Nella Grecia del
IV-III secolo a.C. , il tema dell’ amicizia appare
particolarmente diffuso, e sottoposto a un meticoloso e
serio processo di rigorosa concettualizzazione etica, per
influsso dell’epicureismo e, soprattutto, dello stoicismo. Poco
più di due secoli dopo, calato in un contesto squisitamente
romano, il discorso dell’amicizia ( come del resto quello sui “doveri”,
sulla “virtus” , ecc. ) subisce inevitabilmente una strumentale
quanto contraddittoria “riequilibratura” teoretica !
All’italiana, si direbbe, oggi. Il costume romano, l‘antico “mos
maiorum”, per quanti sforzi faccia nel cercare di fondere la sua
struttura etica con gli apporti culturali dell’ellenismo, non
riesce a concepire, in ultima istanza, l’amicizia come un
puro e semplice rapporto d’affetto e di stima disinteressata tra
“boni viri”; alla ”sapientia” dell’intellettuale romano la
ricerca di una verità filosofica fine a se stessa, la pura teoresi, la
ricerca astratta, il concetto di amicizia eticamente elevato, fondato
sulla virtù, non interessano. Il “sapiens” romano non vive
nei templa serena della saggezza, bensì nel mondo degli affari e della
politica ! E per fare affari, e soprattutto in
politica, servono, ovviamente, più che le caste amicizie, le
“interessate” amicizie: sia dei potenti, come dei “piccoli”. Per
fare e ricevere favori; per incrementare parentele in ambito
privato; giovano le folle amiche, e lecchine, dei liberti e
dei “clientes” per fronteggiare i clan rivali in
lotte aperte nei giorni delle elezioni, delle spartizioni delle
cariche, nei momenti difficili delle congiure o della crisi
istituzionale. Servono reticoli di amicizie, orizzontali e verticali,
per alimentare la casta della politica. Solo così, grazie agli
amici degli amici , può essere assicurata la conquista del
successo e del potere. E’ così, da sempre! Del resto, non
siamo forse i discendenti figli della lupa ?
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com