"Può
un carcere essere un luogo bello? " Ottanta giornalisti hanno
partecipato ad un seminario formativo presso la Casa di reclusione di
Augusta che ospita 800 detenuti e si presenta pulito, ordinato, con le
pareti affrescati da numerosi murales e tutto ciò rende quel luogo di
pena più umano e meno pesante. Il direttore Antonio Gelardi ha dato
alla comunità carceraria una dimensione umanitaria che si respira e si
percepisce e per la prima volta carcerati, giornalisti, cittadini
rappresentanti la società civile sono stati accanto nel grande
auditorium ed hanno partecipato ad un incontro sul tema "Giustizia e
informazione e la giustizia capovolta.
All'incontro, promosso dall'UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana) di
Siracusa, con la guida di Salvo Di Salvo, hanno svolto una relazione:
padre Francesco Occhetta, consulente ecclesiastico nazionale dell'UCSI,
gesuita, della redazione di Civiltà Cattolica e autore del volume "La
giustizia capovolta. Dal dolore alla riconciliazione", (Libroteca
Paoline) con prefazione di Luigi Ciotti e postfazione di Gian
Maria Flick, Sono interventi: ì il direttore del carcere di Augusta, il
presidente regionale UCSI, Domenico Interdonato; don Giuseppe Lombardo,
consulente Ucsi di Siracusa; il segretario regionale dell'Ordine dei
giornalisti di Sicilia, Santo Gallo.
Visitando il pianeta carcere si constata come nei 195 penitenziari
d'Italia sono presenti 57.600 detenuti e di questi il 69% è recidivo.
Questo dato conferma che il sistema penitenziario non è efficace e
produce maggiori danni, rendendo pesante la spesa sociale del costo
giornaliero del detenuto che è di 170 euro, e di questa somma soltanto
95 centesimi sono destinati all'azione rieducativa.
Padre Occhetta, che ha svolto la missione sacerdotale di assistenza al
carcere e ne ha visitati tanti, ha constatato che il carcere, inteso
come "discarica sociale", non educa
Nella relazione ha presentato le diverse manifestazioni della
Giustizia: retributiva, riparatoria, rieducativa e risocializzante.
Mentre queste forme di giustizia prendono in considerazione il danno
commesso e il reo-colpevole, quella "riparativa" rivolge una
particolare attenzione alle vittime del reato, ai familiari
dell'ucciso, al danno provocato a chi ancora vive e porta in segno di
una grave perdita e all'intera comunità. L'incontro tra il reo e
i parenti delle vittime provoca e favorisce quel processo di
consapevolezza del danno commesso e avvia il cammino di rieducazione,
anche attraverso tutte quelle forme di relazione e di comunicazione che
nel carcere di Augusta sono diventate prassi ordinaria: teatro, canto,
scuola, e alcuni hanno anche conseguito la laurea.
Lodevole anche lo spazio che alcuni settimanali cattolici come "La vita
diocesana" danno alle "voci dietro le sbarre", rendendo presenti nella
comunità i "fratelli carcerati".
Come testimoniano alcuni familiari delle vittime: "Perdonare non
significa dimenticare, si ricorda tutto, ma in modo diverso". Il dolore
delle vittime viene così valorizzato ed ha un senso.
E' indicativa la metafora della scodella in ceramica rotta che presenta
due soluzioni o viene buttata via o viene incollata e impreziosita con
l'oro, come si usa in Giappone. Dal dolore nascono la riconciliazione e
la riparazione delle relazioni rotte.
Restituire al carcere la dimensione umanizzante, capace di favorire la
dignità e la crescita della persona, è una delle finalità che consente
di comunicare e di "raccontare" la giustizia nel modo più umano.
Per l'esercizio della professione giornalistica sono stati presentati
alcuni consigli anche in coerenza con i principi enunciati dalla Carta
di Milano e presenti il testo unico della deontologia professionale
come si legge negli articoli 3 ed 8 ed in particolare la distinzione
tra indagato, imputato e condannato , e quando viene emessa una
sentenza di annullamento dare alla notizia la medesima importanza dello
scoop iniziale della notizia. Non adoperare i processi televisivi
che servono soltanto a creare audience e solleticare le morbose
curiosità; dare le notizie con garbo e rispetto verso la persona, senza
inveire o aggravare con ulteriori particolari descrittici il fatto.
L'azione rieducativa e risocializzante del carcere risponde al
drammatico appello di un ragazzo che, uscito dal carcere, pur volendosi
inserire nella società in modo onesto, è stato sempre considerato
"carcerato, colpevole, pericoloso" e, quando per disperazione ha deciso
di impiccarsi, ha lasciato un biglietto: " Perché gli uomini non
dimenticano mai". La forza del perdono sublima la dignità dell'uomo.
Giuseppe Adernò