperimentale in
aggiunta al triennio, che si concludeva con una qualifica
professionale. Gli Istituti Professionali divennero di fatto i fratelli
minori degli Istituti Tecnici. La diffidenza nei confronti delle
Regioni nel tempo si è irrobustita di tante, diverse
motivazioni ed è la ragione, l'unica, che sostiene anche oggi il
proposito di mantenere l'Istruzione Professionale nel sistema del
Ministero della pubblica istruzione, anche dopo la la Riforma
Costituzionale del 2001, che nel rinnovato art. 117 parla di potestà
legislativa delle Regioni, al pari dello Stato in materia di Istruzione
e Formazione Professionale.
Ciò che non fu fatto negli anni'70 è stato tentato nel
2003 con la legge n. 53 e definito col Decreto
legislativo n. 226 del 2005 sulle norme e i livelli
delle prestazioni del secondo ciclo di istruzione. Si è trattato di una
drastica ristrutturazione dell'intero sistema di istruzione e
formazione: allo Stato venivano assegnati le scuole dell'infanzia, la
primaria, la secondaria di primo grado e i licei
;alle Regioni si consegnava tutto il reparto del sistema di istruzione
a carattere professionalizzante, rinominato per prima volta come
Istruzione e Formazione Professionale. "Tutti i titoli e le qualifiche
a
carattere professionalizzante sono di competenza delle Regioni e
Province Autonome e vengono rilasciati esclusivamente dalle Istituzioni
scolastiche e formative del sistema di Istruzione e formazione
professionale ;essi hanno valore nazionale in quanto corrispondenti ai
livelli essenziali di cui al Capo III"(art. 1, comma 13 del D. Lvo
226/2005). Si parla di titoli, una volta riserva esclusiva degli
istituti scolastici dipendenti dallo Stato, e di qualifiche, sempre in
dotazione dei professionali, come fossero dei sinonimi, ma ad ogni
buon conto da rilasciare dopo un percorso formativo "di durata almeno
quadriennale"(art. 15, comma 5 del D. Lvo 226). In un sol colpo
l'Istruzione Tecnica veniva assorbita da quella Professionale e questa
ricadeva nelle competenze delle Regioni, per trasformarsi in Istruzione
e Formazione Professionale. Era il modello al quale erano affezionati
gli esperti chiamati a collaborare col ministero. Un disegno
teoricamente razionale, ma che apparve a molti impraticabile e
avventuristico.
Si dava per scontato che Istruzione Professionale e Tecnica non
avessero nulla di diverso e fatto ancora più sconvolgente l'Istruzione
e Formazione Professionale, in cui si fondevano tecnici e
professionali, transitava dai corsi stabilmente quinquennali a quelli
di durata almeno quadriennale. Per la stabilità dell'offerta formativa
non è differenza da poco. . . Con avventata sicurezza si
procedeva all'eliminazione fisica di una creazione originale del
sistema scolastico italiano, quell'ordine di istruzione che quasi da
solo aveva dato all'Italia l'infrastruttura professionale della
sua modernizzazione: i ragionieri, i geometri, i periti agrari,
minerari e
industriali. I problemi che immediatamente scoppiarono travolsero nel
giro di un biennio questa ardita innovazione. Davvero le Regioni, tutte
quante(in uno dei momenti di maggiore discredito della loro non lunga
storia)potevano fare meglio di quello che aveva fatto il Ministero con
i suoi istituti? Davvero il deficit di competenze tecniche e
professionali poteva essere colmato dal nuovo ordinamento degli
studi? Se l'Istruzione e Formazione Professionale non è solo
addestramento, ma deve rispondere a bisogni di competenza di
diversa qualità e complessità, è davvero possibile che questo si
realizzi cancellando i Tecnici e affidandosi ad attività di durata
"perlomeno quadriennale"?
Non ci volle molto per rendersi conto che le risposte giuste a questi
interrogativi conducevano ad un rimaneggiamento della legge 53 del
2003, ma questa è un'altra storia ed è una storia che inizia nel 2007
con la legge. n40 e vale la pena di essere ripresa.
Continua. . .
Raimondo Giunta