Aspetti
sociali del laboratorio nel scuola italiana: il fare riflettendo.
Vorremmo che la didattica laboratoriale non fosse solo un argomento di
gran moda in questo periodo. Ne parlano tutti: i ministri la invocano,
i dirigenti la esigono, gli insegnanti la inseriscono nei loro piani di
lavoro.
Sembra che possa rappresentare la panacea ai mali della scuola,
risolvere i problemi di apprendimento, motivare allo studio,
risollevare i punteggi dei nostri allievi nelle classifiche
internazionali. Così si chiedono finanziamenti per allestire laboratori
di vario genere: linguistici, scientifici, informatici, di cucina,
teatrali, espressivi ma pochi conoscono la verità. L'opinione pubblica
non è a conoscienza che i laboratori per essere efficienti e
funzionanti hanno bisogno di personale specializzato come i docenti
tecnico pratici.
Nelle legislature con i governi Berlusconi ed i ministri
dell'Istruzione Moratti e Gelmini hanno di fatto cancellato le
compresenze, un sistema creato per fondere in modo armonico la
didattica, il sapere teorico insegnato dai docenti teorici ed il sapere
pratico studiato, provato, dimostrato, "imparato" in laboratorio. Negli
ultimi venti anni, i governi hanno privilegiato la scuola privata
assegnando centinaia di milioni di euro togliendole alla scuola
pubblica. In base alla legge 62/2000, emanata in attuazione
dell'articolo 33 della Costituzione, le scuole private dell'infanzia,
primarie e secondarie possono chiedere la parità ed entrare a far parte
del sistema di istruzione nazionale. Per questo alcuni trovano più
giusto parlare di scuola pubblica statale e scuola pubblica non statale.
Gli articoli 33 e 34 della Costituzione (fonte di Sergio Lariccia)
La Carta costituzionale prevede un sistema educativo di istruzione e
formazione, consistente nel complesso di diritti, doveri e libertà
previsti nei confronti di vari soggetti, pubblici e privati: gli artt.
33 e 34 devono essere considerati in coerenza con i principi contenuti
in altre disposizioni costituzionali (innanzi tutto, gli artt. 2, 3 e
21) e tenendo presenti la riforma costituzionale attuata a seguito
dell'entrata in vigore della legge costituzionale del 18 ottobre 2001,
n. 3, che ha modificato il titolo V della parte seconda della
Costituzione, e la grande importanza che assume il passaggio dal
sistema della scuola di Stato al sistema nazionale di istruzione,
fondato sul principio di autonomia delle scuole.
Libertà di insegnamento nella scuola
L'art. 33, c. 1, garantisce la libertà di insegnamento, con una
disposizione che, considerando tale libertà in stretta connessione con
la libertà dell'arte e della scienza, non consente la previsione di
limiti concettualmente incompatibili con l'arte e con la scienza.
La libertà di insegnamento nella scuola merita una considerazione
particolare rispetto alle altre libertà costituzionali, perché il
rapporto di insegnamento/apprendimento presuppone una differenza di
cognizioni e di preparazione tra chi insegna e chi impara che rende
necessarie la tutela morale nei confronti di questa seconda categoria
di soggetti e la garanzia dell'esigenza di protezione dell'infanzia e
della gioventù (art. 31 cost.). Con una disposizione che assume grande
importanza in materia scolastica, il legislatore, nell'art. 1 d.lgs. 16
aprile 1994, n. 297, prevede che l'esercizio della libertà di
insegnamento è diretto a promuovere , attraverso un confronto aperto di
posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni
e che tale azione di promozione è attuata nel rispetto della coscienza
morale e civile degli alunni.
Il rapporto tra istruzione pubblica e istruzione privata
Un problema che rappresenta tuttora una delle questioni più discusse e
controverse della politica scolastica del nostro paese è quello del
rapporto tra istruzione pubblica e istruzione privata. La Costituzione
prevede un sistema pluralistico tendente a garantire il diritto dei
bambini e dei ragazzi di iscriversi alle scuole e alle università
ispirate liberamente ai vari orientamenti di pensiero politico-sociali
diffusi nel paese. L'ammissibilità di scuole impegnate ideologicamente,
che è conforme all'orientamento pluralistico della nostra società e del
nostro ordinamento, pone il problema dei criteri con i quali valutare
le ipotesi di eventuale contrasto tra gli orientamenti ideologici della
direzione della scuola e quelli dei docenti che prestano la loro
attività all'interno della scuola: ed è questione di non facile
soluzione quella di considerare quali limiti, nelle scuole private, la
libertà di insegnamento possa legittimamente subire per effetto
dell'obbligo contrattuale, eventualmente assunto dal docente, di
orientare l'insegnamento in conformità all'indirizzo ideologico della
direzione della scuola. La Corte costituzionale, con sentenza n. 195
del 1972, in relazione a un famoso caso verificatosi nell'Università
cattolica di Milano, ha stabilito che sussiste il potere delle
università libere di verificare la conformità degli indirizzi
ideologici o religiosi del docente rispetto a quelli che caratterizzano
l'istituto di istruzione e, in caso di contrasto, di interrompere il
rapporto di lavoro con il docente; a mio avviso è invece più esatta la
tesi che sulla libertà collettiva della scuola ritiene prevalente la
libertà del docente nella scuola: un'opinione coerente con il
principio, caratteristico degli ordinamenti democratici contemporanei,
per quale la libertà individuale merita tutela anche nelle ipotesi in
cui possa derivarne un sacrificio della libertà collettiva.
Il costituente ha stabilito, nell'art. 33 cost., cc. 3 e 4, che gli
enti e i privati sono liberi di istituire scuole ed istituti di
educazione, purché non ne derivi alcun onere finanziario per lo Stato,
e che le scuole private e i loro alunni hanno diritto a un trattamento
scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali, e,
nell'art. 34, che la scuola è aperta a tutti, che l'istruzione
inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita,
che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno di diritto di
raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica rende
effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e
altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Gli artt. 33 e 34 della Costituzione Italiana
rappresentano la risultante delle diverse tendenze emerse all'Assemblea
costituente in materia scolastica. Per quanto in particolare si
riferisce al divieto di sovvenzioni alle scuole private, è da ricordare
che esso è stato, sin dai primi anni dopo l'entrata in vigore della
Costituzione, costantemente aggirato per ogni ordine e grado di scuola;
nel periodo più recente, anche a seguito della crescente contestazione
dello 'statalismo' e del 'centralismo', si è sollecitato un profondo
ripensamento dei rapporti pubblico/privato nell'ambito scolastico (si
ricorda a proposito l'importante legge del 10 marzo 2000, n. 62,
contenente le norme sulla parità scolastica e le disposizioni sul
diritto allo studio).
Intervento educativo privato «senza oneri per lo Stato»
Ma ogni testo di legge e, a maggior ragione, il testo di una
disposizione inserita in una costituzione 'rigida', qual è quella
italiana, va interpretato anzitutto per quel che dice, e in modo che
quel che dice abbia un significato e non si risolva in
un'interpretazione esattamente contrastante con le espressioni usate
nel testo. Senza vuol dire senza; scuola privata vuol dire scuola
privata e non può significare scuola pubblica (non statale); e oneri
per lo stato sono non soltanto i diretti finanziamenti, ma anche gli
esoneri fiscali e tutte le agevolazioni che comportino un aggravio del
bilancio statale.
Qualunque riforma normativa riguardante il problema della politica
scolastica deve essere impostata tenendo presente che la Costituzione
disciplina diversamente la scuola pubblica e la scuola privata, che
sono istituzioni obiettivamente diverse, e stabilisce che l'intervento
educativo privato debba avvenire «senza oneri per lo Stato» (art. 33,
c. 3): la scuola privata non ha dunque diritto a ricevere contributi
economici da parte dell'erario, anche se sovvenzioni possono essere
concesse per soddisfare le legittime aspettative delle popolazioni di
fruire del diritto allo studio.
É necessario, inoltre, considerare che solo nella scuola 'pubblica'
possono liberamente convivere diverse posizioni culturali e ideali; ed
è la scuola pubblica che, nonostante tutti i suoi malanni, resta ancora
la soluzione preferibile per la formazione e l'educazione delle giovani
generazioni.
Ma la didattica laboratoriale cos’è? Il laboratorio è soltanto un luogo
fisico, più o meno attrezzato? Quali differenze ci sono con la
didattica tradizionale?
Da sempre si lavora nei laboratori, dalle materne all'università.
Tuttavia, credo che una riflessione sia necessaria anche nella nostra
scuola per evitare che consuetudini consolidate assumano la forma
dell’abitudine togliendo significato e consapevolezza a ciò che si fa.
Dal momento in cui si è introdotta, all’interno del dibattito
pedagogico, la questione dei laboratori, è passata, in maniera quasi
automatica, una concezione che contrappone drasticamente una didattica
considerata "vecchia" (quella tradizionale, appunto) ad una più
"moderna (quella per laboratori). La prima è caratterizzata da una
modalità di tipo trasmissivo, in cui l’insegnante spiega e l’alunno
impara; la verifica dell’avvenuto apprendimento si sostanzia nella
ripetizione verbale o scritta del concetto presentato e/o nella sua
applicazione per la risoluzione di esercizi. La didattica laboratoriale
si connota, nell’immaginario collettivo, per la sua capacità di
coinvolgimento, di suscitare interesse e motivazione, di imparare in
modo pratico, di dimostrare "fisicamente", in modo naturale anche
quello di conoscere il modo di realizzare qualcosa in modo autonomo,
usando, lo spazio, il tempo, i materiali, la conoscienza teorica.
Insomma: passività contro attività, ascolto contro azione, noia contro
interesse ed divertimento.
Tuttavia, a ben guardare, i due approcci hanno un elemento in comune
(almeno nelle loro applicazioni meno attente e più superficiali). La
didattica teorica si basa su un sapere legato al ricordare e al saper
riflettere e riferire e la didattica laboratoriale fine a se stessa si
basa sul "fare" che diventa necessario e sufficiente. Da una parte si
insegnano regole generali che poi ciascuno dovrebbe saper applicare (il
fare senza fare); dall’altra si fa senza imparare, senza trarre
conclusioni, senza porre la dovuta attenzione alla generalizzazione e
alla creazione di modelli interpretativi. Per questo motivo ribadisco
che la compresenza è fondamentale in ogni ordine di scuola quando si
parla di laboratorio. La compresenza in laboratorio è l'elemento comune
dei docenti che consentono ai propri alunni di acquisire: il pensiero,
la riflessività, la consapevolezza. Compresenza come elemento di unione
dei saperi teorici e pratici.
Perché c’è bisogno del laboratorio
Il laboratorio prende le mosse dal fare dei bambini fino al
raggiungimento di sperimentazioni complesse c/o le università italiane.
In questo particolare momento storico se ne sente fortemente il
bisogno; la sensazione di una deprivazione in questo senso, è sentita
in maniera generalizzata tra gli operatori della scuola pubblica.
Invece bisognerebbe incentivare le attività di laboratorio, perchè
laboratorio vuol dire anche condividere idee e pensieri tra gli
studenti. Fare insieme, condividere significa spesso crescere.
Privare agli alunni degli spazi laboratoriali o ridurli come è avvenuto
in modo devastante con la recente riforma Gelmini ha prodotto anomalie
ed errori didattici, sempre e comunque a discapito dei nostri studenti
con conseguente riduzione degli organici degli insegnanti.
L’osservazione degli alunni nei diversi momenti della giornata ci
mostra in tutta evidenza le conseguenze derivanti da questa nuova
realtà, in termini di atteggiamenti e di approccio alle esperienze.
Quali sono queste caratteristiche? Innanzi tutto l’estrema difficoltà a
soffermarsi sulle cose. Gli alunni sono abituati (a volte forzati) a
passare da una cosa all’altra in maniera sempre più veloce e frenetica
( a casa, ma, talvolta, anche a scuola). Così non sono più capaci di
organizzare il loro tempo e vengono presi dall’ansia del "Cosa facciamo
dopo?". Questo li porta ad affrontare i compiti che li attendono con
grande superficialità, sempre proiettati verso la prossima novità che
li aspetta. Collegato a questo aspetto c’è quello della facilità nel
fare le cose. Siccome bisogna andare di fretta tutto deve essere
facile, sbrigativo. Non si può perdere tempo ad allacciarsi le scarpe e
così si fabbricano e si acquistano scarpe senza lacci. Ma in questa
rincorsa alla facilitazione della vita, gli studenti hanno solo da
perdere. Perché, come ci insegnano i grandi psicologi del novecento (da
Piaget in poi), già i bambini imparano solo facendo (Pensiero
operatorio). È legandosi i lacci delle scarpe o abbottonandosi la
giacca che ciascuno di noi ha interiorizzato giorno dopo giorno, in
maniera del tutto inconsapevole, ma non per questo meno efficace, i
concetti di dentro/fuori, sopra/sotto. È così che abbiamo imparato a
confrontare quantità e qualità, a contare, a costruire quelle
competenze che poi la scuola ha affinato e convogliato nei linguaggi
specifici legati alle diverse discipline. Per questo è importante
rivalutare il ruolo cognitivo del fare: di un fare concreto, legato a
materiali, strumenti, gesti veri, anche simulati e virtuali. Proprio in
un momento come questo in cui tutto sembra finto e anche gli adulti
fanno fatica a distinguere la realtà dal reality, è importante
riportare i nostri studenti alla concretezza delle cose, al fare con
perizia, con pazienza, con costanza.
La scuola deve rispondere in modo positivo a questa sfida se si mette
in gioco proponendo percorsi all’interno dei quali gli obiettivi
didattici si saldano strettamente a quelli di tipo formativo, in una
prospettiva che rivaluta fortemente il legame con il territorio.
Il ruolo del "fare"
Solo la scuola può consentire, agevolare, promuovere, il passaggio
dalla teoria alla pratica nella sua accezione più completa: capire,
imparare, conoscere, fare.
Questo è (o dovrebbe essere) il senso, il significato, del fare
concreto degli studenti.
Ma questo è sufficiente perché i nostri studenti siano condotti verso
traguardi di autonomia e apprendimento? Il laboratorio deve essere
inteso come il luogo del fare o è qualcosa di più? Sì, perché io credo
che il fare dal solo non basti. L’attività concreta deve essere
interpretata come contesto in cui l’azione stimola il pensiero, come
strumento per la riflessione, come terreno di esercizio per porsi
problemi e cercare soluzioni. E a loro volta, i problemi e le
soluzioni, pur nascendo dall’operatività, devono indurre alla
generalizzazione e all’astrazione, devono travalicare "il qui e ora"
per andare a costituire quel bagaglio di competenze che può consentire
nuove acquisizioni.
Il fare per il fare, per il prodotto, per l’addestramento, lascia il
posto al fare per pensare, per imparare, per scoprire. Il fare in
laboratorio "costringe" la mente a pensare a ciò che sta facendo e
questo consente di acquisire consapevolezza del proprio operare e a
cercare soluzioni sempre più funzionali, a riconoscere strategie che
testimoniano (che sono espressione e al contempo costruiscono e
consolidano) il proprio modo di imparare, il proprio stile cognitivo,
il proprio approccio alla conoscenza.
In fondo la scuola non ha il compito di formare tessitori, fornai,
agricoltori, scienziati, musicisti…. la scuola ha un compito diverso,
ben più importante: quello di utilizzare le esperienze e le discipline
per formare le persone, per aiutarle a vivere meglio, per fornire gli
strumenti che le mettano in condizione di imparare ad imparare in tutto
l’arco della vita. La scuola deve educare quel pensiero, lo deve
rendere sempre più consapevole, sempre più libero e svincolato dalla
situazione. Ma questo tipo di operazione mentale non è spontanea, né
tanto meno automatica. Non si attiva semplicemente "per contatto" con
esperienze, materiali, oggetti. Il nostro lavoro consiste, dunque, nel
creare ambienti che sostengano l’apprendimento, nello scegliere
contenuti concettualmente dominabili in relazione alla fascia di età
cui si rivolgono, nell’approntare e proporre strumenti (anche questi
sia di tipo operativo, sia concettuale) che stimolino, negli alunni,
quella riflessività che rappresenta la condizione per passare dal fare
al saper fare.
Il filosofo Whittgenstein diceva: "La mia mano sa più della mia mente".
Di sicuro la mia mano è fondamentale, ma è nella mia mente che si
formano concetti, categorie, strategie di azione. Perché questo
passaggio si realizzi esiste però, una condizione imprescindibile: la
scuola deve assumere la responsabilità di proporre (di costruire, se ce
n’è bisogno) "esperienze di apprendimento mediato"(Boscolo). Di cosa si
tratta? Gli alunni devono partecipare quotidianamente ad un’esperienza
diretta, ma senza la mediazione culturale dell’adulto, difficilmente
questa partecipazione sarà in grado di produrre apprendimento.
D’altra parte non tutti gli interventi hanno lo stesso valore e la
stessa efficacia in termini di produttività. Perché l’intervento
laboratoriale sia efficace deve rispondere a tre criteri: deve essere
intenzionale, non affidato al caso, all’estemporaneità, all’occasione.
Deve avere il carattere della trascendenza, ovvero non puntare solo ad
un risultato (che spesso si traduce in un prodotto) immediato, ma va
considerato come il mezzo più idoneo per raggiungere un obiettivo più
generale, che appunto lo trascende. Infine deve trattarsi di
un’esperienza significativa per chi la vive: gli oggetti, le esperienze
non sono neutrali, devono avere un significato educativo e
motivazionale. La qualità dei processi non può essere separata dai
contenuti: dipende in larga misura dalla loro scelta.
La funzione docente degli insegnanti tecnico pratici nel sistema
dell'Istruzione pubblica in Italia:
Anche se sono passati anni da quando fu chiarito il ruolo dell'ITP
(Insegnante Tecnico Pratico) è importante ribadire la funzione docente
alla luce della recente disposizione di legge che porterebbe al
declassamento dei docenti di laboratorio in personale non docente.
In attesa della pubblicazione del testo della Legge di Stabilità 2012
promulgata, poche ore dopo la sua approvazione, dal Presidente della
Repubblica nella giornata di sabato 12 novembre 2011 si cita l’articolo
che interessa gli insegnanti tecnico pratici e gli assistenti tecnici.
Da una prima analisi testuale anche agli occhi dei non" addetti ai
lavori" diventa evidente che gli ITP sono degli insegnanti e gli AT dei
tecnici e non si capisce quali duplicazioni di competenza tra aree e
profili professionali vi siano tra gli ITP e gli AT.
Art. 2 comma 81 legge stabilità trasmesso dal Senato e approvato alla
Camera sabato 12 novembre 2011
81. Allo scopo di evitare duplicazioni di competenza tra aree e profili
professionali, negli istituti di scuola secondaria di secondo grado ove
sono presenti insegnanti tecnico-pratici in esubero, è accantonato un
pari numero di posti di assistente tecnico.
Questa norma deve essere al più presto ritirata dal nuovo Governo della
Repubblica.
Ricordo a coloro che leggono per la prima volta la parola ITP che ITP
appunto vuol dire insegnanti tecnico pratici:
"Gli insegnanti tecnico - pratici, anche quando il loro insegnamento si
svolge in compresenza, fanno parte, a pieno titolo e con pienezza di
voto deliberativo, del Consiglio di classe. Le proposte di voto per le
valutazioni periodiche e finali relative alle materie il cui
insegnamento è svolto in compresenza sono autonomamente formulate, per
gli ambiti di rispettiva competenza didattica, dal singolo docente,
sentito l'altro insegnante. Il voto unico viene assegnato dal Consiglio
di classe sulla base delle proposte formulate, nonché degli elementi di
giudizio forniti dai due docenti interessati" (art. 5 comma 1bis T.U.).
Quindi secondo la CM 28/2000 "l'azione dei due docenti compresenti -
quello di materie teoriche e quello di materie pratiche - deve
impostarsi ed esprimersi sinergicamente, sì da concretizzarsi in
effettiva codocenza attraverso l'individuazione congiunta degli
obiettivi, una armonica e coerente definizione dei reciproci ambiti di
attività, una scelta congiunta dei mezzi, degli strumenti e dei criteri
di valutazione ed opportuni raccordi tra i due momenti valutativi.
Pertanto, da una parte l'attività dei due docenti deve essere
strettamente correlata sotto il profilo contenutistico e metodologico
e, dall'altra, gli stessi, nell'ambito della programmazione del
consiglio di classe, devono congiuntamente predisporre e attivare un
piano di attività che tenga conto, come previsto dalla legge n.
124/1999, degli ambiti di rispettiva competenza.
Alla luce delle osservazioni sopra espresse, appare evidente che
un'applicazione della nuova normativa coerente con l'attuale
organizzazione didattica (che prevede nelle valutazioni intermedie
l'assegnazione di voti separati nelle materie con diversità di prove
scritte, orali, pratiche e di un voto unico nella valutazione di fine
anno) richiede che le relative proposte di voto - basate sulle
risultanze del registro personale proprio di ciascun docente - siano
adeguate ai seguenti criteri:
- nelle materie insegnate in compresenza, per le quali è prevista anche
l'attribuzione del voto pratico, quando si tratti degli scrutini
intermedi, in cui i voti rimangono distinti, ciascun docente formula
autonomamente la propria proposta di voto, sentito l'altro insegnante;
- quando si tratti degli scrutini finali e anche nelle materie
insegnate in compresenza per le quali non è previsto il voto pratico,
ferma restando l'autonoma proposta di voto di entrambi i docenti, il
Consiglio di classe assegna il voto unico.
… dall'innovazione legislativa sopravvenuta discende ancora, sul piano
funzionale, che gli ambiti di competenza degli insegnanti
tecnico-pratici, da gestire in coerenza con le funzioni spettanti ai
docenti di materie teoriche, debbono organicamente e armonicamente
inserirsi nel contesto degli aspetti significativi dell'operato dei
consigli di classe (dalla programmazione, agli interventi più rilevanti
relativi all'organizzazione e all'erogazione dell'azione educativa e
didattica, alla verifica e valutazione in itinere e finale, alla
partecipazione a corsi di recupero e/o di approfondimento, colloqui con
le famiglie, iniziative deliberate dagli organi scolastici della
scuola, ecc.) facendo sì che ne risulti potenziato e arricchito
l'apporto di ciascuno e rafforzata e valorizzata la collegialità delle
scelte e delle decisioni di partecipazione alle attività connesse con
la didattica.
Si chiarisce che le nuove disposizioni si riferiscono ovviamente anche
ai docenti titolari dell'insegnamento di conversazione in lingua
straniera, in quanto tale insegnamento fa parte della tabella C
allegata al D.M. n.334 del 24.11.1994".
La situazione attuale dei docenti presenti nella TABELLA "C"
I nuovi istituti tecnici e professionali, malgrado il moltiplicarsi
degli indirizzi e delle articolazioni, vedono una profonda riduzione
delle ore di laboratorio ed in particolare delle ore di insegnamento
degli ITP.
Da una prima analisi dei piani orario disponibili, si può
immediatamente misurare l'effetto che gli stessi avranno sugli
insegnamenti tecnici e soprattutto su ITP e laboratori.
Negli Istituti tecnici del settore economico si perdono quasi
completamente le ore di laboratorio con la compresenza degli ITP, oltre
a quelle di trattamento testi e dattilografia.
Malgrado tutti i proclami sulla centralità dello studio delle lingue
straniere, nell'articolazione " Relazioni internazionali per il
Marketing" e nell'indirizzo " Turistico" si perdono tutte le ore di
compresenza con gli insegnanti di conversazione in lingua straniera
presenti attualmente.
Le ore di laboratorio in compresenza nel triennio dell'articolazione "
Sistemi informativi aziendali" si riducono da 6 a 3 ore all'anno,
rispetto all'attuale progetto Mercurio.
Nei primi due anni del settore tecnologico si passa dalle attuali 16
ore medie di laboratorio in compresenza con gli ITP a solo 8 ore. Nel
triennio si passa dalle 10/13 ore all'anno attuali a solo 9 ore medie.
Negli istituti professionali si riducono tutte le attività di
laboratorio più professionalizzanti.
Nel settore dei servizi commerciali sparisce del tutto l'insegnamento
di trattamento testi.
Nel settore turistico scompare completamente l'insegnante tecnico
pratico in compresenza. Figura fondamentale che trasferisce la pratica
operativa del lavoro direttamente in classe.
Nel settore industria e artigianato le ore di laboratorio degli ITP (da
soli o in compresenza) passano dalle attuali 41/48 nei 5 anni a solo
38/40. Nella sola prima classe del biennio iniziale si passa dalle
attuali 8/11 ore a sole 5 ore.
Nel settore socio-sanitario si passa dalle attuali 34 ore nei 5 anni a
solo 29.
Nel settore dei servizi per l'agricoltura si passa da 42 ore nei 5 anni
a solo 28, con una riduzione da 12 a 5 ore in prima.
Nel settore dell'enogastronomia si passa da 53 ore nei 5 anni a solo
44, con una riduzione da 15 a 12 ore in prima.
Proposta "Piuscuolanet" a cura di Gianfranco Alario coordinatore di
piuscuolanet.
Nelle linee di indirizzo per la nuova secondaria in diversi contesti
viene sottolineata l'importanza di una didattica laboratoriale per le
materie scientifiche e tecnologiche. Sono numerose le sollecitazioni in
questo senso da parte del MIUR , ad esempio gli stessi decreti di
riordino indicano tra gli insegnamenti aggiuntivi attivabili da parte
dei nuovi licei il laboratorio di fisica-chimica.
Senza entrare qui nel merito della affascinante discussione sulla
"laboratorialità" a prescindere dai laboratori, rimane il fatto che
troppo spesso i laboratori scolastici dei licei e delle scuole medie,
frutto di investimenti anche sostanziosi, sostenuti negli anni dalle
istituzioni scolastiche, dagli enti locali o da fondazioni private,
dopo brevi stagioni di utilizzo legate alla buona volontà individuale o
di gruppo degli insegnanti, cadono in disuso o sono sottoutilizzati.
Nelle scuole italiane la quasi totalità dei laboratori funzionanti con
continuità sono all'interno degli istituti tecnici industriali e degli
istituti professionali, dove il quadro orario curricolare prevede in
modo specifico l'attività di laboratorio per determinate materie. Oltre
ai laboratori di indirizzo sono presenti laboratori di materie quali
Fisica, Chimica, Informatica. Gli insegnanti tecnico pratici sono
previsti solo in questo segmento della scuola italiana, ma sono la sola
tipologia di docenti che ha dovuto cimentarsi obbligatoriamente dal
primo giorno di servizio con una didattica basata sull'uso dei
laboratori. Si può anche affermare che per realizzare una didattica
laboratoriale con gli studenti non è indispensabile il laboratorio, ma
non si può pretendere di mantenere vivo un laboratorio se non c'è un
insegnante di laboratorio. Lo hanno capito bene quelle scuole che per
attivare insegnamenti aggiuntivi come "laboratorio di fisica – chimica"
o "laboratorio di informatica" (allegato h del decreto di istituzione
dei nuovi licei) hanno deciso di assumere in proprio docenti esperti in
attività di laboratorio.
D'altra parte i decreti di riordino della secondaria, oltre
all'innalzamento del numero medio di alunni per classe, hanno ridotto
del 50% le ore di laboratorio del primo biennio degli ex istituti
tecnici industriali e di un buon 30% nei successivi tre anni. A questo
è dovuta la maggior parte della complessiva riduzione di cattedre che
si è realizzata con il piano di riordino.
Dismissioni o utilizzo con buonsenso degli insegnanti tecnico pratici
ITP ?
La attuale situazione legislativa e normativa, sommariamente richiamata
in premessa, comporta una drastica e veloce riduzione del tempo di
utilizzo dei laboratori e delle unità di docenti ad essi legati. Da
questo anno scolastico anche negli istituti tecnici, alcuni laboratori
rimarranno chiusi per oltre la metà dell'orario scolastico, come nei
licei. Anche se si intende persistere in una strategia di riduzione
dell'offerta formativa rimane aperto il problema della gestione delle
risorse strutturali e dei docenti. Da un lato abbiamo scuole medie e
licei scientifici che vorrebbero usare laboratori ed insegnanti di
laboratorio, dall'altro laboratori chiusi ed insegnati di laboratorio
con cattedre "18 ore a disposizione".
Tutto ciò, oltre a non rappresentare un risparmio reale per
l'Amministrazione costituisce una vera e propria dispersione del
"capitale di professionalità" (gli ITP) ed uno spreco di capitale
fisico (il laboratorio e le sue apparecchiature), che resta spesso
inutilizzato nelle scuole dove la figura dell'insegnante di laboratorio
è assente.
Quello che si propone è semplicemente di applicare una gestione del
personale docente che facilita l'utilizzazione degli ITP delle classi
di concorso in esubero in attività di diffusione/supporto docente delle
attività laboratoriali nelle scuole che ne facciano richiesta.
A questo scopo la redazione di piuscuola.net ha predisposto una
proposta normativa che inserisca nei contratti integrativi regionali
sulle utilizzazioni una facilitazione nell'utilizzare gli ITP in
esubero in attività di didattica laboratoriale in base alle reali
esigenze ed alle richieste delle varie istituzioni scolastiche.
I Docenti di Laboratorio vogliono portare all’attenzione di tutti – e
ribadire con forza – che gli insegnamenti laboratoriali, a rischio di
forte penalizzazione e riduzione, sono fondamentali e inalienabili in
una scuola dell’apprendimento e dell’educazione. Sono una risorsa DELLA
SCUOLA PER LA SCUOLA. Non è assolutamente pensabile che si possano
insegnare materie scientifiche e tecniche senza un’ampia e qualificata
attività di laboratorio svolta da docenti tecnico pratici.Moltissimi
tra i maggiori studiosi e pedagogisti del passato e del presente hanno
sempre ribadito l’importanza del metodo sperimentale e delle attività
pratiche, da Dewey a Morin.
Il motto del dei Docenti di Laboratorio – ispirato ad uno scritto di
Confucio – recita:"Se ascolto, dimentico; se vedo, ricordo; se faccio,
capisco"è una frase semplice, ma che racchiude un modo irrinunciabile
di pensare e di fare didattica.Per questi motivi e per non sprecare
un’inestimabile risorsa culturale ed umana, risulta indispensabile
salvaguardare la figura professionale dell’ITP e la sua dignità di
docente all’interno del sistema scolastico, pertanto si RIVENDICA
quanto segue:
1) Garanzia del mantenimento dello stato giuridico ed economico di
docenti. Nessun docente tecnico pratico dovrà essere utilizzato in
funzioni e mansioni non coerenti con la specificità professionale.
2) Richiesta della laurea e dell’abilitazione specifica come titolo di
accesso, con le dovute garanzie per i Docenti Tecnico Pratici precari.
3) Collocazione di tutti i docenti tecnico-pratici nel VII livello,
riconoscendo, quindi, quella effettiva parità che attualmente trova la
sua unica applicazione nell’assolvimento di tutti i compiti
istituzionali.
4) Mantenimento ed estensione delle compresenze in tutti gli indirizzi
Liceali, Professionali e dell’Istruzione e Formazione Tecnica
Superiore, con criteri di senso logico e di percorribilità didattica.
Estensione delle attività di Laboratorio e degli Uffici Tecnici anche
negli indirizzi in cui queste non siano ancora state previste
(Laboratori scientifici – TIC – ECDL –ecc.).
5) Riconversione automatica per classe affine del personale ITP, nelle
eventuali nuove classi di concorso.
6) Mantenimento delle risorse nell’organico funzionale della scuola di
titolarità.
7) Nessuna mobilità forzata in altri comparti della P.A.
Credo che le commissioni Cultura della Camera dei Deputati e del Senato
della Repubblica debbano tener conto di entrambi le proposte perchè una
non escluda l'altra.
Paolo Latella
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