Due sono le osservazioni da fare di fronte all’ennesimo taglio che lo Stato si accinge a fare nei confronti della scuola, riducendo il suo intervento di spesa.
La prima osservazione riguarda la ragione stessa di questi tagli. Che si colpisca l’educazione e che lo si faccia con una logica di uguaglianza dei sacrifici è quanto di più sbagliato uno Stato possa fare. Infatti, che ognuno debba fare dei sacrifici per poter mantenere in vita lo Stato è un criterio che se in parte è giusto diventa sbagliato allorché lo si applichi meccanicamente. Uno Stato non può chiedere a tutti la stessa percentuale di sacrifici così che alla fine i conti tornino; deve dare dei giudizi di priorità, perché tagliare deve voler dire potenziare quei settori che sono fondamentali per dare un futuro al Paese, e tra questi la scuola è tra i più importanti, se non quello decisivo. Questo governo tecnico sbaglia non perché ci chiede i sacrifici necessari per poter ripartire, ma perché li chiede secondo un criterio di egualitarismo che va contro la realtà, perché non sa valutare che cosa sia più importante e meno importante. E in una società l’educazione è un bene primario!
La seconda osservazione riguarda la modalità con cui al ministero si fanno i tagli. Bisogna riconoscere al ministro Profumo grande attenzione per la didattica e l’educazione, il ministro vuole salvaguardarle il più possibile dalle limitazioni che lo Stato deve fare alle sue stesse spese. Ma di fatto vi sono già state forti penalizzazioni sia alla normale attività scolastica sia alle attività extrascolastiche che, oggi, sono quasi mero volontariato. La scuola è stata impoverita soprattutto laddove vi sono in campo la libertà e lo spirito di iniziativa: un insegnante che oggi si inventi qualcosa di nuovo lo può fare ma a spese sue, solo a spese sue; un insegnante che voglia condividere il tempo libero degli studenti lo può fare, ma anche questo senza chiedere un euro all’istituzione.
La scuola versa in condizioni di difficoltà gravi, rischia di avere un ministero che si limiti a pagare lo stipendio agli insegnanti, il resto rientra nel risparmio, ma in questo modo pian piano scomparirà. Di fronte a una situazione oggettivamente difficile, occorrerebbe invece ribaltare il modo di affrontare la questione. Al posto di salvaguardare il carrozzone, bisognerebbe potenziare ciò che dentro la scuola vale, spendere per la didattica e l’educazione, per dare ai giovani insegnanti validi con strumenti efficaci. Senza nulla togliere alla necessità di tagliare gli sprechi, occorrerebbe chiedersi di che cosa ha principalmente bisogno la scuola italiana per lanciarsi verso il futuro, per percorrere nuove traiettorie che realizzino le aspirazioni dei giovani. È questa la domanda che urge. La questione cui porre mano è l’identificazione dei beni primari dentro la scuola e il loro potenziamento.
Colpisce che da sempre lo Stato tedesco punti sugli insegnanti. Lo ha fatto a livello educativo e culturale, ma poi ha investito anche economicamente su questo, tagliando in altri campi. La scelta risponde ad un criterio ovvio ma preciso e gravido di conseguenze, quello che per avere una scuola di qualità si debba puntare sugli insegnanti. In Italia, terra di ideologica, statalista uniformità, si toglie a tutti la stessa percentuale, mentre ci si dovrebbe chiedere: “che cosa è decisivo per il futuro della scuola?”. Una domanda semplice, rispondendo alla quale si andrebbe a potenziare ciò che è utile alla scuola e a depotenziare ciò che invece appesantisce il pachiderma. Ma chi vorrà finalmente prenderla sul serio?