Quando non si hanno
argomenti robusti da contrapporre all’interlocutore è meglio offendere
o tergiversare, come ha fatto la ministra dell’istruzione Gelmini
durante la conferenza stampa di Palazzo Chigi del 2 settembre scorso a
proposito dei precari della scuola, alcuni dei quali stanno facendo lo
sciopero della fame in quasi tutte le regioni d’Italia, e che non ha
voluto incontrare perché: “Sono politicizzati e appartengono all’Idv.
Non voglio essere strumentalizzata”. Però ai giornalisti ha dato la sua
versione dei fatti: “229mila precari: un numero spaventoso, frutto di
politiche disinvolte” che nel passato “hanno distribuito posti di
lavoro nel mondo della scuola di cui non aveva bisogno e, soprattutto,
che non era in grado di sostenere finanziariamente”.
Se fosse così avrebbe ragione, ma non ne ha, perché chi rimarrà senza
lavoro quest’anno saranno circa 20mila docenti per effetto della
diminuzione di quasi 20 mila unità dell’organico di diritto, della
presenza di 12 mila docenti in sovrannumero e la riduzione di circa 30
mila posti da riservare ai precari per il sostegno. Ma se pure
fosse come la ministra sostiene avrebbe dovuto spiegare il motivo per
il quale da decenni questi docenti vengono chiamati per le sostituzioni
o per supplenze o per incarichi su posti vuoti e ora lasciati a se
stessi, senza assumerli in modo definitivo, e come carta straccia
buttati nel cestino. Avrebbe dovuto dire perché non vengono rimpiazzati
i posti lasciati liberi dai pensionamenti e avrebbe dovuto dare conto
di tutti i patti che questo governo ha disatteso, e non solo coi
docenti ma anche con l’utenza. Ma avrebbe dovuto motivare la scelta
dell’implementazione delle varie graduatorie di prima, seconda e terza
fascia e delle Gae (graduatoria a esaurimento) e il senso che si è
voluto dare ad asse quando la sua riforma di tagli epocali non era
contemplata nemmeno dalla sua collega di partito, Letizia Moratti.
Avrebbe dovuto spiegare ai neo laureati che vogliono insegnare che
speranze hanno e che prospettive si profilano e come si intenderebbe
assumerli e se devono accettare supplenze temporanee e come saranno
conteggiate e se è il caso, a questo punto, di accettare lavoro
precario.
Sul fronte dell’utenza ci si aspettava che chiarisse la posizione del
Miur rispetto alla sentenze contrarie venute dai Tar e pure dal
Consiglio nazionale della pubblica istruzione che ha bocciato
sonoramente la riduzione delle ore nelle classi intermedie dei tecnici
e dei professionali. E che significa: migliorare la qualità della
istruzione quando nei tecnici a indirizzo linguistico nella sua riforma
epocale non si prevedono, come prima accadeva, gli insegnanti di
madrelingua. E invece di indugiare sulle assenze di 50 giorni, che non
consentono la promozione, perché non ha parlato degli istituti
all’amianto o delle classi sovraffollate i cui spazi di vivibilità per
alunno sono ridicole rispetto alla legge?Oppure del reale taglio di
materie tecniche e informatiche in opposizione antitetica con le famose
tre I del presidente del consiglio. E’ facile dire: i miei predecessori
hanno sbagliato (anche durante i 5 anni della Moratti) e che il 97%
delle risorse del Miur servono per pagare i docenti. Troppo facile di
fronte a un budget limitato che se fosse più sostanzioso farebbe,
lapalissianamente, crescere la media.
Una conferenza stampa alla buona, casalinga, e conclusasi in meno di
un’ora forse perché la figlia della ministra aspettava la poppata.
Pasquale
Almirante
p.almirante@aetnanet.org