COMUNICARE SENZA PARLARE
Studiare, approfondire, osservare maggiormente il linguaggio non
verbale è un'esperienza affascinante che arricchisce la visione e la
descrizione del mondo.
Tutti riconoscono il valore di gesti, atteggiamenti, comportamenti nel
favorire o talvolta ostacolare la comunicazione. Nel campo della
comunicazione prestare attenzione al linguaggio non verbale e
individuarne alcuni ausili interpretativi, consentono un cambiamento e
un ampliamento del sentire e del vedere e quindi delle interessanti
descrizioni alternative del mondo. La comunicazione non verbale può
costituire un efficace canale alternativo di comunicazione ,
applicabile anche ai soggetti diversamente abili. In questo primo
articolo verranno proposti alcuni strumenti per dare indicazioni sui
"segnali" degli altri ma anche sui propri, attraverso una
semplice classificazione. Nel prossimo numero saranno approfondite le
sue funzioni .
Letizia Colonna
colonnaletizia@infinito.it
L’uomo è un “essere sociale” vive in un gruppo più o meno ampio di
persone con le quali stabilisce determinate relazioni, attraverso una
rete di comunicazione. La comunicazione negli esseri umani è un evento
importantissimo: veicolo principale ne è il linguaggio, ma altrettanto
importante è l’alternativa , la comunicazione non verbale. I
gesti, i silenzi, gli sguardi, i movimenti più o meno involontari del
nostro corpo parlano di noi. E lo fanno, spesso, in modo più sincero
rispetto al linguaggio: se le parole possono essere usate a nostro
piacimento, è più difficile con il corpo. Al fine di dare
una più chiara definizione dell’espressione “ comunicazione
non verbale”, è necessario e opportuno specificare il significato dei
termini “ comunicazione” e “non verbale”. “ Non verbale” significa
“tutto ciò che non è parola”, in pratica tutto ciò che non è linguaggio
verbale, il quale viene considerato il mezzo più evoluto che è
utilizzato dagli uomini per mettersi in relazione. Pertanto se
intendiamo per comunicazione un interscambio dinamico ( inviare e
ricevere informazioni, pensieri, atteggiamenti , un condividere e
costruire significati) , la comunicazione non verbale si può definire
come una trasmissione di contenuti con significati condivisi che
avviene a prescindere dall’uso della parola. Alcuni autori, infatti, ad
esempio Greene(1980) , alla distinzione linguistica tra “
comunicazione verbale” e “ comunicazione non verbale” preferiscono
quella fra “comunicazione che fa uso di parola” e “ comunicazione che
non ne fa uso”. Argyle (1992; ed.or.1975), preferiscono invece chiamare
questo tipo di comunicazione “ linguaggio del corpo”, difatti molti dei
segnali non verbali, sono espressi mediante movimenti di parti del
corpo. Non esiste una vera e propria teoria generale della Cnv o
un’unica disciplina che si occupa dello studio dei suoi aspetti e delle
sue funzioni. Il suo studio ha origini e radici diverse che si
ritrovano in varie discipline scientifiche le quali, nel corso del loro
sviluppo, si sono occupate, per vari aspetti, dello studio dell’uomo
con le sue comunicazioni e relazioni: la biologia, l’antropologia, la
sociologia e la psicologia. Gli aspetti non verbali della comunicazione
sono usate frequentemente ed in modo naturale e spontaneo nelle
interazioni della vita quotidiana , per questo è difficile essere
pienamente consapevoli della loro funzione e del loro significato.
Infatti il linguaggio verbale si basa su un sistema convenzionale di
segni codificato e condiviso che si basa su precise regole grammaticali
e sintattiche. I segni non verbali non possiedono una struttura
altrettanto codificata . La capacità di codifica dei segni non verbali
dipende da molti fattori che si riferiscono alle caratteristiche
personali dei partecipanti all’interazione : contesto, culture diverse
ecc. Vero è che la relatività e l’arbitrarietà del significato si
applicano anche nel linguaggio verbale, ma esse si presentano in modo
evidente nel caso dei segnali non verbali. La Cnv , infatti, comprende
una vasta gamma di segnali di tipo cinesico, paralinguistico e
intonazionale. L’uomo usa dunque svariati tipi di comunicazione non
verbale, ognuno dei quali svolge una funzione ben precisa . In
letteratura esistono diverse classificazioni della Cnv, quella qui
proposta prende spunto dalle ricerche svolte da diversi autori: Ekman e
Friesen (1969) che si avvicina a quella classica di Argyle (1974;ed.or.
1972). Gli elementi della comunicazione non verbale sono disposti
idealmente secondo una scala ( Mastronardi, 1998). Questa scala , parte
dall’alto e procede verso il basso, spostandosi dal generale al
particolare, dai segnali più manifesti a quelli meno evidenti ( vedi
figura in basso).
Una classificazione della C.n.v.
Conformazione fisica
Aspetto esteriore
Abbigliamento
Distanza interpersonale
Contatto corporeo
Comportamento spaziale
Orientazione
Postura
Movimenti di busto e gambe
Comportamento
cinesico
Gesti delle mani
Movimenti del capo
Sguardo e contatto visivo
Volto
Espressione del volto
Segnali vocali verbali
Segni
vocali
Segnali vocali non verbali
Silenzio
L’aspetto esteriore si può considerare una forma di comunicazione non
verbale poiché fornisce importanti informazioni sugli individui,
influenza la formazione delle impressioni e provvede
all’autopresentazione. Comprende diversi elementi definiti “statici” da
(Cook,1973; ed . or. 1971) in quanto generalmente non modificabili a
breve termine nel corso dell’interazione. Si possono sintetizzare in
due componenti principali: la conformazione fisica e l’abbigliamento.
La prima riguarda tutto ciò che è costituzionale del fisico della
persona. L’abbigliamento, invece, è la componente più mutevole. ·
Comportamento spaziale. Ogni corpo si colloca in uno spazio e si muove
in esso, assumendo determinate posizioni rispetto agli oggetti e alle
persone che lo circondano. Lo studio dei movimenti di un individuo
nell’ambiente fisico, del livello di contatto fisico o della distanza
che intende stabilire tra sé e gli altri, della postura che assume e
del suo comportamento territoriale può consentire di comprendere
aspetti della personalità, stati emotivi, atteggiamenti interpersonali,
norme valori e condizionamenti culturali. Gli elementi che
comprendono il comportamento spaziale dell’uomo sono: la distanza
interpersonale, il contatto corporeo, l’orientazione e la postura. La
distanza o vicinanza interpersonale è un segnale significativo
dal punto di vista sociale, poiché dà immediatamente idea dell’intimità
e del rapporto tra gli interlocutori. Hall (1969) ha distinto
quattro forme diverse di distanza interpersonale, che la persona mette
tra sé e gli altri : distanza intima, distanza personale, distanza
sociale, distanza pubblica. Connesso alla distanza interpersonale è,
ovviamente , il contatto corporeo, il quale non è altro che una totale
assenza di distanza interpersonale. Anolli (2002) definisce
il contatto corporeo sistema “aptico”: concerne i comportamenti di
contatto fisico con le persone. Le forme di contatto corporeo sono
varie : la frequenza e l’intensità dipendono dal grado di
intimità, dal luogo pubblico o privato, dalle differenze
interculturali. Altri comportamenti spaziali sono : l’orientazione che
è il modo delle persone di orientarsi l’una verso l’altra ; la
postura, che è un segnale in parte involontario, che può partecipare
alla comunicazione (Mehrabian, 1970). Tra i comportamenti spaziali
rientra anche la difesa di quest’area personale (Kendon, 1973), ovvero
l’invasione da parte degli altri di questo spazio che può
verificarsi non solo attraverso l’intrusione fisica ma anche
tramite gli stimoli che giungono ai diversi apparati sensoriali
dall’esterno ( sguardo fisso, rumore eccessivo, odori forti).· Il
comportamento cinesico riguarda i movimenti del corpo ( busto e
gambe) e i gesti delle mani e delle braccia. Essi comunicano svariate
informazioni, soprattutto relative ai contenuti verbali, quando si
utilizzano insieme al linguaggio verbale. Uno dei maggiori contributi
allo studio di tali movimenti è stato dato da (Birdwhistell,1970)
ed è stata proprio sua l’introduzione del termine “cinesica”. Egli ha
individuato e descritto una serie di unità di comportamento, che ha
chiamato “cinemi”, i quali comprendono i movimenti di tutto il corpo. ·
Il volto possiede ben oltre venti muscoli molto contrattili, la maggior
parte dei quali è localizzata nella fronte e intorno agli occhi.
Pertanto queste diverse contratture generano espressioni diverse del
volto, nonché una diversa direzione dello sguardo. Lo sguardo
rappresenta uno dei più importanti segnali comunicativi a livello non
verbale. Durante un’interazione viene fatto un largo uso di
sguardi reciproci , i quali forniscono precise informazioni nella
presentazione di sé . Nel corso di una conversazione, lo sguardo,
regola l’alternanza dei turni. Kendon (1967) sostiene che per
l’ascoltatore, essere guardato da chi parla, significa che questi è
pronto a cedere lo spazio conversazionale, mentre il fatto che lo
sguardo venga distolto indica il contrario. Secondo Ekman (1982), tutte
le fondamentali emozioni dell’uomo si manifestano a livello di mimica
facciale in modo nettamente riconoscibile. Il volto è forse la parte
del corpo più rilevante per la segnalazione non verbale. Esso può
riflettere con precisione la nostra esperienza soggettiva. Attraverso i
movimenti delle sopracciglia e della fronte, gli spostamenti degli
occhi, l’uso del sorriso, infatti, il volto esprime in modo
difficilmente controllabile emozioni e atteggiamenti
interpersonali. Un’espressione del volto rilevante sotto il
profilo comunicativo è il sorriso, che Ricci Bitti e Cortesi (1977)
definiscono come un’espressione facciale indicante aspetti positivi
(felicità, tenerezza, piacere, disponibilità verso l’altro). Molteplici
ricerche si sono dedicate allo studio degli stimoli che provocano il
sorriso. Numerosi autori sono concordi sull’esistenza di
fasi evolutive del sorriso: “sorriso riflesso” nei primi mesi di vita ;
“sorriso sociale” tra il terzo e il settimo mese; “ sorriso sociale
selettivo” dopo il settimo mese; una fase di “reattività sociale
differenziale” che continua per tutta la vita. Per quanto riguarda il
sorriso dell’adulto Ekman e Friesen (1982) hanno distinto tre tipi di
sorriso: quello “spontaneo”, che coinvolge tutto il volto; il sorriso
“simulato”, che coinvolge solo i muscoli zigomatici; il sorriso
“miserabile”, che risulta forzato, infelice e coinvolge la zona
inferiore del volto. · Segnali vocali. Un altro aspetto della Cnv
riguarda i segnali vocali. Durante una conversazione le persone, oltre
a usare il linguaggio verbale, utilizzano una serie di elementi non
propriamente linguistici che sono in parte indipendenti dalle parole
pronunciate. Argyle (1992) ha proposto una suddivisione tra segnali
vocali connessi al discorso e quelli indipendenti dal discorso che
esprimono atteggiamenti ed emozioni. Facendo riferimento a questa
distinzione di Argyle, chiameremo i primi segnali vocali “verbali” e i
secondi segnali vocali “non verbali” (Anolli, 2002) . I segnali
vocali verbali riguardano le proprietà transitorie che accompagnano la
pronuncia dell’enunciato linguistico. Essi tendono a modificarsi a
seconda del contesto comunicativo: tono , intensità e velocità. I
segnali vocali non verbali riguardano la qualità della voce della
persona, la quale costituisce “l’impronta vocalica” (Anolli,2002) di un
individuo. Essa permette di differenziare un individuo da un altro e di
riconoscere una voce familiare in mezzo alle altre. Anolli distingue
quattro fattori principali che influenzano gli aspetti vocali non
verbali: biologici, sociali, di personalità, emotivi. Tra i segnali
vocali troviamo il silenzio, uno strumento potentissimo di
comunicazione, data la sua ambiguità e la sua interpretazione
fortemente legata ad altri segnali non verbali, al tipo di relazione,
alla situazione comunicativa, alla cultura di riferimento. I primi
studi sul silenzio e sul suo ruolo all’interno dell’interazione sono
iniziati con Goldman-Eisler (1968), la quale ha ipotizzato che le pause
siano funzionali al parlante per la pianificazione delle espressioni
verbali. Le pause lunghe , “fase esitante”, precedono l’esposizione di
una maggiore quantità di informazioni e di enunciati più complessi,
pertanto caratterizzano la pianificazione cognitiva del discorso
che sarà poi espressa in una fase detta “fluente” la quale invece è
caratterizzata da pause di silenzio brevi o assenti. Sacks, Schegloff e
Jefferson ( 1974), hanno sviluppato una classificazione del silenzio
all’inizio della conversazione. Gli autori distinguono:
Ø la pausa interrotta quando un parlante prende il turno, chiamata
“gap” , la quale è tipica della conversazione continua;
Ø il silenzio, in cui nessun parlante prende il turno, definito
“lapse”, tipico della conversazione discontinua;
Ø il silenzio, interno a un turno o che denota un ritardo di un
parlante nel rispondere a una domanda, a una richiesta o a un saluto,
definito “ pause”.
I comportamenti non verbali all’interno dell’interazione assumono
diverse funzioni: sia per chi li produce, sia per chi li percepisce e
quindi li utilizza, in modo più o meno consapevole, per interpretare i
messaggi che essi comunicherebbero. Nell’interazione sociale, difatti,
i segnali non verbali sono impiegati sia per inviare
messaggi , sia per interpretarli. Anche per la Cnv , come per la
comunicazione verbale, esiste una codificazione da parte dell’emittente
e una decodificazione da parte del ricevente. A differenza della
comunicazione verbale, nella Cnv non esistono però dei codici
universalmente condivisi che regolino i processi di codificazione e
decodificazione.
Sarà il successivo articolo che ci aiuterà a focalizzare
e approfondire le funzioni della Cnv e il valore
comunicativo e intenzionalità della stessa.
Approfondimenti
· Anolli L. Psicologia della
comunicazione, Bologna, 2002.
· Argyle M. La comunicazione
non-verbale, Roma-Bari ,1974 (ed. or. 1972).
· Argyle M. Il corpo e il suo
linguaggio, Bologna, 1992 , (ed. or. 1975).
· Birdwhistell R.L. Kinesics and
context: Essays on body motion communication, Philadelphia, 1970.
· Cook M. La percezione
interpersonale, Bologna, 1973 (ed. or. 1971).
· Ekman P., Friesen W.V. The
repertoire of nonverbal behavior: Categories, origins, usage and
coding, in “Semiotica”, 1 , pp. 49-98, 1969.
· Ekman P., Friesen W.V. Felt,
false, andmiserable smiles, in “Journal of Nonverbal Behavior”, 6 ,
pp.238-252 , 1982.
· Goldman-Eisler F.
Psycholinguistics, London , 1968.
· Greene J. Il comportamento
comunicativo, Milano, 1980.
· Hall E.T. La dimensione nascosta,
Milano,1969 (ed. or. 1966).
· Kendon A. Some functions of gaze
direction in social interaction, in “Acta Psychologica”, 26 , pp.
22-63, 1967.
· Kendon A. Review of Birdwhistell:
Kinesics and context, in “American Journal of Psychology”, 85 , pp.
441-455, 1973.
· Mastronardi V. Le strategie della
comunicazione umana, Milano, 1998.
· Mehrabian A. A semantic space for
nonverbal behavior, in “Journal of Consultino and Clinical Psychology”,
35 , pp. 248-257, 1970.
· Ricci Bitti P.E., Cortesi S.
Comportamento non verbale e comunicazione, Bologna, 1977.
· Sacks H., Schegloff E.A.,
Jefferson G. A simplest systematics for the organization of the turn
taking for conversation, in “ Language”, 50, pp. 696-735, 1974.