Riteniamo che il momento
della valutazione del lavoro scolastico sia essenziale.
Essere capaci di progettare coerentemente in rapporto al contesto in
cui si opera e, soprattutto, essere in grado di rimodulare il lavoro
quando è necessario dovrebbe rappresentare una pratica condivisa e
consolidata. Purtroppo, nella scuola dell’autonomia (o nella
scuola-azienda, se si preferisce) la presunta vocazione manageriale dei
Dirigenti Scolastici non ha mai dato luogo, neanche nel caso dei famosi
“progetti europei”, ad una corretta prassi in grado di verificare i
risultati ottenuti. E’ ormai del tutto evidente che aver trasformato la
scuola in “progettificio” non solo non ha determinato alcun passo in
avanti dal punto di vista didattico, ma, in molti casi, ha prodotto un
uso quantomeno discutibile dei fondi europei ricevuti.
Noi vogliamo valutare il nostro lavoro perché crediamo nella scuola
pubblica statale, qualificata e aperta a tutti, e siamo convinti che
nessun alunno debba “rimanere indietro”. Preliminarmente, diciamo che
questa valutazione deve servire a superare le difficoltà eventualmente
emerse.
nti vogliono valutare per determinare classifiche e premiare “i
migliori”, noi riteniamo che eventuali ulteriori stanziamenti e nuove
risorse dovrebbero andare proprio a quelle scuole dove si incontrano
maggiori difficoltà nello sviluppo del lavoro scolastico. Al contrario,
premiando chi già lavora positivamente e abbandonando chi ha maggiori
difficoltà, non si farebbe altro che accentuare le differenze.
L’opposto di ciò che dice la nostra Costituzione. Inoltre, incentivando
un numero limitato di docenti (al massimo il 25%) e indicandoli quindi,
a torto o a ragione, come migliori rispetto agli altri si
determinerebbe tra le famiglie e gli alunni un clima tale che
renderebbe, al restante 75% dei docenti, quasi impossibile.
svolgere serenamente, dignitosamente e con profitto il proprio lavoro.
A voler essere cinici sarebbe, forse, divertente assistere alle
acrobazie dei Dirigenti Scolastici costretti a spiegare, alla maggior
parte degli alunni e alle loro famiglie che devono accontentarsi dei
professori “più scarsi”. Sarebbe divertente. Se tutto questo non
rappresentasse l’ennesima offesa alla scuola.
I Quiz
Secondo noi la scuola può funzionare solo se è organizzata in modo
democratico e pluralista, ma, come si diceva all’inizio, essa non può
fare a meno di una continua autovalutazione. Con quale obiettivo
valutare abbiamo provato ad indicarlo, è, però, altrettanto importante
discutere come e con quali strumenti bisogna procedere.
Così come esistono tanti modi di fare lezione e utilizzando approcci
didattici diversi secondo le diverse esigenze, analogamente ogni
strumento di valutazione non è un misuratore oggettivo né completo né
tantomeno unico. Prima di indicare come, secondo noi, bisognerebbe
valutare, vorremmo avanzare qualche considerazione sui Quiz (Invalsi,
OCSE, ecc.) oggi tanto di moda, che qualcuno vorrebbe fare passare, in
tutte le scuole, come obbligatori.
In premessa va ricordato che l’OCSE ha promosso un programma per la
valutazione internazionale dell'allievo (meglio noto con l’acronimo
PISA), cioè un’ indagine per valutare il livello di istruzione degli
studenti dei paesi più industrializzati. Pochi, però, sanno che l’OCSE
non si occupa di politiche culturali, ma di cooperazione e sviluppo
economico. In sostanza, dovremmo affidare il futuro dell’istruzione, e
quindi della nostra società, a chi non solo non è stato in grado di
prevedere ma neanche di affrontare la devastante crisi economica
attuale. A chi, per tanti anni, ha esaltato il lavoro flessibile, cioè
precario, per poi scoprire, troppo tardi, che la precarietà è una
condizione che impedisce di progettare il futuro.
C’è più di un motivo per essere preoccupati.
Inoltre, che senso ha proporre le stesse prove in contesti decisamente
differenti? Quale valore scientifico hanno tali somministrazioni? E
ancora, quali stravolgimenti nello sviluppo dei programmi, quali nuove
adozioni di libri (peraltro mai discusse nei Collegi Docenti) saranno
introdotti allo scopo di fare esercitare gli studenti in vista dei
Quiz? E, soprattutto,
quanto spirito critico, quanta autonomia nei processi di formazione
introietteranno i ragazzi nel momento in cui, come sottolinea ad
esempio Umberto Galimberti: “ il metodo selettivo a quiz resta comunque
il peggiore perché verifica solo (quando ci riesce) l’intelligenza
binaria dei candidati”? Perché verifica, quando ci riesce, solo i
risultati e mai le procedure. Perché, spesso, le agenzie (almeno quelle
di cui si è servita la Ministra del tunnel del Gran Sasso) non riescono
ad elaborare quiz credibili, come dimostra anche l’ultimo concorso per
Dirigenti Scolastici, in occasione del quale, poco prima della prova,
sono state cancellate oltre il 20% delle domande.
Infine, in un Paese come l’Italia, dove sembra sempre più difficile che
i concorsi pubblici siano svolti in maniera regolare (tutti conoscono
ciò che è avvenuto in Sicilia durante il penultimo concorso per
Dirigenti Scolastici o, a livello nazionale, durante il recente
concorso relativo all’insegnamento all’estero), quanti insegnanti, pur
di evitare “magre figure” – e/o più concretamente tagli allo stipendio,
se non ai posti di lavoro - suggeriranno ai propri alunni dove mettere
le crocette?
In sostanza, i Quiz possono essere utilizzati, riconoscendone i limiti
obiettivi, come supporto ad altre forme di valutazione. Se, invece,
essi diventano il fine dell’intero processo educativo, rischiamo di
fare drammatici passi indietro, entro pochi anni, come viene
riconosciuto nei Paesi che hanno sperimentato questo modello (basti
leggere l’impietosa autocritica di Diane Ravitch, viceministro
dell’educazione nel governo di G.H.W. Bush).
Il rispetto della legalità
Va ribadito che solo nel caso della prova finale della scuola
secondaria di primo grado i Quiz Invalsi sono obbligatori (L.176/07).
In tutti gli altri casi, se il Collegio dei Docenti non li ha
esplicitamente deliberati, il Dirigente Scolastico non può aderire alle
prove in nome della scuola e nessuna circolare, nessun ordine di
servizio possono obbligare i docenti a somministrarli e, tantomeno, a
correggerli. Infatti, tali prove non rientrano negli obblighi di
servizio (CCNL 2006/2009 art. 28 e 29). Va precisato che eventuali
Circolari, Note Ministeriali e, a maggior ragione, pareri
dell’Avvocatura dello Stato non sono fonti di diritto: interpretano la
legge, ma non sono vincolanti (Corte di Cassazione 2 novembre 2007 e 5
gennaio 2010). Infine, non è legittimo cambiare la programmazione
giornaliera di una classe per effettuare le prove. Si determinerebbe
una violazione della libertà di insegnamento: la programmazione
dell’attività didattica è liberamente scelta dall’insegnante; solo una
delibera del Collegio può consentire modifiche di questo tipo. Infine
non va mai dimenticato che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne
è l’insegnamento” (art. 33 Costituzione).
Qualche proposta
Dicevamo, all’inizio, che rifiutiamo la contrapposizione fra
insegnanti.
Non vogliamo che soltanto pochi siano premiati, molti lasciati
nell’attuale condizione e i rimanenti licenziati. Al contrario, la
scuola pubblica si può salvare solo se prevale, tra i docenti come fra
gli allievi, uno spirito di collaborazione e disponibilità reciproca e
se le risorse investite, all’opposto di ciò che è avvenuto negli ultimi
anni, sono adeguate.
Non è per nulla retorico ricordare che in strutture scolastiche
inadeguate e in classi pollaio non si può fare scuola e che, se ancora
oggi si continua a lavorare con competenza e dignità, è solo merito
dell’impegno e della buona volontà di tutto il personale scolastico.
Vogliamo pertanto mantenere l’esistente? Assolutamente no. E’ chi
propone false riforme a volere garantito lo status quo, a voler tornare
indietro.
Noi siamo consapevoli dei profondi e radicali cambiamenti di cui ha
bisogno la scuola, del processo di democratizzazione che dovrebbe
attraversarla, del rinnovamento dei curricoli (altro che tre I!). Non
ci sottraiamo, perciò, dal riflettere specificamente, in questa sede,
sul tema della valutazione.
Siamo consapevoli dei limiti del nostro lavoro, di quanto esso sia
usurante, di quante energie, quotidianamente richieda. Alcune
correzioni al nostro modo di operare sono evidenti e necessarie.
Il primo cambiamento dovrebbe essere quello relativo al percorso di
formazione di ogni docente, cui nessuno ha mai insegnato ad insegnare
(le soluzioni possibili sono, evidentemente, molteplici, mentre
va, con forza, respinta la fallimentare esperienza delle scuole
universitarie di specializzazione).
A scuola occorrerebbe incentivare e potenziare il lavoro collettivo
della programmazione, diventato una sorta di routine, un
“copia-incolla” generalizzato, su cui si riflette sempre meno e che
nessuno controlla, visto che nessun Dirigente-manager ritiene utile
occuparsi di una tale “banalità”. In un clima di cooperazione
sarebbe produttivo affiancare a chi lavora in aula, per un tempo
adeguato, un docente esterno, per poter valutare serenamente
l’andamento del lavoro e con l’unico obiettivo di correggere eventuali
punti di debolezza. In forme appropriate, inoltre, questa discussione
dovrebbe vedere la partecipazione di tutte le componenti interessate.
Sarebbe altresì utile il lavoro svolto in compresenza in classi
parallele (lavoro reso, però, difficile dalla cronica carenza di luoghi
e strutture adeguate) e quello multidisciplinare.
Infine, dopo un certo numero di anni, sarebbe necessario per i docenti
“tornare a studiare”, allontanandosi momentaneamente dall’insegnamento,
con l’obbligo successivo di socializzare quanto elaborato.
Non si tratta di proposte particolarmente complicate, né
particolarmente originali. A volte, però, anche le cose semplici sono
difficili da realizzare e, soprattutto, hanno bisogno di significativi
investimenti, sia in termini culturali che economici.
Noi vogliamo provarci, vogliamo scommettere sulla difesa della scuola
pubblica statale qualificata e di massa. Per questo abbiamo bisogno di
aiuto e partecipazione per affermare - a partire dalle prossime
elezioni delle R.S.U. - un altro modello di scuola. <