La lettura del documento di Giarda è interessante. Agli addetti ai lavori dice poco o nulla di nuovo, ma ha il dono della sintesi. E quindi della chiarezza che solo i numeri con pochi fronzoli sanno avere. Il primo dato che salta all’occhio è che in termini assoluti abbiamo avuto in vent’anni un aumento della spesa per la sanità (dal 32,3% al 37% del totale) e un’equivalente diminuzione di quella per l’istruzione (dal 23,1% al 17,7%). Con una battuta si potrebbe ricordare un libro del 1997 di Nicola Rossi che proponeva di dare “Meno ai padri, più ai figli”. Rossi non immaginava, evidentemente, che si sarebbe dato poco a padri e figli e molto ai nonni. D’altra parte sono i nonni che governano e revisionano la spesa.
Abbandonando il sarcasmo, si potrebbe dire che ciò è dovuto all’aumento del numero dei nonni e alla diminuzione del numero dei nipoti, ma come vedremo le cose non stanno esattamente così. Vediamola allora nel dettaglio questa spesa del Miur.
Innanzitutto, contrariamente alla vulgata corrente, i tagli maggiori (almeno nel triennio gelminiano 2008-2011) non sono stati alla scuola, ma alla ricerca (-14,74%) e all’università (-10,56%). La scuola ha ridotto del 4,86%, che non è poco (in termini assoluti sono più di 2 miliardi di euro), ma già nel 2008 quasi tutto il differenziale con i paesi Ocse era imputabile a università e ora allarghiamo la forbice.
Si diceva: investiamo meno nella scuola perché i nipoti sono diminuiti? Come preannunciato non è così. I nipoti non so se siano diminuiti, certamente non lo è la popolazione scolastica che – ci dice Giarda – “è aumentata lievemente”. Ma se chiedessimo un aumento delle risorse tout court partendo dal mero dato numerico la risposta sarebbe ovvia: soldi non ce n’è.
E allora proviamo a vederla da un altro punto di vista. Quando i riformisti denunciavano “il problema della scuola non è tanto che si spende più che altrove, ma che si spende peggio” non era una cosa detta tanto per buttare la palla in tribuna.
Dall’analisi della spesa emergono due cose, non una. La prima è che il Miur ha già dato, altri ministeri no e quindi non è più vera la prima parte della frase perché ora spendiamo quanto altrove. Anzi, per quel che riguarda università e ricerca spendiamo ancora di meno. Però – ed ecco spiegata la premessa vagamente veltroniana – resta valida la seconda parte: si spende ancora male.
Anzi, per colpa dei tagli lineari, si spende se possibile peggio.
Come spendere meglio? Personalmente penso che una responsabilizzazione delle Regioni virtuose potrebbe aiutare. Perché l’interlocutore regionale è più gestibile (proprio sul fronte della spesa) di migliaia di scuole, perché lo prevede la Costituzione, perché consentirebbe di usare il bastone e la carota.
E come individuare le Regioni da “bastonare” e quelle da “carotare”?
Una risposta è ancora nella spending review, dove si legge: “Una criticità è rappresentata dal mancato completamento del dimensionamento della rete scolastica da parte di alcune regioni [...]. Emergono significative difformità nella dimensione media delle istituzioni scolastiche tra le regioni, che non appaiono giustificate solo dalle peculiari caratteristiche territoriali e della popolazione”.
Dalla “riconsiderazione” evocata da Giarda si può uscire in due modi: centralizzando la sanità o decentrando di più e meglio l’istruzione. Come ho detto, trovo auspicabile la seconda strada. Chiaramente facendo tesoro degli errori commessi per la sanità. Ma qui ci aiuteranno l’esperienza e la scarsità di risorse con le quali dovremo convivere per un bel po’. Oltre ad un assai pragmatico vincolo costituzionale sul pareggio di bilancio che per fortuna il Parlamento ha appena introdotto.
Per i più curiosi, i dati più lampanti li ho twittati venerdì:
https://twitter.com/#!/marcocampione/status/198410842331553793/photo/1
La proposta che avanzo è di allocare diversamente le risorse esistenti, investendo le Regioni di un compito che il nuovo Titolo V assegna loro. In sintesi:
1. Il numero di scuole per ogni Regione (e quindi anche di dirigenti) venga calcolato premiando quelle che hanno provveduto al dimensionamento e penalizzando le altre (il meccanismo e il principio ispiratore sono descritti su www.imille.org, nell’articolo Tagli: TG 3 e scuola).
2. Gli organici vengano assegnati alle scuole in base al numero di studenti e non al numero delle classi.
3. Qualunque ulteriore risparmio di spesa (nel documento si citano dismissioni di affitti di sedi ministeriali, informatizzazione, progressiva chiusura dei plessi con meno di 100 alunni) venga reinvestito nella “riforma” che propongo, ad esempio per coprire l’incremento di alunni, e/o per coprire maggiori spese a carico degli Enti locali (trasporto pubblico, mensa...).
Il governo andrà in questa direzione?
Dipende da come vogliamo interpretare una frase un po’ sibillina di Giarda, volta a spiegare (e senza ricorrere alla demografia!) la differenza tra l’andamento della spesa sanitaria e di quella per l’istruzione. “La sanità, da un lato, trova nei governi regionali potenti interpreti dei bisogni delle popolazioni interessate, ai quali fanno eco gli interessi delle ditte fornitrici di farmaci e di attrezzature sanitarie che incorporano l’innovazione tecnologica.
La scuola trova la propria constituency [dal governo centrale] e in una burocrazia dispersa a governare un esercito di dipendenti pubblici che operano in strutture tecnologicamente molto arretrate. La diversità di rappresentanza politica dovrebbe fare riconsiderare la saggezza di avere affidato a diversi livelli di governo i due compiti della tutela della salute e dell’istruzione”.
Consiglio di leggerla attentamente, perché c’è tutto il tema nella sua complessità.
Le regioni hanno aumentato la spesa sanitaria, ma interpretano meglio “i bisogni delle popolazioni interessate”; c’è la lobby farmaceutica, ma è questa che fa innovazione tecnologica. Dall’altra parte, grazie al centralismo si è riusciti – è vero – a ridurre la spesa, ma producendo un sistema burocratico e sclerotizzato, arretratezza tecnologica e alcune disparità territoriali non più tollerabili (e risultati per gli alunni sotto le aspettative, ma questo è un altro discorso).
Marco Campione. Nato a Pontedera (Pisa) il 13 ottobre 1971, padre di Andrea e Giulia. Dopo un'esperienza in una società di formazione, specializzata in Telecomunicazioni, nel dicembre del 2003, fonda a Milano Noveris e dal 2006 ne è il Presidente. Si occupa di politiche formative e in particolare di progetti per il contrasto alla dispersione scolastica, di formazione dei Dirigenti Scolastici, di consulenza alla Pubblica Amministrazione e di supporto alle agenzie formative. Fino al gennaio 2008 è stato Consigliere d’Amministrazione di Politecnico Innovazione, consorzio della Fondazione Politecnico di Milano che supporta progetti di ricerca e innovazione tecnologica, favorendo il collegamento fra università e industria. E' stato responsabile della comunicazione del CISEM, centro della Provincia di Milano e dell’Unione delle Province Italiane che si occupa di ricerca educativa. Dal novembre 2009 è membro della segreteria regionale del Pd lombardo con la responsabilità del settore Istruzione e Formazione