Carissimi
Ragazzi,
in
questi giorni ho rivisto video e film sull’Olocausto per prepararmi al
“Giorno
della Memoria” e ho ripreso le foto dei miei viaggi ad Auschwitz e
Dachau, due
campi di concentramento, il primo in Polonia, il secondo in Germania. «Ad
Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio: è strano non
riesco
ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento», sono le
parole di
una canzone di Francesco Guccini, che mi ricordano l’intenso silenzio
di quei
luoghi pur in mezzo ai tanti visitatori, un silenzio che fa rumore, che
dà
fastidio perché costringe a pensare, a fermarsi, a tacere, a pregare, a
riflettere, a commuoversi. Sì, Carissimi, anche un professore piange,
soffre,
si sente inadeguato, impotente, poiché non c’è tra quei viali qualcuno
che
possa dirsi immune dal dolore solo per il suo ruolo, per le conoscenze,
per i
titoli di studio, per la fama, per il denaro. Non ho più bisogno, dopo
essere
stato nei campi di sterminio, di vedere per me film che trattino questi
temi,
perché ho impresso nel cuore e nella mente quanto ho provato di
persona, non è
presunzione bensì consapevolezza. Io non piango molto, almeno
esternamente, ma
quando ciò accade, da allora, c’è sempre una lacrima per i deportati,
per le
loro famiglie, per i loro amici; c’è sempre una lacrima per tutti i
deportati e
perseguitati di oggi in tutto il mondo, quel mondo che ben poco ha
imparato
dalla Memoria. Scrive Etty Hillesum, morta ad Auschwitz
nel 1943 a 29 anni: «Ho affrontato questo dolore, molti interrogativi
hanno trovato risposta, l’assurdità ha ceduto il posto ad un po’ più di
ordine
e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un’altra breve
ma
violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più.
Mi sento
come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi o
alcuni
problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi
umilmente
come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità in
qualche
parte, in cui possono combattere e placarsi e noi dobbiamo aprire loro
il
nostro spazio interiore senza sfuggire». Carissimi ragazzi, dalla
sofferenza
non si fugge, la si può solo accogliere, portare con sé, affrontarla
ogni
giorno come un soldato coraggioso che sa che la vita è preziosa, ma
allo stesso
tempo acquista più valore quando è donata. Crescere vuol dire questo e,
se
anch’io a 35 anni continuo a crescere e ad imparare, a sognare e a
lottare, a
cadere e rialzarmi, sono certo che potete farlo anche voi che per
crescere
fisicamente avete la famiglia e la natura dalla vostra parte, per
imparare
avete la scuola, l’università, le biblioteche, internet, per sognare
avete l’amore,
la musica, lo sport, per lottare avete l’ardore della vostra età, le
passioni,
i desideri, per cadere avete gli esempi negativi e lo scoraggiamento,
per
rialzarvi chi vi vuole bene e un grande attaccamento alla vita. Perché
scrivervi queste parole proprio ora? Cosa c’entrano con la memoria
dell’Olocausto? Mi vengono in aiuto le parole di Hannah Arendt, una
pensatrice
tedesca di origine ebraica costretta a fuggire per le persecuzioni
naziste: «È
anzi mia opinione che il male non possa mai
essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità,
né una
dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo,
precisamente
perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al
pensiero,
perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici
delle
cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non
c’è
nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere
radicale».
Io credo nella vostra capacità di andare al cuore delle cose, di
toccare le
radici profonde del Bene, di “succhiare il midollo della vita”, di
mutare la
banalità in competenza, sacrificio, impegno, contenuto, azione, amore,
dono. Così
fare memoria ha un senso, perché non è come studiare la storia dai
libri o da
un dvd, né come fare una commemorazione, né un ricordo nostalgico del
passato;
fare memoria con voi, che siete vivi, forti, speciali, determinati, dal
cuore
buono, significa dare un orientamento diverso al presente e uno sguardo
profetico sul futuro perché possiamo costruire, partendo da noi stessi,
un
“Bene profondo e radicale” in famiglia, nello studio, con gli amici,
con i
proff., con chi amate, con chi è immigrato, chi è povero, chi è solo,
chi è
malato, chi la pensa diversamente, chi ha altre abilità, chi prega un
altro
Dio. Etty
Hillesum scrive ancora: «Dobbiamo
pregare di tutto cuore che succeda qualcosa di buono, finché
conserviamo la
disposizione verso questo qualcosa di buono. Infatti, se il nostro odio
ci fa
degenerare in bestie come lo sono loro, non servirà a nulla». Lo scrive
lei in
mezzo alle atrocità e alla morte, alla “banalità del male”, lo scrive
lei per
me e per voi, perché il suo “dobbiamo pregare che succeda qualcosa di
buono” si
realizzi come preghiera oggi, diventi impegno comune che trasformi la
memoria
in azione, in vita concreta, in donne e uomini di buona volontà che non
abbiano
più bisogno che qualcuno gli ricordi Auschwitz o Dachau, perché ce li
hanno
tatuati nel cuore. Coraggio e speranza, Carissimi ragazzi, poiché anche
in quei
luoghi di sterminio ci sono state persone, come Padre Massimiliano
Kolbe che ha
offerto la propria vita per salvare un padre di famiglia, ci sono stati
uomini
e donne che hanno trasformato l’orrore in amore!
Marco
Pappalardo