Luciano Canfora
La natura del potere
Roma-Bari, Laterza, 2009, pp.99, euro 14,00
Nel saggio La natura del potere Luciano Canfora propone una riflessione sul potere, sulle sue ambiguità, sulla sua continua ricerca del consenso e sui suoi molteplici travestimenti. L’opera offre un percorso tematico in cui miti e protagonisti dell’antichità classica si intersecano con eventi e personaggi della storia contemporanea, fino ai giorni nostri, dando vita a una trattazione coerente e raffinata. Soffermandosi di volta in volta sulle vicende di Pericle, di Stalin, di Demostene, di Napoleone e di tanti altri, Canfora sembra proporre una visione dell’antichità greca e romana quale fucina di archetipi e modelli validi in ogni tempo, e per questo in grado di favorire la comprensione delle dinamiche politiche contemporanee.
La sua riflessione prende le mosse da una domanda – dov’è il potere? è davvero incarnato dai personaggi pubblici a tutti noti o è nascosto e invisibile ai più? – e, di conseguenza, dall’affermazione dell’esistenza di una dicotomia tra un potere visibile e un potere occulto. Vale a dire che, da un lato, ci sarebbe la cosiddetta “liturgia della democrazia”, con tutti i suoi stilemi, dalla propaganda, alla dialettica parlamentare e alla celebrazione delle elezioni, mentre dall’altro agirebbe la forza delle lobbies e di una particolare élite. La premessa che permea il percorso delineato da Canfora è che ogni Stato, sia democratico che tirannico, è fondato sulla forza ed è, come scrisse Gramsci nel saggio in morte di Lenin, “dittatura”. Inoltre, aggiunge il nostro autore, in qualsiasi forma di governo e persino in democrazia, il vero potere è nascosto alla maggioranza dei cittadini, e viene gestito dietro le quinte, lontano dai riflettori del palcoscenico ufficiale della politica, da alcune minoranze animate da interessi specifici.
Di conseguenza, citando la Critica alla democrazia di Ugo Spirito, Canfora afferma che “non esiste il regime democratico, ma esistono tanti tipi di regimi democratici quanti sono i tipi di minoranze capaci di guidare le maggioranze”: democrazie plutocratiche, democrazie clericali, democrazie militari, democrazie sindacalistiche, fino a un prodotto contemporaneo tutto italiano, la democrazie fondata sulla parola televisiva e sulla trasformazione del cittadino in “suddito-consumatore-arrampicatore-frustrato” (pp. 62-63). La tirannia, fa notare Canfora, non si discosta di molto da queste democrazie elitarie: di fatto, sia nei regimi tirannici che in quelli democratici, il potere si configura sempre come dominio di pochi su molti. I tiranni, spiega l’autore, non sono dei personaggi isolati che l’avidità, l’ambizione personale o uno sfrenato desiderio di potere hanno condotto a dominare gli altri.
Essi sono piuttosto frutto ed espressione di una élite – sociale, finanziaria o militare che sia - che li sostiene e che, in larga misura, li utilizza per perseguire i propri particolari interessi. Ecco perché il tirannicidio, continua Canfora, è del tutto inutile e si rivela spesso controproducente. “Il problema vero è che il tiranno è una invenzione, una creazione politico-letteraria.
Quando il suo potere si dimostra durevole, si deve realisticamente riconoscere che il ‘tiranno’ (termine impreciso e iperbolico) ha dalla sua un pezzo più o meno grande, talvolta meno grande, della società. Dunque il problema è di sconfiggerlo politicamente non di abbattere quella singola persona. Il tirannicidio è, a ben vedere, un sottoprodotto del ‘culto della personalità’, della spropositata ipervalutazione di un’unica persona, dalla quale verrebbero o tutto il bene o tutto il male” (p. 52).
A conferma della propria tesi, Canfora cita due esempi classici di tirannicidio: l’uccisione di Ipparco, assurta a mito fondatore della retorica democratica ateniese, e la congiura ai danni di Giulio Cesare. In ambedue i casi, l’eliminazione fisica del presunto tiranno non ha realizzato le aspettative dei congiurati, non ha riportato lo Stato alle condizioni politico-sociali che avevano preceduto l’inizio della tirannia. La lettura del saggio di Canfora sembra suggerire che la figura del tiranno non sia da considerarsi sempre e necessariamente ‘negativa’, così come la democrazia parlamentare, in quanto possibile maschera di una élite, non sia da ritenersi un dato sempre e necessariamente ‘positivo’. Si tratta di una tesi forte, per molti versi problematica, che ha già dato e che continuerà a dare adito a reazioni e dibattiti, e che, pertanto, ha il merito indubbio di stimolare, ancora una volta, la riflessione e il confronto di idee.