Uno studente del
liceo Tasso di Roma racconta la manifestazione di martedì, fra timori e
coraggio, fra slogan e camionette della polizia. "Distruggono scuola e
università perché sono luoghi di formazione liberi e indipendenti"
di Piergiorgio Bruno, studente del
liceo “Tasso” di Roma
"Ebbene sì, sono un cattivo studente: come avete fatto a capirlo?
Fatemi pensare... forse perché martedì scorso non ero a casa a
studiare, ma in piazza contro la riforma (riforma?) Gelmini.
Certo, secondo i parametri di Berlusconi molti studenti medi si sono
comportati male; allora la domanda è: quali sono i parametri del
premier? Prevedono uno studente passivo, incapace di giudicare,
fondamentalmente ignorante, appassionato dei programmi trasmessi dalle
sue reti, e che, invece di ragionare su quello che studia, lo impara e
basta perché tanto l’obbiettivo è la meritocrazia, la sua idea di
meritocrazia."
Meno dibattito, più asservimento; meno partecipazione, più
investimento su un futuro da bravi berlusconiani: questa è la sua
concezione di scuola. Raggiungere tale fine non è facile, e prevede un
passaggio obbligato: la distruzione della scuola e dell’università, da
sempre focolai di protesta contro ogni tipo di regime perché luoghi di
formazione liberi e indipendenti.
La distruzione deve avvenire in maniera subdola, tagliando i fondi,
come quando in un assedio di una città non si attacca, si preferisce
aspettare che gli assediati si arrendano o muoiano per la fame: è
decisiva allora la mistificazione, il mascherare quest’operazione con
motivi apparenti, il far distogliere lo sguardo ai cittadini dalla vera
riforma per deviarli su aspetti contingenti e ininfluenti.
Occorre creare nell’opinione pubblica la convinzione che quelli che
protestano contro la riforma lo fanno perché facinorosi, appartenenti a
centri sociali, terroristi, addirittura conservatori: questo si fa
mostrando le immagini dell’Aquila invece di quelle della
manifestazione, creando confusione e incapacità di giudizio tra i
cittadini.
Come ho detto, il processo messo in atto coinvolge sia la scuola che
l’università: questo penso sia il primo motivo per cui ho partecipato
alla manifestazione di martedì, pur frequentando il liceo. La protesta
più è larga e condivisa più ha possibilità di arrivare a buon fine. Il
mondo della scuola, dell’università, del lavoro, insomma tutti quelli
colpiti dalla crisi e da questo governo se uniti hanno creato e
potranno creare un’onda d’urto travolgente. Ma c’è anche un motivo più
pratico, e cioè che in molti andremo all’università finito il ciclo
scolastico ed è, penso, nostro interesse trovarne una ancora in grado
di darci qualcosa in termini di futuro.
Proprio martedì, sotto scuola, mentre il nostro corteo si muoveva per
raggiungere gli altri studenti, c’era un gruppetto di indecisi: andare
a casa a studiare o andare alla manifestazione? È meglio andare magari
bene a un compito in classe e ottenere un vantaggio immediato o andare
a tentare di riprenderci il futuro che – come tutti ormai dicono – ci
hanno rubato? Molti hanno scelto di protestare.
La manifestazione è stata lunga, vivace: piazza Venezia, largo Torre
Argentina, corso Vittorio Emanuele II, poi il lungotevere e di nuovo il
tentativo di sfondare a via del Corso. Era un vero e proprio assedio
alla zona di Montecitorio, blindata dalle camionette della polizia. Ma
di ciò mi sono reso conto solo vedendo i telegiornali: durante il
corteo ero trascinato, senza sapere dove stessimo andando, da una
sensazione di abbandono che penso abbia accumunato molti di noi e che
sia mi esaltava sia mi metteva paura. Il rinvio a dopo il 14 dicembre
del voto al Senato sulla 'riforma' è una nostra vittoria, importante ma
non decisiva, non bisogna fermarsi qui: “se non cambierà, lotta dura
sarà!”.
(da Pd)
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