Questa antologia di racconti nasce in mezzo ai conflitti e alle sofferenze legati alla controriforma della scuola. In un’altra esperienza editoriale abbiamo provato a smascherare i cambiamenti imposti dal ministro Moratti a partire dal lessico della «nuova» scuola e abbiamo scritto un contro-lessico. Il registro linguistico e lo stile di alcuni interventi ci hanno fatto capire che la «gente» di scuola aveva l’esigenza e il desiderio di raccontare; forse perché narrare una storia è un antidoto all’insensatezza e all’indifferenza, ma anche un modo di elaborare in positivo la fatica dell’insegnare e del continuare ad apprendere.
Abbiamo pensato che raccontare una storia potesse rendere questa fatica qualcosa di condiviso e di importante, in un momento in cui sentivamo che la scuola stava perdendo la centralità sociale e culturale che per decenni aveva avuto.
«Non c’è nessuno di noi che non abbia una esperienza, un ricordo, un vissuto sulla scuola che non lo riconduca verso un’emozione, che non gliela provochi. Qualcosa che, come dice la parola, muove, cammina dentro di noi, si mostra nel sorriso, negli occhi, nella postura, sta nell’animo, ma segna ed è segnato dal corpo, nel corpo». È stato questo il nostro invito a raccontare dalla «scuola elementare [...] il periodo dell’incantamento, del sogno della conoscenza, della magia contenuta negli apprendimenti elementari, fondativi, nelle approssimazioni al sapere e al convivere che lasciano un segno», alla «scuola superiore, quando si è presi dai compagni, dalle compagne, dall’amore, dalla lotta per definire chi siamo, se mai lo si possa davvero fare», anche per mettere in luce «le disarticolazioni potenti dei processi di mercificazione e il riemergere prepotente della dimensione classista», cercandone «le tracce negli episodi quotidiani del presente [...] quasi come antropologi – allo stesso tempo dentro e fuori dalle situazioni – di un contesto culturale in forte mutamento».
Alla nostra sollecitazione hanno risposto molti più di quanti ci aspettassimo. Autori «laureati» e non (chi scrive per mestiere, chi solo per diletto o addirittura in segreto) hanno scritto seguendo il filo conduttore, altre volte lavorando ai fianchi, producendo derive: dalla narrazione vera e propria di un fatto emblematico, alla memoria personale, al guizzo dentro l’attualità della politica scolastica con l’attenzione a quello che di essa fa soffrire o fa continuare a sperare.
Il risultato sono storie dagli esiti molto diversi, ma tutte capaci di attrarre il nostro ascolto, di interessare e commuovere.
Le abbiamo raccolte sotto il titolo Quando suona la campanella, perché il suono di una campanella di inizio e di fine lezione ha un carattere metaforico ed evocativo. La campanella segna il confine fra ciò che è stato e ciò che verrà, grazie a un percorso di apprendimento o malgrado esso. È dunque un’idea di futuro che comprende quanto di una tradizione e di una eredità avremo saputo mettere a frutto, ma anche quanto avremo dimenticato per far posto all’inconsueto e al rivoluzionario.
Il suono della campanella è tensione tra un ricordo e una aspettativa. La scuola, in questo periodo storico, ha bisogno di raccontarsi non solo con i linguaggi e i temi specifici del lavoro che in essa si svolge, ma con narrazioni di più ampio respiro, che ci mettano in contatto con le emozioni, con i sentimenti degli adulti, degli insegnanti di oggi, dei bambini che siamo stati. Se abbiamo alle spalle una memoria da narrare, possiamo avere anche un futuro, basato su una utopia di grande e profondo cambiamento. Da cesp
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