Nel
calderone grande delle liberalizzazioni, all'interno del quale ribolle
il minaccioso aculeo dei tassisti, pare si voglia mettere dentro anche
l'abolizione del valore legale del titolo di studio che per alcuni
politici sarebbe una ulteriore tisana per migliorare la strampalata
salute della scuola italiana, dopo gli intrugli preparati dalla
gestione Gelmini. A giudicare addirittura da lacune dichiarazioni
sembra che la proposta sia già pronta e che probabilmente passerà con
le altre zattere sul fiume impetuoso delle riforme per salvare
l'Italia, dopo le batoste subite dai pensionandi, quelli del 1952
soprattutto, e dalle tassazioni alla cieca, modulate attorno a quel
famoso gioco: chi acchiappoacchiappo, e siccome in gioco ci sono solo i
poveracci ad essere acchiappati rimangono sempre i poveracci,
pensionati compresi.
Abolizione legale del titolo di studio, come è noto, significa che un
ragioniere potrà fare il geometra e che un corso di studio equivale ad
un altro, tranne che una agenzia specializzata o un corso post diploma
legalizzi il titolo, renda cioè geometra il geometra e ragioniere
il ragioniere, fermo restando che il geometra può liberamente
partecipare alla prova/esame o al corso svolto da queste agenzie
indipendenti per dare valore reale al titolo del ragioniere e viceversa
per il ragioniere che vuole fare il geometra. Il punto centrale del
dibattito diventa allora, non già quello di preparare nelle scuole
dell'intero territorio nazionale geometri con tanto di strumentazione
in grado di usarla, ma diplomati, diciamo così, portatori di un titolo
di studio fruibile per tutte le occasioni e spendibile nella sua
specificità solo se un Ente, o una scuola abilitata all'uopo, lo rende
tale. Il fumus della creazione indiscriminata di scuole pronte a
rilasciare un passaporto qualunque si coglie a colpo, mentre non si
avverte l'utilità di mettere l'avvocato (anche la laurea perderebbe il
suo valore legale) in condizione di specializzarsi in
odontoiatria, seppure dopo avere superato un corso/ concorso/ prova/
abilitazione/o altro. Ma c'è di più. Siccome un titolo equivale
ad un altro, essendo per esempio il diploma, chiamiamolo così,
preso a Catania senza alcun valore legale rispetto a uno simile preso a
Bolzano, calmiere nella scelta di una determinata figura professionale
potrebbe essere la scuola di provenienza, non già il suo specifico
valore che deve tenere conto del voto e delle altre componenti
giuridiche e legali. E infatti i sostenitori dell'abolizione del valore
legale del diploma, e della laurea, spingono proprio su questo punto,
proprio perchè in questo modo sia gli atenei e sia le scuole si
farebbero concorrenza fra loro per rendere i propri studenti più
geometri i degli altri e più ragionieri degli altri, dal momento che
sarebbe il mercato a selezionare i veri e più in gamba professionisti
del settore. E non basta. Secondo altri accademici compito dello Stato
per delegalizzare il titolo di studio dovrebbe essere quello di stilare
una graduatoria delle scuole migliori e delle università migliori in
modo che quando ha bisogno di personale per le sue amministrazioni
centrali o periferiche assegni i punteggi per partecipare al concorso
non in funzione del voto, che mette sullo stesso piano tutte le
scuole e le università, ma in relazione alla provenienza del candidato.
Una scuola catalogata dalla Invalsi (o dall'Anvur) 100 garantisce
che i suoi geometri (avvocati per le università) sono al top della
preparazione per cui già in partenza sarebbero preferiti, rispetto ad
altri provenienti da scuole, o università con un giudizio, un
punteggio, inferiore. Punto di forza di questa liberalizzazione
sarebbe, sostengono questi esperti, la concorrenza che le scuole e le
università sarebbero costretti a farsi per raggiungere le vette nelle
graduatorie stabilite dagli istituti di valutazione. Infatti, si
sostiene da questi versanti, con l'attuale sistema un alunno uscito da
un insegnante somaro con 100/100 ha più possibilità di ottenere esoneri
all'università, di potere lavorare e di potere partecipare a un
concorso assai maggiori di un suo collega strizzato da un professore
preparato e che l'ha licenziato con 60/100, dal momento che il titolo
ha valore legale e che equipara tutte le scuole sullo stesso piano, sia
quella inefficiente e inefficace e sia quella efficiente ed
efficace.
Concorrenza dunque fra scuole e fra università, sembrerebbe la parola
d'ordine, per ottenere il ranking più favorevole da parte delle agenzie
di valutazione e che potrebbe pure determinare l’ammontare delle
risorse da assegnare a ciascuna scuola o università per pagare meglio e
di più i propri insegnanti. Infatti l'unica concorrenza possibile, a
parte l'aspetto logistico, si sposta solo sul versante delicato della
docenza, dei professori migliori (ma bisognerebbe capire quale
parametro li misuri) che verrebbero cooptati e blanditi col profumo di
stipendi più lauti e non su quello, come accade spesso soprattutto
nelle università, della parentela, dell'amicizia, della clientela.
Attenti al lupo, allora: liberalizzare
il titolo di studio, togliendogli il valore legale, è la via maestra
per sbrindellare la scuola pubblica italiana e implementare ciò che il
precedente Governo ha fatto intendere forse anche con estrema
chiarezza. L'ultima toccata con precipitosa fuga sull'armonium della
Gelmini è stata infatti le lettera inviata all'Ue, dove si parlava di
governance e di valutazione dei docenti e delle scuole per riconoscere
il loro merito e quindi premiarli con degli incentivi pecuniari. Altra
avvisaglia si rileva nella continua citazione, cara a Valentina Aprea,
di ribaltare la procedura fin qui adottata e cioè che non sia più
l'insegnante a scegliersi la scuola ma la scuola il docente,
esattamente com'è nella intenzione di chi vuole liberalizzare il titolo
di studio, affidando il suo valore commerciale al valore della scuola.
Dopo il business della sanità privata all'orizzonte si affaccia anche
il business della istruzione in mano ai privati. Da fastidio
solamente che questi processi siano distillati poco alla volta e con
velata parsimonia, in modo da assuefare lentamente tutti, sindacati e
partiti di opposizione compresi.
Pasquale Almirante
p.almirante@aetnanet.org